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False friends: quando i nomi degli stili birrari creano malintesi

Uno dei motivi alla base del fascino della birra è la sua straordinaria varietà: è il primo aspetto che colpisce chi si avvicina a questo mondo, perché spesso si ignorano le decine di tipologie in cui si divide il patrimonio brassicolo internazionale. Quando negli anni ’70 Michael Jackson inventò il concetto di “stile birrario” diede uno straordinario impulso alla divulgazione della cultura birraria, perché permise di studiare la bevanda dividendola in categorie, assegnando a ognuna di esse un’origine geografica precisa e sottolineandone lo stretto legame con elementi di natura storica, sociale e culturale. Nel tempo gli stili birrari si sono moltiplicati e sono nate variazioni e sottostili, che hanno reso ancora più ricco il panorama brassicolo internazionale. Sebbene la loro codifica sia un ausilio prezioso allo studio, ci sono situazioni particolari in cui il nome di uno stile può creare equivoci e malintesi. Nel pezzo di oggi proviamo a fare chiarezza dividendo questi casi in quattro grandi gruppi – appunto perché non ci piacciono le categorie 😛 .

Malintesi geografici

Molti stili birrari presentano nel loro nome l’indicazione geografica di origine. Gli esempi sono numerosi e a titolo esemplificativo possiamo citare le Berliner Weisse, le Baltic Porter, le California Common e le Flemish Red Ale, nate e sviluppatesi rispettivamente a Berlino, nell’area del Mar Baltico, in California e nelle Fiandre occidentali. Talvolta però l’appellativo può trarre in inganno e possedere il riferimento a una zona che non in realtà non è quella in cui lo stile ha avuto origine. Il caso più celebre è senza dubbio rappresentato dalle India Pale Ale: non sono Pale Ale inventate dai birrai indiani, bensì una variazione di questo stile realizzato in Gran Bretagna e tradizionalmente associato al consumo dei coloni inglesi in India nel XIX secolo. In realtà mi è capitato solo raramente di incontrare qualcuno che si è lasciato confondere da questo “false friend”, probabilmente perché il paese asiatico – per usare un eufemismo – non è certo considerato una patria brassicola di prim’ordine.

Forse per lo stesso motivo è ben più suscettibile di malintesi lo stile delle Russian Imperial Stout, che non indica delle Stout particolarmente muscolari prodotte in passato dai birrifici dell’Impero Russo. Anche in questo caso, invece, la zona di provenienza è quella del Regno Unito: tra il XVIII e il XIX secolo i maggiori birrifici inglesi producevano delle Extra Stout molto particolari, destinate al mercato russo e in particolare alla corte degli zar. Oggi l’appellativo “Russian” è quasi totalmente scomparso dal nome dello stile e sempre più spesso ci si riferisce in modo generico a “Imperial Stout”: una soluzione linguisticamente più comoda, ma che perde un aggettivo importante in termini di storia birraria.

Malintesi cromatici

La nostra bevanda è cambiata radicalmente durante la sua storia millenaria e oggi è molto diversa da quella che veniva consumata in secoli passati. Così è possibile che alcuni nomi di stili oggi abbiano molto meno senso che in passato, creando delle curiose incongruenze semantiche. Restiamo nell’ambito delle Pale Ale: l’espressione letteralmente significa “birra pallida” – dove per birra intendiamo “birra ad alta fermentazione” – nonostante il colore di questo stile oscilli tra l’arancio e l’ambrato. Perché allora è definita “pallida”? Per rispondere a questa domanda occorre contestualizzare la nascita delle Pale Ale e valutare questo aspetto in rapporto a ciò che offriva il mercato in quel periodo, cioè tra il XVII e il XVIII secolo. All’epoca infatti tutte le birre disponibili erano di colore scuro, quindi chiaramente un produzione ambrata non poteva che apparire “pallida” rispetto alle altre. Le birre chiare come le intendiamo oggi sarebbero state realizzate solo successivamente, ampliando il range cromatico della bevanda ma non intaccando il nome di uno stile che ormai aveva scritto la storia della scena brassicola anglosassone.

Tuttavia alla base dei malintesi cromatici non ci sono solo ragioni storiche. La rapida evoluzione della birra impone di codificare frequentemente nuovi sottostili, aggiungendo nel nome un elemento che denoti le differenza rispetto al modello di partenza. È in situazioni del genere che possono crearsi divertenti cortocircuiti semantici, talvolta promossi con un pizzico di malizia dagli stessi birrifici. Restando nel regno delle India Pale Ale è celebre il caso delle Black IPA, che nel nome presentano un ossimoro cromatico tra “nero” e “pallido”. Discorso analogo ma invertito per le White IPA, dove un termine tra “bianco” e “pallido” appare certamente ridondante. Se non vogliamo per forza riferirci a sottostili di genesi recente possiamo citare le Dunkel Weisse – variazione delle classiche birre di frumento tedesche – nome che significa letteralmente “bianche scure”. In quest’ultimo caso possiamo ovviare al problema utilizzando il sinonimo Dunkelweizen, dove “weizen” si traduce semplicemente con “grano”.

Malintesi visivi

Poco sopra abbiamo accennato come la rapida evoluzione della birra possa portare a codificare denominazioni a limite del confusionario. Ma questo è niente, poiché esistono situazioni davvero al limite del comprensibile, che finiscono per superare persino il confine della ragionevolezza. Succede quando i trend del momento sono così dominanti da essere utilizzati come universale grimaldello di marketing, senza alcuna distinzione. Un caso recente è incarnato dalle Hazy IPA, birre torbide derivate dalle New England IPA e in breve diventate un vero e proprio fenomeno di costume birrario. La loro ascesa ha spinto centinaia di birrifici in tutto il mondo a confrontarsi con questa tipologia, reinterpretandola a proprio modo. Fino ad arrivare all’idea di eliminare il suo elemento visivo che le contraddistingue: lo scorso maggio il blog Beervana ha riportato un post del birrificio Surly, molto indicativo in questo senso. Ecco come è stata presentata la birra realizzata insieme a Fair State Brewing:

La nostra ultima collaborazione è partita così: facciamo una Hazy IPA, ma facciamola limpida. […] L’idea di brassare una birra che nell’aroma ricordi una New England IPA, con un bell’aspetto cristallino in opposizione all’opalescenza dello stile.

Inutile specificare che questa birra e altre nate dalla stessa idea sono state subito definite Clear Hazy IPA, cioè letteralmente “IPA torbide limpide”. Se vi è venuto mal di testa avete tutta la mia comprensione.

Malintesi organolettici

E concludiamo con le situazioni, per fortuna non così diffuse, nelle quali si creano potenziali equivoci a livello gustativo. A volte infatti il nome di uno stile può suggerire un aspetto organolettico non effettivamente confermato dalla bevuta. Come nell’esempio cromatico delle Pale Ale, le ragioni sono spesso di ordine storico e per una spiegazione bisogna risalire al momento della nascita di quelle determinate birre. Perciò non meravigliatevi se una Bitter inglese non vi sembra poi così amara, soprattutto se confrontata con un’American IPA o una Double IPA: il nome significa effettivamente “amaro”, ma secondo il gusto dei consumatori del XIX secolo. Anche quando non c’è una spiegazione storica alle spalle, ricordatevi che ogni concetto va contestualizzato alle caratteristiche generali dello stile: così una Sweet Stout non sarà mai dolce quanto una Weizen o una Dubbel, ma avrà comunque un finale moderatamente amaro derivante dall’impiego dei malti scuri. Insomma, non lasciatevi ingannare dai nomi!

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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6 Commenti

  1. Bell’articolo chiarificatore. Se fossi un appassionato alle prime armi ne vorrei leggere sempre di post di questo tipo.

  2. Bell’articolo!! A proposito di confusione trovo che la numero uno sia la “true & false” di Brussels beer project, una imperial stout da 8,3° peccato che appena la versi nel bicchiere ti ritrovi con una birra chiara al posto del classico nero impenetrabile tipico dello stile!!

  3. nessun cenno alle cream ale?

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