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Robe da Chiodi 2019: com’è andata e cosa ho assaggiato

La locuzione famigliare roba da chiodi, cose da chiodi, con significati vari secondo le circostanze: roba di qualità scadente, cosa stranissima, o incredibile o spropositata, situazione che fa disperare, fatto che provoca meraviglia. [tratto da Treccani]

Questa è una delle varie interpretazioni dell’espressione “Robe da Chiodi”, da cui trae il nome l’omonimo evento brassicolo tenutosi il 21 e 22 giugno scorsi, nei pressi di Rovereto (TN). Giunto alla quarta edizione, questo appuntamento si svolge presso il vecchio Opificio delle Idee in località Trambileno appena fuori dalla città. Robe da Chiodi si definisce come un festival delle fermentazioni spontanee ed è organizzato dal Birrificio Italiano in collaborazione con Klanbarrique e quest’anno per la prima volta anche da Batzen Braü di Bolzano: 16 birrifici, 1 pub, 6 produttori di sidro, 3 attività vinicole oltre a due punti ristoro e musica dal vivo per un totale di 100 prodotti in mescita tra birra, vino, sidro e idromele.

Ricordiamo che Klanbarrique nasce da un progetto di sperimentazione che mira a creare birre speciali, con singolari contaminazioni dal mondo enologico, nato dall’incontro tra lo storico Birrificio Italiano di Limido Comasco e gli enologi trentini Matteo Marzari e Andrea Moser. Nel corso del festival sono stati organizzati quattro laboratori formativi per far meglio conoscere all’appassionato il mondo delle fermentazioni tradizionali e quelle più all’avanguardia.

La prima sera ho frequentato un laboratorio “Torbido!”, ossia un viaggio introduttivo nel microcosmo fermentativo condotto dal microbiologo Raffaele Guzzon e durante il quale abbiamo degustato  alcuni esempi di vini e birre sottoposti a fermentazioni compiute da diverse tipologie di microrganismi. In particolare abbiamo assaggiato:

  • Tipopils di Birrificio italiano, birra di “riferimento” ovvero prodotta con fermentazione ad opera di lieviti canonici tipo Saccharomyces;
  • Wildekind Brett Farmhouse Ale di Klanbarrique, una birra d’ispirazione belga invecchiata in botti da vino rosso con aggiunta di brettanomyces, secca e carbonata con note di fenoliche e di vaniglia;
  • Gosexy di Batzen Brau, una gose a base di coriandolo, sale, malto di frumento in combinazione con dei lattobacilli, che la rendono acidulata con note agrumate

Durante il festival invece ho provato una varietà di birre impressionante, dettate soprattutto dall’utilizzo di ingredienti non convenzionali e lieviti alternativi. Ciò ha permesso di creare un banco di assaggio unico, in cui si potevano degustare birre stravaganti e creazioni inusuali. Quello che mi ha stupito nei vari assaggi, ma soprattutto nelle chiacchierate informali coi produttori, è stata la loro abilità (sforzo) di venire incontro a palati meno abituati a gusti “non comuni”, quali ad esempio l’acido o il salato, e creare il giusto compromesso tra novità e abitudine, tra stupore e totale rifiuto da parte del consumatore.

Se volessi fare una fotografia d’insieme su cosa ho assaggiato a Robe da Chiodi, potrei riassumere così:

  • Diffuso uso di “base Saison”, come ricetta su cui sperimentare fermentazioni non convenzionali e aggiunte di ingredienti vari.
  • Presenza di una componente acida: non necessariamente marcata, anzi ampiamente modulabile a discrezione dei mastri birrai.
  • Frequenti note di vaniglia date dall’affinamento in botte.
  • Presenza ricorrente della frutta tra i vari ingredienti aggiuntivi.

Di seguito invece gli assaggi che ho trovato più interessanti nel corso del festival:

  • Lady Likén, della società agricola Birre della Terra & birrificio Bionoc, realizzata addizionandolicheni; una birra dal sapore minerale, quasi terroso con note di vaniglia date dal passaggio in botte (premiata argento a Birra dell’anno 2019, categoria 29).
  • Guna Sour di Rethia, versione brett della loro Chocolate Stout, arricchita con 20% prugne e 10% fichi; le note dei malti scuri si fondono con quelle della polpa delle frutta, rendendola molto facile da bere.

  • Raspberry Season di Draco’s cave, una base Saison affinata 4 mesi in botte di rovere e arricchita con aggiunta di lamponi; ciò che stupisce di questa birra è il colore rosaceo e l’intenso profumo di lamponi al naso (molto molto interessanti gli articoli presenti sul blog del loro sito su come giocare con lieviti e batteri!).
  • Vielle Saison di Ca’ del Brado, dove una base di frumento non maltato e avena, dopo una fermentazione “canonica”, viene affinata in barriques e riceve una contaminazione mista di brett e batteri lattici; il risultato è una birra secca, con forti note citriche e una spiccata acidità (forse la birra più “estrema” che ho assaggiato, premiata argento a Birra dell’anno 2019, categoria 37).
  • Sargeniska, del birrificio leccese B94, prodotta con aggiunta di succo di angurie prodotte a Nardò; l’assaggio è stato molto interessante in quanto abbiamo confrontato la versione prima (fresca, con amaro da luppolo un po’ spigoloso) e dopo (più rotonda e bilanciata) l’affinamento in botte.

Di recente sto osservando nel mondo dei social network (specialmente su pagine inglesi e canali Instagram) un aumento dell’attenzione verso il mondo sidro, in particolare un forte impulso di promozione della cultura sidricola attraverso degustazioni, visite ai produttori, saloni, fiere, congressi e nuove tap room. Per questo motivo ho deciso di approfondire questa tematica durante il festival. Nella la seconda serata infatti ho seguito il laboratorio Interpretazione Italiana del Sidro, ossia un viaggio tra le migliori realtè sidricole del nostro paese, condotto dal pommelier Marco Manfrini e da Anna Borrelli.

Da questo laboratorio sono emerse due importanti considerazioni: la prima è come il sidro si dimostri essere una bevanda estremamente versatile tanto quanto la birra, in grado non solo di essere usata come aperitivo, durante il pasto o il dessert, ma anche di essere sottoposta a fermentazioni spontanee, o essere spumantizzata o trasformata in liquore. Complice anche il fatto di riferirsi a una legislazione diversa da quella brassicola. La seconda è che diversi birrifici italiani hanno già deciso di produrre anche loro un sidro; ciò nasce soprattutto come un desiderio di rafforzare il legame col territorio in cui sono inseriti, attraverso delle collaborazioni con dei produttori locali, più che come mera operazione commerciale mirata ad allargare il catalogo prodotti. E’ il caso di Birra Ofelia, Birra Perugia e Birra San Gimignano col suo progetto Cantina Errante. Come potete dedurre, il sidro è un altro mondo, vasto, parallelo ma non distante a quello della birra, destinato a rafforzarsi.

Robe da Chiodi è un momento genuino e informale per venire a contatto con il mondo delle fermentazioni alternative, utilizzate prevalentemente nel mondo brassicolo ma anche su altre bevande quali vino, sidro, idromele. E’ una realtà piccola ma consolidata, divertente e informale, volendo anche didattica, che spero veder crescere nei prossimi anni. La consiglio davvero a tutti gli appassionati di birra, specialmente a tutti coloro che sono curiosi di espandere le loro percezioni sensoriali verso nuovi orizzonti. Wassail!

L'autore: Andrea Bedini

Chimico di professione, appassionato di viaggi e montagna. Da diversi anni fa parte della redazione di Cronache di Birra, è membro attivo e organizzatore di eventi presso il Beer Tasting Torino. Fondatore dell'Associazione Pommelier e Assaggiatori Sidro, è tra i curatori della Guida alle Birre d'Italia per la sezione sidro. Diplomato assaggiatore ONAB e ONAV, collabora con l'università su alcuni temi scientifici dei fermentati.

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