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Il laboratorio sulle IPA (o meglio, AiPiEi) durante l'IBF Roma

La Meantime IPA (foto: MySobry)
La Meantime IPA (foto: MySobry)

Come avevo annunciato negli scorsi giorni, durante il recente Italia Beer Festival di Roma ho condotto insieme a Giaguarino (al secolo Luca Sabatella) un laboratorio di degustazione sulle IPA. Niente di particolarmente originale, penserete, e infatti l’argomento è stato trattato in più occasioni. Il nostro approccio però è stato in qualche modo provocatorio, perché volevamo offrire una panoramica dello stile – dalle sue interpretazioni più classiche alle moderne evoluzioni – da contrapporre all’attuale “moda delle AiPiEi”, di cui nella Capitale sembrano presenti aspetti alquanto aberranti.

Il boom del movimento birrario romano negli ultimi anni ha portato a un curioso fenomeno, per cui le India Pale Ale sono improvvisamente diventate la tipologia di birra più richiesta, soprattutto dai segmenti più giovani di consumatori. La moda è sicuramente partita dall’estero, dove questo stile di origine anglosassone è diventato il cavallo di battaglia di tanti birrifici di nuova generazione, abituati a puntare su una comunicazione aggressiva e un marketing efficace. Il successo delle IPA ha fatto crescere una grande richiesta di birre di questo genere: un fenomeno curioso, se pensiamo che è solo uno dei tantissimi stili esistenti nel mondo brassicolo. Inoltre, la moda si concentra soprattutto sulle interpretazioni più moderne ed estreme dello stile, trascurando le produzioni più aderenti alle ricette classiche. Ecco le ragioni che ci hanno spinto a cercare di fare chiarezza riguardo alle IPA e di condurre il laboratorio in oggetto.

Devo ammettere che il pubblico si è dimostrato molto interessato e partecipe, accompagnando gli assaggi con le proprie opinioni. Un feedback prezioso, che ci ha permesso di verificare i gusti dei presenti in tempo reale, scoprendo che non tutte le opinioni erano concordi.

ivanhoe1Per spiegare l’evoluzione dello stile, siamo partiti dalle birre che sono considerate capostipiti delle IPA: le Pale Ale. Benché oggi in Italia non sia facile trovare Pale Ale di impostazione tradizionale, abbiamo trovato un valido prototipo nella Ivanhoe di Ridgeway, che, a scanso di equivoci, si autodefinisce sull’etichetta “A very English Pale Ale”… meglio di così 🙂 . Qualcuno l’ha definita “scialba”, qualcun altro ne ha giudicato “eccessiva” la nota di caramello. La verità è che oggi probabilmente il gusto dei consumatori è cambiato radicalmente rispetto al passato e una Pale Ale, per quanto buona, può risultare di non facile approccio.

Come interpretazione classica dello stile India Pale Ale ci siamo invece affidati alla IPA di Meantime, che alla fine è stata eletta miglior prodotto del laboratorio. La Meantime è piuttosto aderente alla ricetta classica e si distingue per la sua generale eleganza, elemento che è stato apprezzato da quasi tutti i presenti.

snake-dogSuccessivamente abbiamo attraversato l’Atlantico per introdurre le American IPA, iniziando quindi il percorso di estremizzazione dello stile. Abbiamo parlato del carattere più deciso di queste birre: un numero maggiore di unità di amaro, una gradazione alcolica superiore, l’impiego di luppoli americani dalle marcate caratteristiche aromatiche. Abbiamo proposto ai partecipanti la Snake Dog di Flying Dog, che secondo noi è una delle migliori interpretazioni dello stile, capace di mantenere un certo equilibrio se paragonata alle versioni più muscolari di altri birrifici.

Infine abbiamo chiuso parlando delle Imperial IPA e della corrente scandinava (in particolare danese), che si ispira alle IPA di stampo americano per spingerle a ulteriori limiti di estremizzazione. Come dimostrazione di questo fenomeno abbiamo puntato su una Happy Hoppy Viking di Hornbeer, che è apparsa come una birra davvero eccessiva. Molti dei presenti hanno confermato la mancanza di eleganza e la smodata esasperazione di certi caratteri, mentre altri (per la verità in minoranza) hanno espresso la propria predilezione per questa filosofia produttiva.

La Happy Hoppy di Hornbeer
La Happy Hoppy Viking di Hornbeer

In conclusione credo che sia stato un laboratorio divertente e istruttivo, che ha permesso ai partecipanti di avere una visione a 360° dello stile e a noi di verificare i gusti dei consumatori capitolini. Probabilmente abbiamo un po’ influenzato i giudizi con le nostre opinioni 😛 ma è stato comunque rassicurante scoprire che una IPA classica come quella di Meantime è ancora considerata al top della categoria. Interessante è stato anche il punto di vista di chi ha espresso la propria predilezione verso gli ultimi prodotti, motivandola con una maggiore complessità generale.

Come spesso accade, alla fine è tutto una questione di gusti. Tuttavia ci fa piacere pensare che da oggi qualche consumatore romano conosce qualcosa in più sulle IPA e soprattutto sa che non esistono solo le interpretazioni più estreme e muscolari. Un grazie a tutti i partecipanti.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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35 Commenti

  1. Un laboratorio quantomai doveroso considerando la corsa dei produttori al “famolo strano”…o meglio facciamola più amara. La IPA di Meantime, secondo me, è veramente una birra da manuale, così come mi entusiasma la “tranquilla” IPA di Ridgeway sebbene non sia così fedele alle IPA sotoriche come invece lo è la Meantime.
    Comunque buone IPA a tutti….più o meno luppolate e/o equilibrate;-)

  2. Buona la “verticale” che hai presentato, Andrea.
    Il 3° livello (American Ipa) è il mio preferito, penso alla Snake Dog, ma soprattutto alla Harvest di Sierra Nevada o alla Titan Ipa di Great Divide (per parlare di quelle più reperibili). Ovviamente non disdegno i primi 2 livelli o il quarto, ma quest’ultimo lo trovo anch’io un pò eccessivo, soprattutto se pensiamo alle DIPA o alle Imperial Ipa di 9-10 gradi e oltre. Stesso discorso, Andrea, farei anche per le Stout, che nelle versioni classiche sono eccellenti, ma che personalmente mi lasciano qualche perplessità in quelle estreme (Imperial o Russian di 9-10 gradi e oltre), anche se queste ultime vanno per la maggiore, soprattutto se si guargano le classifiche di Beer Advocate o Ratebeer.

  3. al macche’ siete …..STANNO SBARCANO LE BIRRE DEL LARIANO! (notizia di pochi attimi fa’) ciaoooooo

  4. @i am hoppy
    Sì sarebbe interessante anche un discorso su stout e porter e loro interpretazioni più muscolari. Uno stile che soffre delle stesse deformazioni delle IPA. Magari alla prossima occasione…

  5. @i am hoppy
    non sono d’accordo:di imperial c’è solo la stout, uno stile classico quanto le stout canoniche,solo ora l’aggettivo è diventato moda, indice di puro marcketing e di un’estremizzazione moderna in chiave prettamente alcolica di alcuni stili.le varie imperial ipa, pilsner, blanche, mild e chi più ne ha più ne metta sono le vere porcate di oggi.poi che molte interpretazioni cafoni(americane soprattutto) delle russian imperial stout siano senza dubbio quantomeno opinabili questo è un altro discorso.ma sono appunto interpretazioni:pensa semplicemente ad una Samuel Smith Imperial Stout e poi mi dici se ha niente a che fare con tutto quello.

  6. devo dire che continuo a non trovare la happy hoppy “estrema”. Sicuramente è una birra “importante” anche dallo stile un po’ fuori (forse) ed incerto (double/imperial ipa lascia un po’ il tempo che trova come definizione), ma ho bevuto roba decisamente più squilibrata o esagerata; certi brodoni di luppolo e alcol…sarò abitualo male io 😀

    Poi dipende sempre come si prende come esempio. La pliny the elder, pur essendo teoricamente una D/I IPA l’ho trovata di classe ed equilibrio straordinario.

    stranamente non mi è piaciuta particolarmente la flying dog. Dico “stranamente” perché tutti ne parlano invece benissimo.

  7. @INDASTRIA
    Secondo te quali sono IPA esagerate?

  8. @INDASTRIA
    Dietro la Pliny c’è un Maestro, questo differenzia una birra fatta con criterio da una che segue una moda…Non è una crocifissione ad uno stile, ma ad un suo degeneramento puramente mediatico e di mercato con prodotti assolutamente scadenti.
    Ottimo esempio!

  9. beh, per capirci subito, se c’eri al 100 beers del 4:20 qualche esempio c’era. 😀
    Ma non sto, tranne pochissimi casi, bocciando certe birre, solo mettendole in scala di “esagerazione”

    CMQ il tuo seminario aveva assolutamente senso, la “deriva” degli stili esiste eccome, non è da mettere in dubbio questo. E sei riuscito pienamente a farlo capire.

    mi auguro che ripeterai questa orizzontale/verticale anche per altri stili. IRS stout su tutti…

  10. Sono passato giusto per fare un ripasso 😉

  11. Mi associo ad INDASTRIA su tutto. Ho poi approfondito un po’ sul blog, per chi ha la pazienza di leggere… 🙂

  12. @Patrick
    Letto il tuo resoconto 🙂 Mi sembra di capire che il seminario sia piaciuto parecchio… sono contento 🙂 .

    Due domande: per quale motivo consideri “anonima” la Snake Dog, anche considerando che per la generosa luppolatura non passa certo inosservata?
    L’altra è valida per tutti: quali sono le manifestazione alle quali avete partecipato e che avevano un livello qualitativo di birre elevato?

  13. @Andrea
    Anonima perché, gusto mio, mi è sembrata non vuota, ma priva di spessore: il luppolo c’è, l’amaro pure, e sicuramente la birra presenta un certo equilibrio come hai scritto nell’articolo sopra. Ma… non so: non spicca, non resta impressa nessuna particolarità (se non le note citriche del Columbus con cui è brassata, credo); ti viene da dire che sia “una come tante”. Le preferisco la Titan della Great Divide, non esagerata come la Southern Tier IPA ma sicuramente più pronunciata e decisa della Snake Dog… 🙂

    Sulle manifestazioni: considerando il “100 Beer World Party” di gennaio come un’eccezione (visto che soltanto Alex, in Italia, credo sia in grado di mettere a disposizione una varietà simile, numericamente e qualitativamente parlando… 🙂 ), posso dire che già all’ultimo “Birre sotto l’albero” il livello era molto più alto dell’IBF di quest’anno. E proprio le italiane natalizie, mediamente, anche se c’erano comunque delle robe allucinanti (Colonna penso che ricorderà la spuma al carciofo… :D), facevano la loro figura…

  14. @Indastria
    La differenza è semplice: la Pliny è nata come una birra, una estremizzazione di una IPA. Poi, essendo ammeregani, hanno detto: “come la catalogo?” E sono nate le DIPA.
    I danesi sono arrivati molto dopo, ai tempi stavano ancora facendo biscotti… 😉

  15. @tyser, questo è ovvio.

    Quello che forse stavo tentando di dire è di non demonizzare lo stile ma i singoli esempi. Colonna ci è riuscito a spiegarlo meglio di me in due righe.

    Che poi americani e danesi mediamente esagerino era, almeno per me, implicito nel seminario 😀

  16. @Patrick
    Capisco le tue osservazioni sulla Snake Dog. Per me è una grande birra. Concordo sul fatto che la Titan sia ancora più grande (non solo per il nome). Ma per quanto mi riguarda è come dividere l’eccelso dal sublime. Non ho mai bevuto, causa scarsa reperibilità, le Pliny: dove le trovate?
    @ Dan
    Le imperial stout credo siano già una evoluzione/degenerazione dello stile classico. Un approfondimento andrebbe fatto, anche sulle Porter.

  17. Qualche anno fa ero in visita da amici nel Surrey e, durante la spesa da Sainsbury’s, al reparto birre noto ‘ste bottiglie “fuori standard”: 75 cl, tappo di sughero, etichetta strafica. Meantime IPA c’era scritto.
    Subito ho pensato al pacco, visto anche il prezzo piu’ elevato della media, prezzo che, col senno di poi, ora non considererei piu’ tanto elevato… 😉
    Insomma, ero persuaso d’essermi imbattuto in un’avanguardia inglese della fighetteria birraria nostrana: packaging sciccoso con la morte dentro. Ma ne presi una bottiglia lo stesso.
    Sorpresona: una birra fantastica, da leccarsi i baffi.
    Bravi, Luca e Andrea, ottima scelta anche dal punto di vista didattico, IMHO.

  18. @i am hoppy
    In realtà le Imperial (Russian) Stout sono uno stile ben definito, con una tradizione secolare e una storia simile a quella delle IPA. Proprio come per quest’ultime, sono state recuperate e reinterpretate da diversi birrifici, americani e danesi su tutti.

    @Harvey
    Siamo stati anche fortunati a trovarne disponibilità all’ultimo momento.
    A proposito, grazie ai beershop Off License e Gradi Plato per il supporto!

  19. @ Andrea
    Non parlavo delle Russian, invero. Ma delle attuali imperial stout che, ahime, regnano nelle classifiche dei raters.

  20. @i am hoppy
    Ah ok, avevo capito male

  21. @i am hoppy
    Sei di Salerno?

  22. ma non è anacronistico vedere questi generi e analizzarli così tutti insieme? le IPA (se non è una storiella) erano brassate per essere portate dai soldati in India e il luppolo agiva come conservante… stesso discorso per le Imperial o Russian Stout (alcool contro il congelamento)… le ricette che troviamo oggi sono senza dubbio solo rivisitazioni di birre che erano fatte per necessità cosa che ai nostri giorni non è più necessaria grazie alle filiere. penso personalmente che andando avanti salteranno fuori birre sempre più estreme e con gradi IBU sempre più alti…

  23. il post di prima non significa niente, mi ci sono impegnato a rileggerlo ma fila molto XD

    ma qualcuno di voi sa dirmi quanti gradi IBU ha la Mikkeller1000IBU?

  24. Scusate la ignoranza, io ADORO le IPA, e le porter, ma soprattutte le birre della flying dog, ma in italia non le ho mai trovate… (e magari diventano piu’ buone a forza di essere solo un ricirdo). Avete suggerimenti? (tra Bologna e Venezia). Grazie!

  25. per quanto mi riguarda da amante delle ipa io credo che una cosa non escluda un’altra,e credo che ad ogni livello ci siano cose fatte a regola d’arte e cose meno riuscite,a partire dalla più leggera e ingleseggiante delle pale fino alla più mostruosa e palestrata D-IPA,ma vorrei focalizzarmi sul fatto che le ipa siano questo periodo birre di gran successo(il termine moda non mi sembra esatto),questo è un segnale positivo che fa spia ad un bisogno di novità(che novità ovviamente non è),è spostare l’attenzione del palato sul luppolo piuttosto che sul malto ovvero capire che la birra non comprende solo i classici aromi e gusti che il bevitore non artigianali si aspetta,a me piacciono le ipa equilibrate di ricetta classica ma adoro anche le luppolature esagerate,ma ciò non mi impedirà di scegliere tra due d-ipa,la hop15 di Port Brewing mi piace ma la Mean Manalishi di Hoppin Frog per niente,e le ipa(single hop e non)di Mikkeller hanno secondo me il difetto di essere troppo simili tra loro,c’è l’inconfondibile base Mikkeller che non passa proprio inosservata…per concludere penso che la soluzione stia sempre nel bere tanta birra per affinare un percorso gustativo(forse il mio fegato non è d’accordo)

  26. @Patrizio
    D’accordo con te: bere tanto e bere diverso
    Comunque serebbe un bel mondo se le birre industriali sapessero anche un minimo di malto

  27. @ Mauro
    Si, sono di Salerno città.

  28. @i am hoppy
    Anch’io sono di Salerno centro magari già ci conosciamo …
    se vuoi ti do l’email [email protected]
    Saluti Mauro

  29. Giuseppe Del Giudice

    io sono di Nola

  30. Fermento campano, per una volta tanto invece del Daje romano, possiamo finalmente dire “rall”!

  31. @Giuseppe Del Giudice
    Ciao Giuseppe l’email vale anche per te chiaramente;mettiamo su un gruppo campania:)

    @Andrea Turco
    Scusa per questa divagazione neomelodica 🙂

  32. Giuseppe Del Giudice

    ok ci sto’

  33. anche io sono campano così come Patrick Beatman. Io vivo a roma però

  34. Beatman classico cognome campano,dopo Esposito è il secondo più diffuso 🙂

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