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Ecco perché non sempre la birra è vegana (o vegetariana)

Per chi è vegetariano o vegano la birra appare una bevanda perfetta, totalmente in linea con le proprie abitudini alimentari. Quali brutte sorprese potrebbe infatti riservare un prodotto che sostanzialmente è realizzato solo con acqua, malto d’orzo, luppolo e lievito? In realtà moltissime. Se siete vegani o vegetariani dovete sapere due cose: la prima, poco importante, è che personalmente non capirò mai le vostre scelte in termini di cibo; la seconda, per voi ben più rilevante, è che non poche birre sono apertamente in contrasto con la vostra dieta. Attenzione però, perché non mi sto riferendo a produzioni decisamente particolari, come la storica Mercer’s Meat Stout realizzata estratto di carne o l’eccentrica Voodoo Doughnut Maple Bacon Ale del birrificio Rogue (che tra gli ingredienti prevede proprio il bacon). Al contrario ci sono molte birre “normali” o appartenenti a stili antichi che nascondono qualche insidia per chi non mangia carne o prodotti di origine animale. Scopriamo per quali motivi.

Finings

Nel mondo brassicolo con il termine finings ci si riferisce a una serie di sostanze che vengono aggiunte durante il processo produttivo al fine di rimuovere determinati composti organici (od ottenere altri risultati). In particolare servono spesso per chiarificare la birra, cioè renderla più limpida e cristallina andando a isolare sostanze che altrimenti rimarrebbero in sospensione, come lieviti esausti o proteine. Ancora oggi molti birrifici tradizionali, specialmente in Inghilterra per la produzione delle classiche Real Ale, utilizzano come finings il cosiddetto isinglass, una sostanza colloidale ottenuta dalle vesciche natatorie essiccate di alcuni pesci, come lo storione – corrisponde in pratica alla colla di pesce. Ovviamente tutte queste birre non sono adatte a un vegetariano e men che meno a un vegano, ma il problema è che sono pochissimi i birrifici che specificano il ricorso a questa sostanza durante il loro processo produttivo. In altre parole è spesso impossibile sapere a priori se una birra è realizzata tramite il ricorso a isinglass.

Lattosio

Il lattosio è un ingrediente sempre più spesso utilizzato nell’ambito del processo brassicolo. Fino a qualche tempo fa era limitato quasi esclusivamente a un solo stile birrario, quello delle Milk Stout (anche conosciute come Sweet Stout): birre scure riconducibili alla famiglia delle Stout, in cui la “durezza” dei malti torrefatti è mitigata dalla dolcezza e dalla morbidezza di questo ingrediente. In passato quindi a un vegano bastava restare alla larga dalle Milk Stout per avere la ragionevole certezza di non incontrare lattosio in una birra. Il recente interesse verso birre dal corpo felpato e morbido ha però esteso l’utilizzo dell’ingrediente anche in altre tipologie. L’esempio più celebre è rappresentato dall’ascesa – per la verità parecchio ridimensionatasi negli ultimi tempi – delle Milkshake IPA, India Pale Ale di stampo americano in cui il lattosio serve per restituire una mouthfeel simile a quella di un milkshake, per l’appunto. In aggiunta il successo delle New England IPA ha spinto alcuni birrifici a ricreare le sensazioni tattili tipiche di queste birre “barando” in varie maniere, ricorrendo anche – indovinate un po’ – al lattosio. Il risultato è che oggi il rischio di incontrare questo ingrediente in una birra è tutt’altro che irrilevante, anche al cospetto di produzioni che apparentemente non destano sospetti. Un problema per chi è vegano, ma soprattutto per chi è pericolosamente intollerante alla sostanza in questione.

Oyster Stout

Se la Mercer’s Meat Stout citata in apertura vi sembra una curiosa stranezza risalente ad epoche remote, sappiate che ancora oggi tiene banco il sottostile delle Oyster Stout, birre scure di stampo anglosassone prodotte con l’impiego di ostriche. Questa consuetudine produttiva si diffuse verso la fine della prima metà del XX secolo tra i birrifici inglesi, che vollero aggiungere nelle loro birre un mollusco che in passato aveva rappresentato uno snack popolare consumato all’interno dei pub. Oggi il costo del bivalve ha ridotto drasticamente il numero di Oyster Stout presenti sul mercato, con alcune eccezioni: ad esempio quella del birrificio irlandese Porterhouse è distribuita in tutto il mondo. In Italia abbiamo pochissimi esempi, in cui tra l’altro le ostriche sono integrate (o sostituite) da molluschi più comuni alle nostra latitudini. Ma che siate vegetariani o vegani la morale ormai l’avrete capita: state alla larga da una birra definita Oyster Stout perché, a differenza di quello che si potrebbe pensare, è effettivamente prodotta con l’aggiunta di ostriche (o di qualche parente stretto).

Miele

Se siete vegani avrete escluso dalla vostra dieta il miele e i prodotti che ne prevedono l’impiego. Fate attenzione, perché tra questi ultimi rientrano anche alcune birre, non necessariamente ricollegabili a uno stile preciso. Con l’espressione Honey Beer, infatti, si indicano generalmente produzioni che nella loro ricetta ricorrono a questo speciale ingrediente, spesso per ampliare il proprio ventaglio aromatico e aggiungere dolcezza alla bevuta. È una consuetudine produttiva piuttosto circoscritta, ma non così rara nel comparto brassicolo. I mieli usati possono essere di diverso tipo, ma questo per voi vegani dovrebbe essere un dettaglio irrilevante. A ogni modo il suo impiego è chiaramente esposto in etichetta tra gli ingredienti utilizzati, quindi non dovrebbe essere un problema evitare certe birre.

Birre strane

Quelle fin qui elencate sono birre “normali”, riconducibili cioè a tipologie consolidate o a soluzioni tecniche ampiamente diffuse. Esistono poi birre “strane”, che giocano sull’effetto sorpresa ricorrendo all’utilizzo di ingredienti inusuali, talvolta al limite del buon senso. Il caso citato in apertura della birra al bacon è solo la punta dell’iceberg, perché non sono pochi i prodotti che si allineano a quello del birrificio Rogue. Basti pensare che tra le birre più strane del mondo sono spesso citate l’islandese Hvalur 2, realizzata con testicoli di balena, o la danese Antnother Brick in the Wall, la cui ricetta prevede l’impiego di formiche rosse vive. A occhio e croce direi che tutti questi prodotti non si adattano alla dieta di vegani e vegetariani, ma le loro peculiarità sono così evidenti che è impossibile cadere in errore. E vi confido che anche il sottoscritto vacilla di fronte a certe trovate.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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18 Commenti

  1. Per non parlare dei lieviti che sono esseri viventi che il birraio sfrutta per produrre la birra XD

    • Ciao Andrea,bel articolo ,breve ma esaustivo. Non sapevo dell’esistenza di certe birre “strane”,fatte più per stupire. Personalmente sono per la vecchia e cara scuola brassicola: pochi e semplici ingredienti.

      • Ciao Amedeo, grazie. Anche io sono per la vecchia scuola, ma se l’argomento ti stuzzica ho scritto diversi articoli in passato al riguardo

    • I lieviti sono funghi. Quindi vegani. Benchè esseri viventi.
      Magari qualche dubbio …su qualche ceppo di batteri per le sour lo avrei…ah li attenti pure a moscerini e mosche !!

  2. E ti chiedi come mai siamo veg???!!!con tutto lo schifo che c’è …poi comincia a guardare un po di indagini sotto copertura con quanta crudeltà trattano gli animali… Cerca i loro occhi terrorizzati….e poi capirai xche ci sono i vegani….devi misurare il grado di sensibilità e gentilezza. Da uno a dieci….zero è quello degli onnivori….

    • Senti Mina questa non è la sede per intavolare discorsi del genere, ma potresti cominciare a portare rispetto per chi ha convinzioni diverse dalle tue.
      P.S. Siamo tutti onnivori, anche tu. L’essere umano è onnivoro per definizione.

      • Ciao,ok per l’articolo e ti ringrazio,sono vegano ormai da 9 anni,non voglio intavolare nulla,ma vorrei precisare che l’essere umano è scientificamente ‘frugivoro’.
        Definire onnivoro l’essere umano è biologicamente errato,in quanto si sa benissimo che non abbiamo determinati enzimi a farci assimilare alcuni alimenti.
        Inoltre,sempre definito scientificamente, le nostre arcate dentali non sono predisposte a tritare alcuni alimenti, possiamo dire che per semplice gusto e abitudini inculcate fin dai primi anni di vita hanno fatto in modo che diventassero parte della nostra quotidianità.
        Grazie ancora per l’articolo.

        • Ciao Tommaso, ti ringrazio.
          Anche qui senza entrare in discorsi off topic, sarei curioso di conoscere le tue fonti perché ciò che hai scritto mi risulta errato.

    • Amico vegano, abbi fede. Se nun te bevi la Oyster Stout di Porterhouse o la la Milkshake IPA di The Garden o la Creamy&Peach di Tiny Rebel, il torto lo fai a te stesso, non al mondo animale. Fidate!

  3. Grazie, bell’articolo.. Da Vegano, poi mi è tornato utile!! Grazie..

  4. Complimenti per l’articolo, molto interessante ed istuttivo, soprattutto per chi ha interesse alla componente etica di cibi e bevande.
    Se posso permettermi anche io di tenere aperto il tema relativo a ciò che “siamo” dal punto di vista dell’alimentazione (incamerare nozioni che constrastino con il nostro status quo è sempre difficile e fastidioso, lo so), direi che capire quale sia il nostro cibo naturale non è difficile da come azione.
    Basta non aver paura di mettere in moto il proprio intelletto (cosa che potrebbe portare a ritrovarsi davanti a risultati scomodi, che prevedono riflessioni e giudizi sul proprio comportamento).
    Semplicemente, ciò che deve essere trasformato per essere reso commestibile, non è un nostro cibo naturale.
    A parte la nozione che tutti sanno, che nessun animale mangia qualcosa che non sia già in natura perfettamente compatibile con il suo organismo (cosa che ovviamente abbiamo fatto anche noi, agli albori della nostra esistenza sulla Terra), volendo chi non ci crede può fare un semplice esperimento: prendere un coniglio, torcergli il collo e provare a mangiarlo partendo da come si presenta: aprendolo a morsi con il solo ausilio delle mani, esattamente come farebbe con una mela o un pomodoro.
    Credo che alla maggioranza delle persone, basti solo pensare a questo esperimento per capire che senza previa trasformazione, il conigli e gli animali in generale non sono assolutamente il nostro cibo naturale in quanto immangiabili. Senza dissanguamento, sezionamento, frollatura, pulitura, taglio, cottura (che assieme alla frollatura non è altro che una predigestione) e condimento, nessuno mai potrebbe consumare un coniglio, figuriamoci una mucca. Nessuno che muore di fame, nudo ed in una stanza vuota, davanti ad un pollo e ad una cesta di frutta, si sfamerebbe aprendo a morsi il pollo.
    Quello che facciamo grazie alla tecnica e alla tecnologia, non è che sia sbagliato a prescindere, di certo non modifica la nostra natura biologica.
    Prendere un aereo da Roma a Milano non ci trasforma certo in uccelli. 😉
    Poi è ovvio se per considerarsi onnivori basta essere in grado di consumare degli invertebrati come gli insetti, allora sì, siamo onnivori, e buon appetito.
    Per concludere, nessuno dice che bisogna solo mangiare cibi nativamente commestibili. Ci troviamo a vivere a latitudini dove anche dal punto di vista ambientale siamo costretti a compiere gesti innaturale, come coprirci, pena il morire di freddo (e non c’è bisogno di arrivare ad Oslo per fare quella fine).
    Tutto il nostro vivere naturale è stravolto.
    Questo però non significa che abbiamo diritto a mettere nella birra o nel piatto, la mamma, l’amico, il gatto dell’amico, il cane randagio o qualsiasi altro essere senziente che con gli ultimi due condivide il medesimo diritto alla vita.
    Non è il capriccio di qualcuno che può rendere la vita del vitello meno importante di quella del cagnolino.
    Entrambi non sono cibo naturale per l’essere umano ed entrambi vengono al mondo con il medesimo diritto di restare vivi.
    Chiaramente poi tutto ciò che non è vietato dalla legge, è legale, pertanto se a uno basta questo, può benissimo consumare tutto ciò che non gli viene vietato di mangiare.
    Sarebbe più onesto però se almeno lo facesse senza offendere l’altrui e soprattutto la propria intelligenza, ovvero spacciandosi per quello che non è: un uccello perché vola in aereo o un onnivoro perché consuma animali resi commestibili.
    Un saluto.

    • Chiedo scusa per gli errori di battitura, mai mettersi a scrivere queste cose andando di fretta… :\

    • Io mi chiedo cosa spinga un vegano a venire su un sito che parla di birra e a cercare di giustificare le sue scelte alimentari con un pistolotto che è totalmente fuori argomento con l’articolo in questione. Davvero non capisco questa propensione da novelli Testimoni di Geova, tra l’altro fondata su considerazioni fallaci.

      Personalmente mangio pesce e carne cruda. Vado pazzo per i crostacei crudi, quando posso mi abbuffo di ostriche e altri molluschi crudi, amo le tartare di manzo e di spigola. Il discorso della trasformazione dei cibi lascia il tempo che trova. Probabilmente in situazioni estreme mi ritroverei a mangiare un coniglio crudo, o anche un gatto chissà. Sono tante le storie del genere in tempo di guerra o carestia. Lo stesso Homo Sapiens si è sempre cibato di carne cruda, poi ha trovato il modo di renderla più gustosa e digeribile, ma tant’è. D’altro canto non credo che tu sia solito prendere patate dal terreno e mangiarle crude, scommetto che le hai sempre prima trasformate come altri ortaggi. Quindi? Le patate non sono i nostri cibi naturali? E invece i gamberi di Mazara del Vallo lo sono?

      Parli di rispetto e di offese. Ho solo scritto che non capisco il vostro regime alimentare e che l’uomo è onnivoro, cosa confermata dalla letteratura. Sono ancora in attesa delle fonti che smentiscano questo presupposto. Io non capisco. Uno prende una decisione “etica” e la porta avanti. Non basta? Perché questa voglia di venire su un sito di birra a fare proselitismi, a raccontare roba priva di fonti, a voler convincere altri sulla base di ragionamenti senza senso?

      Non pubblicherò altri commenti di questo tipo. Se volete parlare di birra bene, il resto non mi interessa affrontarlo in questa sede.

      P.S. ora mi beccherò anche i commenti offesi dei Testimoni di Geova 🙂

  5. Ciao,
    2 piccole considerazioni. le chiarifiche di natura proteica sono generalmente seguite dall’aggiunta di bentonite, una argilla che serve appunto anche per eliminare gli eventuali residui della chiarifica, una corretta chiarifica così fatta non lascia nessun residuo del prodotto proteico utilizzato specialmente perchè in genere seguita da un filtrazione, tanto che nonostante oggi i macchinari per la ricerca analitica delle sostanze siano estremamente evoluti non è possibile trovarne traccia. poi ognuno è ovviamente libero di fare quel che crede meglio.
    Oltre alle sostanze citate nell’articolo aggiungo il lisozima, enzima molto usato nell’industria birraria per il controllo dei batteri lattici, che derivando dall’albume d’uovo non va bene per i vegani, ma come peraltro il lattosio essendo allergene è OBBLIGATORIO PER LEGGE citarlo in etichetta, tanto che la ricerca del lisozima è uno dei test standard che fa il Mipaaf durante i controlli nei birrifici. Concludo dicendo quindi che i vegani, una volta letta l’etichetta possono stare tranquilli e bersi tutte le birre che includono negli ingredienti solo quelli che in realtà dovrebbero esserci acqua, malto, luppolo e lievito…

    • Credo che per i vegani il problema sia nell’uso di sostanze animali per la creazione del prodotto, indipendentemente dalle tracce che vi si possono trovare al momento del confezionamento.
      Con le etichette risolvi il problema per quanto riguarda le bottiglie, ma non l’acquisto al pub, dove difficilmente trovi informazioni sugli ingredienti. Un problema soprattutto per chi soffre di intolleranze.

  6. Grazie Andrea per l’articolo, decisamente utile 🙂

    Alcune persone hanno scritto in maniera un po’ polemica, immagino per le due parole che hai dedicato tu alla scelta vegana, provo a spiegartelo in due parole: quella vegana non è una scelta in fatto di cibo ma una filosofia, una scelta di vita e rispetto.
    Spesso è facile non comprendersi, la causa principale riguarda la piega che prendono queste osservazioni: da lì alla battuta alle offese il passo è spesso brevissimo, per questo in tanti cercano di capire con chi hanno a che fare, è tutto qui.

    Ancora un saluto e ancora grazie per l’articolo 🙂

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