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Credenze errate: anche la birra ha le sue odiate fake news

Quelle che al giorno d’oggi conosciamo come fake news in passato non erano altro che storielle che avevano inizio sottovoce e che con il tempo si ingrandivano, diventando spesso vere e proprie leggende. Ancora oggi alcuni di questi racconti tornano regolarmente a galla come delle verità indiscusse, alimentando errori e imprecisioni che si fa fatica a superare, soprattutto in assenza di un lavoro di ricerca critica. Il mondo birrario non è immune a queste “bufale”, che anzi riguardano diversi aspetti della nostra amata bevanda: l’evoluzione degli stili, i personaggi che ne hanno scritto la storia, gli elementi della degustazione. Ora è giunto il momento di fare chiarezza una volta per tutte. Il momento di dire basta e sfatare alcune di queste leggende con un articolo per veri “beer nerd indinniati”.

Le zone della lingua

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Pare essere un errore di traduzione la causa della teoria che ha disegnato la mappa della lingua in modo così netto. Dallo studio di inizio ‘900 Zur Psychophyisik des Geschmackssinnes dello scienziato tedesco David P. Hänig vennero infatti ripresi, tradotti in modo approssimativo e decontestualizzati, alcuni concetti che diedero poi origine al rigido schema che ancora oggi troviamo in alcuni testi. Una teoria che è stata ampiamente dimostrata come errata e superata, ma che puntualmente ricompare qua e là quando si tratta di parlare di gusto e di analisi gustativa. Duole far crollare le certezze, si sa, ma la lingua non è divisa in zone, né si percepisce il dolce solo sulla punta della stessa, ad esempio. La percezione invece avviene in tutto il cavo orale, palato molle ed epiglottide compresi. Si può parlare di maggiore concentrazione di ricettori in alcune zone, ma niente più.

Mr. Harwood e la sua caraffa

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Lo ammetto, mi piace raccontare questo episodio quando parlo della storia inglese e di quella che viene da molti considerata la nascita dello stile Porter. Mi diverte immaginare il povero Mr. Harwood che, armato di caraffa, scende di continuo nella cantina del suo pub a blendare tre birre diverse (three threads) da servire ai suoi clienti fino a quando, esausto, decide di creare nel 1722 la entire-butt, ovvero la Porter. Una simpatica leggenda che però non ha alcun fondamento. Merito o colpa di tutto questo, un articolo dei primi del’800 apparso in una guida “The Picture of London”: un falso storico che è stato ripreso (o meglio copiato) negli anni senza verificare la fonte.

Esiste una versione differente della nascita delle Porter, molto meno romanzata e forse per questo più noiosa, scritta da un birraio nel 1822 nella sua “Private  Brewer’s Guide to the Art of Brewing”. Le Porter paiono essere state la risposta londinese alle “pale beers” che spopolavano nelle campagne e che stavano cominciando ad arrivare in città, minacciando i produttori locali che quindi corsero ai ripari con una birra più leggera, ben luppolata e con una bella maturazione in botte. Nata attorno al 1720, piacque molto ai facchini e di qui il nome Porter. Con buona pace di Mr. Harwood, questo stile si è quindi sviluppato come conseguenza di un mercato inglese in evoluzione.

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Hildegarda e il luppolo

No, non è stata la prima ad utilizzare il luppolo nella birra, come spesso invece si sente dire. Hildegarda Von Bingem ha avuto una lunga vita di studio, di meditazione e di divulgazione, trattando di molteplici argomenti tra cui anche le proprietà delle erbe, compreso il nostro amato luppolo. Nel suo “Libro delle Creature” troviamo un passo dedicato proprio a questa pianta:

Il luppolo è caldo e secco, contiene un po’ di umidità e non presenta grande utilità per l’uomo, poiché aumenta in lui la melanconia, provoca tristezza nella mente e appesantisce le viscere.  Tuttavia, grazie alla sua amarezza, blocca la putrefazione di certe bevande alle quali lo si aggiunge, al punto che possono conservarsi molto più a lungo.

Quello di Hildegarda si può considerare un contributo importante alla definizione delle proprietà anti ossidanti e amaricanti del rampicante, ma in realtà il luppolo veniva utilizzato anche prima degli studi della santa: non va dimenticato infatti il primo documento risalente al 768 che parla di un giardino di luppolo nei pressi dell’abbazia di Santo Stefano a Frisinga, in Baviera, e del relativo tributo che veniva versato ai monaci. Tributo utilizzato, tra le altre cose, proprio per la produzione di birra.

L’invenzione delle IPA

Torniamo nella terra di Albione per l’ultimo mito che continua ad imperversare, ossia quello relativo alle India Pale Ale, stile che spesso si dice essere stato “inventato” espressamente per l’esportazione verso le Indie. Inutile specificare che siamo al cospetto di un’altra leggenda non supportata dai fatti: anche in questo caso semplicemente furono alcuni stratagemmi commerciali a determinare lo sviluppo coloniale di una birra che esisteva già in precedenza, l’October Ale. Nata durante il lunghissimo periodo di guerre tra Francia ed Inghilterra come risposta al patriottico boicottaggio dei vini d’importazione francese, l’October Ale era una birra che prevedeva malti più chiari di grande qualità ed una luppolatura importante per prevenire le infezioni durante la lunga maturazione in botte, di circa un anno. Una birra costosa, per gente benestante e che seguì gli spostamenti di questa ricca fetta della popolazione quando decise di trasferirsi dalle campagne alla metropoli londinese, generando un nuovo interessante business.

Tra i produttori che colsero questa opportunità ci fu George Hodgson e la sua Bow Brewery, dei sobborghi di Londra. Questo piccolo stabilimento produttivo si trovava in una posizione strategica, ovvero a poca distanza dai magazzini utilizzati per il commercio con le Indie; ovvio che questo canale diventasse presto parte integrante del giro d’affari del birrificio. Assieme alle altre produzioni di Hodgson, anche la October Ale partì alla volte delle Indie e ne abbiamo testimonianze scritte ne “The Calcutta Gazette”, che racconta come questa birra arrivò in condizioni superlative alle colonie, maturando in modo migliore e in un tempo più breve rispetto a una cantina londinese. Una birra superiore anche a quella di altri produttori che avevano spedito le proprie birre nelle Indie. A questo si aggiunsero le condizioni di credito estremamente vantaggiose per i capitani che sceglievano di rifornirsi da Hodgson e che resero imbattibile questa birra anche dal punto di vista economico. Nessuna invenzione quindi, solo fortuna e un po’ di sfacciataggine commerciale; la stessa che creò danni irreparabili successivamente, quando gli eredi di Hodgson decisero di creare un proprio traffico commerciale con l’India, al di fuori del monopolio esistente con la Compagnia. Scelta scellerata, che al tempo stesso fece la fortuna dei birrifici di Burton on Trent, chiamati a sostituire il birrificio della famiglia Hodgson con la loro “Pale Ale prepared for East and West India climate”.

Alessandra Agrestini
Alessandra Agrestini
Bellunese di nascita, bolognese o meglio sanlazzarona d’adozione. Dicono di lei: "Una mente in continuo fermento che si entusiasma quando si parla di birra artigianale. E soprattutto porta sempre da bere ottime birre!". Consulente e divulgatrice birraria freelance, collabora con diverse associazioni per docenze e corsi a tema birrario. È anche giudice internazionale.

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8 Commenti

    • Ciao Davide, grazie per il tuo commento. Ho scelto di riportare il primo documento scritto, perché cercavo un parallelo con il testo di Ildegarda. Pombia è sicuramente un ritrovamento archeologico di grandissima importanza, una testimonianza di altro genere sull’utilizzo del luppolo prima dell’avvento di Ildegarda. Ti ringrazio per averlo segnalato.

  1. Ciao,

    sarebbe interessante sapere, ma di questi famosi birrifici di Burton on Trent, ne è sopravvissuto qualcuno?

    E come è stato possibile che un produttore storico come Bass, molto citato quando si parla della storia dello stile (English) Pale Ale, sia stato prima venduto (se non ricordo male) per poi scomparire dalla faccia della terra?

    Carlo

    • Ciao Carlo, l’unico sopravvissuto mi risulta essere Marston’s, anche se tra fusioni ed acquisizioni le cose sono cambiate parecchio dalla fondazione. Bass invece non è scomparso del tutto, ma è ad oggi uno dei molti marchi di proprietà AB-Inbev.

      • Salve se puó interessare Marston’s esiste ancora,sempre sul sito originale e con parte degli edifici originali ancora in uso. La fusione é avvenuta nel 1999 quando la Banks’s (Wolverhampton and Dudley breweries) ha assorbito Marston’s, decisero di mantenere il nome Marston’s per ragioni di marketing (la birra Pedigree prodotta da Marston’s era piú nota a livello nazionale).La Bass esiste solo come brand, di proprietá Inbev, prodotta da Marston’s a Burton, il vecchio birrificio Bass invece é ora di Molson-Coors(credo ci facciano le Worthington’s e altre ales)

  2. Bufale della birra ne troviamo a iosa nelle credenze degli home brewers e di molti birrai, anche nello svolgimento dei processi produttivi.

  3. Tra le varie intuizioni di Hodgson ci fu anche quella di riuscire a spuntare prezzi più vantaggiosi per il trasporto in India, visto che spesso le navi viaggiavano alla volta delle Indie quasi scariche.

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