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Gli eventi collaterali a Selezione Birra 2011

Con oggi chiudiamo l’ampio spazio dedicato a Selezione Birra per analizzare gli eventi che si sono tenuti durante la kermesse riminese. Come già accennato, niente di davvero eclatante, tanto che una volta trovatomi a girare per gli stand ho preferito continuare il mio personale tour di assaggi piuttosto che “distrarmi” con altri appuntamenti. Non me ne vogliano coloro che si aspettavano la mia presenza in alcuni incontri (primo fra tutti Lorenzo Bottoni), però le poche ore a disposizione e i tanti chilometri di distanza da Roma mi hanno convinto per una volta a dedicarmi all’attività principale: assaggiare le birre presenti. Grazie comunque ad alcuni resoconti on-line, cercherò di offrire una panoramica di quanto accaduto…

Del premio Birra dell’anno di Unionbirrai abbiamo ampiamente parlato, ma non è stato l’unico progetto portato avanti dall’associazione nazionale. Un’altra idea, che sta lentamente prendendo forma, è quella della Bottiglia Birra Artigianale Italiana, di cui ha scritto Beverfood negli scorsi giorni. Si tratta di una bottiglia universale per la birra di qualità italiana, che, negli intendimenti dell’associazione, sarebbe utilizzata da tutti i microbirrifici nazionali, o almeno quelli associati a Unionbirrai. La soluzione permetterebbe di identificare immediatamente il prodotto “birra artigianale italiana”, garantendo una facile riconoscibilità per il consumatore.

Il progetto sembra un’evoluzione della vecchia idea di un bollino per la birra di qualità. Invece di apporlo alle bottiglie dei birrifici identificati, si fornisce loro direttamente una bottiglia standard e unica per tutti, con il logo Unionbirrai già presente e un’ampia possibilità di personalizzazione in termini di etichetta. Qualche tempo fa su Facebook girò la foto dei primi prototipi, che trovate qui sotto. Che piacciano o meno, l’idea di una bottiglia universale non mi convince affatto, soprattutto in una nazione in cui i birrifici puntano spesso a distinguersi con bottiglie curate e dalla forma particolare. Men che meno mi piace il pensiero di entrare in un beershop e trovarmi di fronte a 75 cl tutte della stessa forma. Insomma, secondo me il proposito non avrà futuro, magari mi sbaglio.

I prototipi di bottiglia universale di Unionbirrai

Di ben altro avvenire, a patto che però sia realizzato nel migliore dei modi, è il progetto di una ricerca dedicata al settore, condotta in collaborazione con l’ALTIS dell’Università Cattolica di Milano. Come si può leggere su Vini e Sapori:

La ricerca sarà suddivisa in 2 fasi: la prima, di tipo qualitativo, raccoglierà interviste con imprenditori del settore al fine di identificarne tutte le criticità; la seconda consisterà in un questionario, al quale saranno chiamati a rispondere tutti i microbirrifici e i Brew pub al fine di rilevarne i percorsi di sviluppo strategico.

Lo scopo della ricerca è spiegato dal Dott. Benedetto Cannatelli dell’Altis:

L’obiettivo è quello di arrivare ad una mappatura dei microbirrifici su tutto il territorio italiano”. – Ha detto il Dott. Benedetto Cannatelli di Altis Università di Cattolica di Milano. “Una volta delineati i vari modelli effettueremo la seconda parte dell’indagine per capirne meglio filosofia e motivazioni. A lungo termine tutte queste preziose informazioni potrebbero costituire le basi per un Osservatorio permanente sulla birra artigianale che dia la possibilità di monitorare l’andamento dell’intero settore.

Chiuso il discorso Unionbirrai, passiamo all’incontro organizzato da Lorenzo Bottoni di Bad Attitude per la presentazione di Collettivo Birra. Come già scritto non sono stato presente, ma per fortuna Francesca de La Pinta Medicea ha scritto un ampio report sul blog dell’associazione. Il progetto Collettivo Birra punta a coinvolgere chiunque lo desideri in qualsiasi fase del processo produttivo, dalla messa a punto della ricetta alla selezione delle materie prime, dalla realizzazione del packaging alle strategie commerciali, fino alla partecipazione alle vere e proprie fasi di produzione brassicola. Un’idea innovativa e a dir poco ambiziosa, di cui spero che a breve siano rivelati i dettagli.

Sempre nell’articolo in questione trovate anche il resoconto della degustazione alla cieca organizzata da MoBI, in cui i partecipanti hanno bevuto (senza sapere a priori quali fossero) quattro diverse Pale Ale. L’associazione dei consumatori di birra ha anche presentato i primi risultati di Birra Chiara, il progetto per sensibilizzare i birrifici al ricorso a etichette esaustive, presentato un anno fa proprio a Rimini. Purtroppo on-line non si trovano report sull’incontro e sul sito dell’associazione non è stato ancora pubblicato niente a tal proposito. Visto che ho sentito pareri discordanti, voi cosa ne pensate di quest’ultima idea?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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57 Commenti

  1. “carine” le bottiglie, ma le vedo bene per un singolo birrificio, non per una bottiglia universale: troppo caratterizzate e cmq lontane dal concetto di birra.

    secondo me il problema è reale e vedo con piacere che anche le associazioni lo hanno notato.

    Secondo me ci si deve assolutamente allontanare dalle bottiglie “vino/aceto” (cosa che in molti non faranno visto che è proprio è l’effetto che vogliono) ma anche da quelle troppo caratterizzate.
    Pazienza per borgo, baladin, etc etc che ormai hanno costruito la loro identità anche su quello (ma non tutti se lo possono permettere).

    Io ritornerei all’italico formato peroni da 66 ma so che mi seguono in pochi in questa opinione 😀

    CMQ la bottiglia (quasi) “universale” è la regola di mercati come germania, usa e belgio che sulla birra hanno ancora tanto da insegnarci. non mi sembra una idea sbagliata in partenza.

    • Le avevo viste in rete già, volevo fare un post sul mio spazio web proprio a proposito delle bottiglie ma non ho ancora avuto modo.
      Anche io credo che come principio sia una idea veramente buona. Non so, personalmente, qual è il percorso attraverso cui si è giunti a questa forma. A me non piace molto, e suppongo si creino delle bolle d’aria in quelle anse del collo quando si versa la birra soprattutto nel caso la si inclini abbastanza, e questo la farebbe smuovere molto disperdendo più CO2 e variandone la presentazione in bicchiere, schiuma compresa.
      Non sono un distributore o publican, ma credo sia così.

      Credo, comunque, che nessuno voglia rinunciare all’eleganza di una bottiglia tutta sua, e che probabilmente è un discorso che è più facile che venga dal basso che dall’alto, fermo restando che il contributo delle associazioni come guide e riferimento è sempre determinante!

    • No idea sbagliata in partenza no, ma non adatta al mercato italiano, in cui sappiamo bene come la maggior parte dei birrifici posiziona il proprio prodotto. Non per niente hai citato tutte nazioni che concepiscono la birra (artigianale) in modo del tutto diverso da noi.

      • Beh questo è implicito. Infatti le bottiglie son conseguenza proprio del mercato di riferimento dei birrifici italiani

        Io cambierei anche quello 😀

    • Quoto in pieno il formato da 66!…

  2. Carattere, unicità, identificazione …… ogni uno deve usare le bottiglie della forma, del colore e del formato che vuole e che crede.
    E poi come si fa ad unificare il contenuto in un ‘unico formato ! Per alcune birre ci vorrebbe la misura da litro, per altre da 33, per altre ancora da 25 è sufficiente .
    mha !

    • Infatti la bottiglia è proposta in due formati.
      Il discorso non è tanto il volume ma la forma penso.
      Poi che siano 25, 33, 50, 66 o 75 poco cambia ovviamente. Il colore brown pensa vada bene ai più

      un litro lo vedrei bene per le malt liquor 😀

  3. A me sinceramente tutte ‘ste caratterizzazioni non fregano nemmeno un po’. E mi sembra che solo in Italia diano tanto peso al formato della bottiglia… tutti a volersi distinguere, tutti a volersela personalizzare. Ma sticazzi?
    Oltretutto incidono anche più sul prezzo finale del prodotto.
    Boh. Forse sono io strano, ma uno dei migliori formati che abbia mai visto in Italia, che più dà l’idea di una bottiglia di BIRRA (e non di vino, aceto balsamico oppure olio d’oliva) è quello da 66 della Peroni. Probabilmente i birrifici inorridirebbero solo all’idea perché “è della Peroni” e loro invece sono “artigianali” (brr).

    http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/aa/Birra_Peroni_66cl_%28July_2007%29.jpg/181px-Birra_Peroni_66cl_%28July_2007%29.jpg

    • io credo si vogliano proprio diversificare dal vino, ma SOPRATTUTTO dalla Peroni… e se tutti usano la stessa boccia, viene a costare anche meno quella boccia…

      non dico che sia giusto o sbagliato, ma bisognerebbe anche capire perché lo fanno e chi è il target

  4. In Germania, in Cekia , in Belgio ( in Inghilterra non so ) c’è un giro massiccio di bottiglie riciclate . L’80% delle bottiglie viene riciclato. Raccolte, smistate, lavate , analizzate , sterilizzate e riempite. Il formato è standard per questo motivo. Tutte le bottiglie vanno bene a più birrifici : basta attacre la giusta etichetta .

    Qua invece con il vuoto a perdere , con l’estro che abbiamo noi italiani, la fantasia e “megalomania” ma forse è il termine non azzeccato, tendiamo , cioè tendono, a personalizzare la bottiglia nella forma per far si che il loro prodotto sia unico. Una questione di immagine , così come l’etichetta. Per vendere devo ingolosire il possibile acquirente.

    • Ma io penso ci sia l’immagine di “prodotto artigianale certificato” anche dietro al progetto di bottiglia unica.
      Non vedo altri grossi motivi…si tratta solo di fare squadra e attrarre il consumatore indeciso, facendogli preferire un qualcosa di “certificato” a qualcos’altro di ignoto/indipendente. Quale sia la via da seguire lo ritengo opinabile…

      • quando si parla di ” prodotto artigianale certificato” si intende che rispetti un disciplinare ben preciso ?

        • In primis io intenderei “certificato” da Unionbirrai, ma magari successivamente ad eventi come Birra dell’anno o altri, questo si traduce transitivamente anche in “certificazione di qualità”, come prodotto soprattutto.
          Sono solo mie proiezioni…

    • Quoto. assolutamente

  5. Bha mi sembrano veramente tante chiacchere a vanvera. Sia sulla boccia che sui disciplinari, birrifici che si organizzano tra di loro e contro altri, bah la vedo troppo chiaccherosa la situazione. Bottiglie uguali o non, pensiamo a fa la birra bene e mettere prezzi seri indipendentemente dal tipo di boccia che incide si ma non così tanto.

    • mirko anche tu hai ragione però va detto che per molti birrifici non sempre la qualità è il l’obiettivo principale per sfondare su certi mercati

      • Infatti quelli possono mettere la boccia che gli pare e piace li rimangono 😛
        Poi come vedi dai commenti a x piace la bottiglia, a y no, quell’altro dovrebbe cambiare macchinario, quest’altro le etichette, la vedo improbabile, ma soprattuto inutile se non si fa RICICLO del vetro. L’estetica ha sempre una funzione importante anche nella scelta (vedi anche il discorso lattina) e ti posso assicurare che si ottengono buoni prezzi anche con una bottiglia seria. Tocca lavorare sulla qualità e sui prezzi onesti e basta.

        • Il riciclo dovrebbe essere un problema nazionale prima che dei birrifici italiani. Però anche loro potrebbero metterci la volontà e non fare discorsi “mi costa 50 centesimi in più la birra ma con la bottiglia particolare vendo di più” (cosa sentite realmente)

  6. Andrea, giusto per essere costruttivi e per migliorare obiettivi e azione, sulla presentazione dello stato del progetto “birra chiara”, che pareri discordanti hai sentito?
    Comunque pubblicheremo le slides sul sito appena possibile…considerate che per alcuni la fiera è finita sabato sera, per altri martedì sera 🙂

  7. anche a me la forma della bottiglia non piace molto, ma soprattutto la penso come “Angelo Jarrett” sul discorso delle possibili bolle d’aria che si formano nella strozzatura del collo.
    Magari mi sbaglierò, ma non mi sembra il massimo nemmeno per una versata fatta a più riprese perchè quella bottiglia deve essere inclinata maggiormente e quindi si rischia di far alzare la fondazza.

  8. per quel che ne sò io la bottiglia, oltre a non esaltarmi per diversi motivi, non costa neanche poco. Sinceramente se devo scegliere tengo quelle che ho, sennò sarei costretto pure ad aumentare il prezzo..poi non sò se quello che ci venne comunicato è cambiato. Ognuno può avere la sua idea, ma secondo me un bollino nell’ etichetta era un ottima soluzione, il fatto di avere tutti la stessa boccia la vedo una spersonalizzazione inutile e che toglie estro e fantasia.

    • La questione bottiglia è ovviamente parecchio dibattuta.
      Parto dal suo costo. E’ una bottiglia custom, i costi iniziali si abbatteranno notevolmente al raggiungimento di numeri significativi. A Rimini l’interesse è apparso reale, vedremo.
      Personalizzazione contro standardizzazione: la bottiglia ha il disegno che vedete proprio per permettere la massima personalizzazione con l’etichetta.
      Penso che anche la vista di 0,75 di uguale forma su uno scaffale ma con etichette estrose come in Italia abbiamo non faccia un effetto così negativo.
      Mi ripeto, la bottiglia è un mezzo di comunicazione di quello che siamo. Lo è certamente anche il logo Unionbirrai apposto sull’etichetta, cosa che Gennaro Cerullo di Birra Amiata fa da tempo: chi è socio Ub può farlo in qualunque momento e già così si saprebbe come produce la propria birra.
      Vado però oltre: quanti potenziali nuovi appassionati sarebbero incuriositi dalla bottiglia con il rilievo “Birra Artigianale Italiana Unionbirrai”? E la confusa immagine che all’estero diamo di noi, sarebbe meno confusa se chi esporta usasse la bottiglia Ub, con tutto il messaggio culturale che il marchio comporta?
      Per finire un piccolo OT: Selezione Birra ha portato con sè discussioni di alto livello, non vi pare?

  9. Se ne sentiva effettivamente il bisogno di questo progetto?
    Non era meglio impegnare risorse e persone per fare cultura , informazione , formazione?
    Approvo in toto il post di Mirko….pensiamo al contenuto e non alla forma.

  10. Andrea non sono d’accordo con la bocciatura della bottiglia unica: in Italia abbiamo ogni birrificio che si sceglie una forma propria ma non avendo volumi tali da abbassare i costi ci troviamo con il prezzo del solo vetro che incide anche più della metà su quello finale del prodotto, una bottiglia comune potrebbe senza dubbio portare ad un abbattimento dei costi (vedi la bottiglia “Albeisa” per il vino in Piemonte).
    Inoltre potrebbe creare le basi per un discorso di riciclo del vetro assolutamente carente in Italia ma che in Germania o Belgio è molto sviluppato ed abbassa molto il prezzo delle birre. Oltre ad essere più ecologico dello spreco di vetro…

    Ovviamente la bottiglia unica non la vorrei assolutamente associata ad un “bollino” di qualità che porterebbe sulla strada dei disciplinari, assurdi per il mondo della birra che vanta libertà e fantasia invece di norme rigide da far certificare da enti esterni…
    Se poi il discorso di associarlo alla bottiglia è solo per vendere più bottiglie perchè “questa è quella di qualità” allora siamo ai limiti della truffa.

    La qualità della birra non dipende dalla forma della bottiglia.
    Ciao
    Paolo

  11. certamente il consorzio di acquisto per il vetro abbatte i costi del vetro, che incide molto sul costo della bottiglia di birra, ma toglie un importante elemento di marketing per i produttori. 32 che cerca la bottiglia di whiskey, baladin con la bottiglietta da 25cc che usa anche per le bibite analcoliche o BdB che preferisce la sua bottiglia tipo spumante…e tante altre di queste scelte. chi ha investito per la creazione di un brand riconoscibile sul mercato si trova danneggiato da una scelta di questo tipo e non aderisce a tale iniziativa. la riduzione di costi dovuta dal acquisto comune di vetro, gli si riflette in perdita di immagine. in un settore che conta oltre 350 operatori, trovare il modo di distinguersi non solo per la qualità del prodotto, ma anche per la comunicazione visiva e l’immagine è fondamentale. gli esperti che riconoscono la qualità sono una percentuale bassa, in costante crescita; ma la birra artigianale italiana è un fenomeno di massa che ha la potenzialità di attrarre nuovi consumatori al mercato, senza togliere mercato ad altri operatori, ma contribuendo ad innalzare il consumo medio pro capite di birra. anche nel vio ognuno ha la propria immagine, basti pensare al verdicchio di jesi, commercialissimo, ma distinguibile sullo scaffale dalla bottiglia prima che dall’etichetta o dalla tipologia di vino.

    • Dal tuo discorso pare che la bottiglia sia importante quanto il contenuto, se non è addirittura più importante farsi riconoscere visivamente. Il che è un atteggiamento sbagliato, a mio avviso si sposa con logiche di business che in fondo tornano con la questione prezzi già analizzata fino alla nausea.
      Poi sempre a fare i paragoni col mondo del vino, ma ce lo togliamo ‘sto complesso d’inferiorità? Si sente sempre “Nel vino fanno…”, “Anche nel vino…”… e chi se ne strafotte? Son due mondi diversi, punto.
      Una bottiglia, per me, deve sembrare una bottiglia di birra. Poi ci si può anche sbizzarrire nel design, non dico di no… ad esempio, il Birrificio Italiano ha un formato davvero cazzuto. Ma tutta questa corsa all’immagine (per vendere di più e inserirsi in segmenti di mercato come l’alta ristorazione) rappresenta l’ennesimo specchio di un modo di concepire la birra che trascende quello che dovrebbe essere…

  12. Il birraio dovrebbe scegliere la bottiglia soprattutto per le sue caratteristiche pratiche, oltre che quelle estetiche. Maestri in questo (ed anche nel tenere i prezzi concorrenziali) sono i belgi.
    Dipende se uno rifermenta oppure no, ma anche se uno rifermenta ma mantiene la pressione bassa, potrebbe scegliere una bottiglia non eccessivamente pesante. Se invece si rifermenta e si vuole una pressione da champagne non possiamo imporre una bottiglia per tutto perchè probabilmente non sarà adeguata a quella pressione.
    Insomma trovare un compromesso che vada bene al tutto è impossibile perchè ci sono problematiche di sicurezza in mezzo. Dunque bottiglia bella pesante per tutti?

    La cosa che mi convince di meno è che il “costo” di una bottiglia non riguarda solo il prezzo che paghiamo al produttore.
    Se una bottiglia ha una forma troppo “strana” avremo problemi di magazzino o di esposizione (bottiglie troppo larghe vedi Birra del Borgo) ma anche costi maggiori in spedizione (peso).

  13. sono punti di vista. per me gli artigiani restano imprenditori, di tipo diverso rispetto agli industriali, ma sempre imprenditori che devono interpretare logiche di mercato per garantire la sopravvivenza della propria attività. altrimenti vedremo scomparire progressivamente tante birre dai sapori che ci hanno fatto sognare, perchè il birrificio non è stato in grado di emergere e di superare i costi dell’azienda. rispetto al vino…il paragone è douto al fatto che è un concorrente diretto nel consumo, non perchè sia migliore o peggiore. poi ognuno è libero di vedere le cose come meglio crede….poi io continuo a bermi le birre che preferisco e a sperimentare tutto ciò che trovo sul mercato, a prescindere dalla bottiglia, dall’etichetta, dal nome, dal marchio e da altri fattori diversi dal mio gusto. ma rappresento nel mercato la bellezza del 1% dei consumatori. non sono abbastanza per garantire la sopravvivenza di oltre 350 artigiani. è un punto di vista, nient’altro.

    • Secondo me se si vogliono seguire logiche di mercato va bene, ma dipende quali. A me sembra che gli “imprenditori” della birra italiana siano un po’ come quelli del nord est che vogliono battere i cinesi sul loro stesso territorio.
      Il vino è il vino e la birra è la birra. Seguire la strada di altri può pagare nel breve termine ma nel lungo termine farà strage.

      Ok, il contenuto è fondamentale (e se ne potrebbe parlare del contenuto “italiano”), ma allora perché sperare di vendere birre di dubbia qualità migliorando la bottiglia e non il contenuto? questa è la logica di molti.

      Per il resto invito alla lettura dell’intervista a papazian che fa un ritratto PERFETTO del mercato italiano sia nei pregi ma SOPRATTUTTO nei difetti

    • Il problema vero come sempre è il popolo italiano…permettemi ma siamo un branco di coglioni e finchè sarà così in TUTTI i campi del commercio ci saranno queste problematiche. Ma finchè la birra non va al supermercato e la scelta è al 100% del consumatore senza consigli aggiunti, chi le vende ha il potere di far ciò che vuole e vendere cosa preferisce, e di esempi ne avrei una marea.
      Poi volendo o non volendo l’estetica conta e pure parecchio. Io non la disdegno. Cioè se ad una bottiglia bella ci si affianca una birra ottima ad un prezzo onesto che problema c’è? Ed è una cosa che vi assicuro sostenibile. Anzi più produci e più i costi ti si abbassano, sia delle etichette che del vetro. Se proprio dobbiamo aprlare di costi limitati allora facciamo lattine e zitti tutti. ma poi chi se le compra? NESSUNO, perchè non c’è niente di buono dentro (almeno all’apparenza).
      Fine.

  14. cmq complimenti per il nick..abbiamo qualcosa in comune 😀

  15. @Simone Monetti
    se UB fa la lattina customizzata io ci sto!!!

    • anche io :-)….ma poi per l’impianto?….

      cmq il costo del package non può essere una voce di costo, a mio parere, più del 20%del contenuto….altrimenti….;-)

      purtroppo il costo del vetro rimane ancora troppo alto……

  16. Una sola bottiglia per tutte le artigianali? La trovo un’idea controproducente. Mi spiego: immaginate un consumatore non consapevole, prova un’artigianale che non gli piace, ipotesi non così impossibile vista la qualità di alcune produzioni. Ad un acquisto successivo si trova a scegliere tra altre 100 bottiglie tutte identiche. Con molta probabilità non ricorderà il nome della birra che non ha gradito, ma la forma della bottiglia si…………………………………………….

    Se il motivo vuole essere far riconoscere la birra artigianale, forse ha un senso, ma poi diventa più difficile distinguerle l’una dall’altra e comunque non sarebbe un indicativo di qualità del contenuto. Uniformare i prodotti vuol dire impoverirne la natura stessa.

    Oggi non esistono più prodotti, ma pacchetti che comprendono prodotto + packaging + servizi. E’ più vendibile una birra cattiva ben confezionata e ben proposta, di una ottima, ma mal presentata. Heineken insegna. Convinciamoci che il mercato non siamo noi, ma la massa.

    Il packaging serve per comunicare i valori del contenuto, da un packaging di un certo tipo si è portati a pensare di trovarci un prodotto equiparato, cosa che poi non sempre si verifica. Ma vale anche il contrario, acquistereste voi una birra imbottigliata in vetro trasparente? Se il motivo vuole essere un abbattimento generale dei costi è utopia.

    Non c’è infatti niente che giustifichi i prezzi della birra artigianale, se non il fatto che comunque qualcuno la compra. Non è infatti la bottiglia che fa elevare il prezzo della birra, come non sono le materie prime, come non sono gli alti costi di produzione, che obbiettivamente in Italia sono più elevati che in altri Paesi. Se i birrifici volessero tagliare i costi potrebbero farlo innanzitutto eliminando i distributori e gli agenti, il vero guadagno nel produrre è quello di poter distribuire, tenere distributori solo per zone in cui comunque non si sarebbe in grado di distribuire. E lo dico da ex distributore.

    Altra voce di costo dove poter tagliare sono la manodopera ed il consumo energetico. Se vado in un birrificio ad offrire un malto che costa 1 centesimo in meno, tutti drizzano le orecchie, mentre se propongo, a fronte di un piccolo investimento, un sistema che gli dimezza i tempi di produzione o che gli abbatte i consumi energetici, la cosa non viene percepita allo stesso modo.

    Solo che nel primo caso probabilmente verrà compromessa la qualità del prodotto finito, nel secondo no. Abbassare il costo del vetro su birre vendute a 10, 12, 16 Euro il litro? Con un risparmio al litro pari a 10/20 centesimi? Non è questa la strada . La maggior parte dei birrai pretende infatti che sia il consumatore a dover pagare i loro errori imprenditoriali.

    Per abbattere veramente i prezzi c’è bisogno di qualcuno capace di proporre birra di qualità, venduta a prezzi abbordabili alla massa ed accompagnata dai servizi offerti da qualunque distributore, ma da quasi nessun produttore artigianale. Bisognerebbe che questo qualcuno sottragga quote di mercato ai birrifici avviati e conosciuti e questi vengano costretti ad un contenimento dei costi.

    Certo che, allo stato attuale delle cose, quale imprenditore venderebbe a 5 se può vendere a 10, tanto gli acquirenti non mancano. Ma state tranquilli che prima o poi questo qualcuno arriva ed allora saranno dolori, ma immensa gioia per il consumatore. Questo qualcuno facendo il proprio stesso interesse farebbe di più per la tutela del consumatore e per la diffusione del prodotto, che tutto il lavoro delle associazioni svolto in questo 15 anni.

    Alla fine tutta questa ricerca nel contenimento dei costi, non viene svolta, sino a che c’è chi acquista birra a quei prezzi. L’affermare poi che a noi non interessa il contenitore, ma il contenuto è utopia. Certo la cosa è più che sensata, ma le valutazioni non dovrebbero mai essere dissociate dal contesto. Viviamo nell’era della comunicazione, dove la birra è essenzialmente immagine (anche per me è emozione,ma noi non facciamo ne numero ne testo), dove le multinazionali basandosi unicamente sull’immagine, vendono centinaia di migliaia di ettolitri e noi in questo contesto cosa dovremmo proporre: togliere quel minimo d’immagine che il prodotto artigianale è riuscito a darsi? Ma Unionbirrai non dovrebbe tutelarlo il prodotto?

    • Una piccola replica al volo: se l’immagine che la birra artigianale si è creata è la cura del packaging…
      Per fortuna nel mondo reale non è così, mi pare.
      E lo slogan: “la birra è essenzialmente immagine” mi lascia quantomeno perplesso.

  17. Lascia perplesso anche me. Ma questo è il mondo in cui viviamo e non l’ho inventato io. Certo si può ignorare il contesto e scontrarsi con l’evidenza. Oppure si può sondare il mercato e fare tesoro delle info acquisite.

    Se però sul mercato ci si deve stare, ci si deve per forza adeguare, le regole sono ferree e intransigibili. Andare controcorrente ignorando le basilari regole del mercato, vuol dire relegare sempre più la birra artigianale a prodotto di nicchia, giusto buono per i cosiddetti birrofighetti.

    Se mi dai la qualità e non mi dai l’immagine, mi offri un valore aggiunto, ma anche uno scompenso. Se non mi dai la qualità, ma mi dai l’immagine idem. Se oltre alla qualità mi dai anche l’immagine, mi dai un valore aggiunto. Se non mi dai ne qualità ne immagine, viste certe produzioni e certe proposte, ti guardo stranito ed i soldi me li tengo.

    E’ proprio questo il mondo reale, forse il mondo dei birrai è popolato da elfi e fatine, ma non il mercato del beverage.

    La birra artigianale è un prodotto e come tale va visto e bisogna quindi collocarlo nell’ambito in cui si pone, se il mercato richiede certi requisiti, bisogna averli, pena l’espulsione dal mercato. Questo vale per qualsiasi cosa.

    Altrimenti si corre il rischio di quelli che aprono un brew pub, convinti che l’impianto nel locale gli risolva qualsiasi tipo di problema. Poi ignorano la necessità dell’avere un parcheggio, di far sentire buona musica, di una buona cucina o di un servizio adeguato, tanto c’è l’impianto. Destinazione fallimento. Così fa chi considera la birra artigianale qualcosa di magico che per caratteristiche intrinseche della stessa sfugge alle regole del mercato.

    E’ proprio al mondo reale che bisognerebbe cominciare a pensare, per quanto possa sembrare irreale.

    • ma domanda a margine: le etichette cosa ci sono a fare?
      vedo certe birre con bottiglie favolose (secondo i gusti degli “utonti” probabilmente) ma con grosse carenze grafiche. Forse non sarebbe meglio riscire a darsi una identità attraverso quelle come fanno tutti i birrifici del mondo?

    • Il mercato non è qualcosa di statico e pattuito.
      Il mercato lo fa chi ci sta dentro, e lo si può cambiare se si ha la capacità di osare e fare mosse anche rischiose.
      Il fatto che il mercato italiano richieda tanta immagine non deve giustificare un’esagerazione nel peso che si dà all’immagine stessa. A breve, suppongo, arriverà una nuova fase di maturità del consumatore, e allora in quel momento bisognerà cominciare ad educarlo più seriamente alla qualità e a farlo disaffezionare da packaging e fighettismo.
      Però bisogna cominciare a porre delle basi solide da ora, altrimenti il cambio di marcia potrebbe portarlo a distaccarsi, e allora saremmo punto e a capo…

    • Il mondo reale? L’Italia è il mondo reale? Ho i miei dubbi, soprattutto nel mercato della birra…
      Riporto una frase letta stamattina su BeerAdvocate: « The fact is that Italians love expensive things. The more expensive, the higher the perceived value. So be prepared to drop some serious cash on everything, including the beer. »

  18. Per immagine non volevo intendere bottiglie fuori serie, che oltre ad essere costose sono anche meno testate. Come non pensavo al fatto che si dovesse dare più valore all’aspetto che al contenuto. Questo lo fanno già i nostri industriali. Ma la frase: “si compra con gli occhi” non l’ho inventata io. Tra bottiglie by Giugiaro alle bottiglie standard di Unionbirrai, ci sarà anche un giusto compromesso. E se dopo aver definito una bottiglia standard Moretti se ne esce con una molto simile, per essere messa a fianco alle artigianali, con prezzo fortemente ridotto?

    @ INDASTRIA
    Giusta osservazione, ma non è che tutte le birre del mondo stanno nella stessa bottiglia, ma tutte stanno in una bottiglia da birra e non in una da brandy o aceto balsamico. Resta il fatto che il packaging è parte integrante del prodotto. Inutile? Forse. Fa vendere? Sicuramente. Basta da solo? Sicuramente no o almeno non per questo genere di prodotti.

    Quello dell’etichetta è un altro problema, certo fa parte della confezione, ma prima di pretendere delle etichette graficamente accattivanti, cosa che costerebbe assai poco e funzionerebbe, mi piacerebbe avere delle etichette chiare e non contenenti false informazioni come attualmente avviene.

    MOBI si sta muovendo in tal senso, forse però bisognerebbe spiegar loro quali sono le informazioni falsate. Finché vedremo “rifermentata in bottiglia su birre a bassa” e nessuno obietta, le lacune sono evidentemente ampie.

    • “non è che tutte le birre del mondo stanno nella stessa bottiglia”… invece fuori dall’Italia per lo più sì: 33, 37.5, 50, 75. I formati quelli sono, e li usano la stragrande maggioranza dei birrifici *del mondo*. Poi certo, nessuno vieta il farsi un proprio standard, ad esempio in Inghilterra c’è una certa diversificazione (Fullers, St. Peters, Youngs, per fare tre nomi piuttosto popolari)… ma torniamo sempre al discorso: perché qui si dà così tanta attenzione al contenitore (che oltretutto, diversamente dai formati inglesi, spesso tutto pare tranne che una bottiglia di birra)?

      Sta a vedere che ha ragione Mirko sull’ingenuità dell’acquirente italiano… ma, come gli dicevo qualche sera fa, l’educazione del consumatore medio (visto che coloro che si svezzano da soli rappresentano una percentuale minima) soltanto dai birrifici può passare. E probabilmente conviene loro un cliente finale che si fa ingolosire dai fronzoli di contorno della birra piuttosto che dalla stessa; o più plausibilmente è proprio un altro il tipo di cliente e di mercato ricercato.
      Comunque sia, è un circolo vizioso.
      Il che è magari una scoperta dell’acqua calda… ma di certo non siamo noi “il mondo reale”. Come dice Jarrett, ci faremo tante risate se dovesse arrivare una successiva fase di maturità del cliente… sebbene io non sia d’accordo che possa accadere a breve. Più facile ipotizzare l’implosione di un mercato saturo di (e drogato da) prezzi esagerati e birrifici che spuntano come i funghi.

      Poi scrivi prima che un consumatore non consapevole si ricorderà più facilmente della bottiglia che del nome del birrificio, quindi sostieni che il packaging da solo non basta “o almeno non per questo genere di prodotti”. Allora è importante o no? E quanto?

  19. Ps. Non voleva essere una critica a MOBI, anche perché dovrei mettermi in fila. A loro va infatti un plauso per la splendida iniziativa, solo che appunto bisognerebbe prima definire quali sono le info corrette e quali no.

  20. @Patrick
    L’importanza della confezione è direttamente proporzionale all’inconsapevolezza dell’acquirente. Noi scegliamo in base a recensioni, articoli, degustazione alle manifestazioni. Eventualmente in base alla tipologia (qualora venga riportata, sempre più rara), al birrificio produttore, al birraio, ecc. L’inconsapevole sceglie d’istinto e ciò che fa leva su questo sono bottiglia, etichetta, nome, ecc. Quindi il packaging ha la sua importanza, che può essere nulla se uno si basa su dati molto più attendibili.

  21. Bottiglia Birra Artigianale: Non entro nella complessa discussione, ma aggiungo qualche informazione:
    La bottiglia non è quella della foto, che è una fase intermedia della progettazione, ma quella presentata a Rimini.
    Ogni processo di design si basa sulla migliore soluzione in base ad alcuni problemi da risolvere e legati tra di loro. In questo caso, principalmente:
    Funzionalità/tecnica
    Estetica
    personalizzazione
    Costo
    Funzionalità/tecnica: il disegno è sviluppato da Verallia (saint gobain), quindi possiamo pensare che lo sappiano fare.
    Estetica: Qui si va sul soggettivo, ma comunque a Rimini è piaciuta alla maggior parte di coloro che l’hanno vista. Certamente è originale.
    Personalizzazione: oggi da questo punto di vista i birrifici si dividono in tre gruppi.
    1 Bottiglie Custom, offrono una grande personalizzazione, ma sono molto costose, e richiedono grossi numeri per ammortizzare gli stampi, quindi alla portata di pochissimi birrifici.
    2 Bottiglie derivate dagli spumanti, offrono una limitata personalizzazione, perchè i modelli non sono poi molti, appartnenti a tre o quattro famiglie; hanno un costo elevato, e mi sembra che qui samo tutti molto sensibili a questo argomento, pesano molto, aumentando i costi di spedizione e aumentando la quantità di vetro buttato via (è pur vero che si recupera)
    3 Bottiglie standard da birra economiche: Costano poco ma non offrono nessuna identificazione, non distinguono le birre artigianali da quelle industriali o estere, e nemmeno tra un birrificio e l’altro. Inoltre considerando che molte artigianali costano comunque tanto, non è facile giustificare l’uso di una bottiglia economica.
    Si è quindi cercato di ottenere un forte grado di distinzione rispetto ai prodotti industriali o esteri, in altre parole identificare il prodotto artigianale italiano (individuato secondo i canoni definiti da UB), e non ovviamente quello Buono, anche nei confronti dei sedicenti artigianali che poi non lo sono. Naturalmente non si ottiene una riconoscibilità tra un birrificio e l’altro (ma comunque è ovvio che non tutti la useranno) che verrà lasciato alla grafica, grazie ad un modello che dà molto spazio all’etichettatura. ma come dicevo poco sopra, in realtà con i prodotti sul mercato, le possibilità di riconoscibilità sono comunqueillusorie e molto scarse.
    Costi: Anche qui si ottiene il migliore compromesso possibile. Molto minori di una bottiglia custom, decisamente minori di una bottiglia da spumante, da un pò ad abbastanza superiori rispetto ad una bottiglia dozzinale.
    Ovviamente possiamo anche convenire che conta il contenuto e non il contenitore ( ma i miei clienti mi dicono che non è così) e bere il vino dal tetrapack

  22. Se i birrifici che l’adottano abbassano sensibilmente i prezzi l’idea è buona. Se non lo fanno l’idea è meno buona. Io francamente ne dubito, spero di essere smentito.

  23. Dipende dal tipo di birra e dagli ingredienti impiegati. Visto che si fa anche la birra all’oro! Se intendi le voci di costo che compongono il costo/litro prodotto finito è la bottiglia. O almeno così ricavo dal mio business plan, anche se i miei costi sono diversi dalla maggior parte dei birrifici. Poi bisogna capire cosa intendi per più costoso. Maggior incidenza al litro? Quello che ha il prezzo più alto? O quello che ti fanno strapagare? Illuminaci.

  24. intendo appunto ciò che incide maggiormente sul costo del litro di birra. Visto che si parla molto di prezzi alti o bassi, mi sembra doveroso rendersi conto di cosa rende la birra più o meno costoso

  25. Nel mio caso la bottiglia (business plan), ma il mio è un caso particolare e comunque ho scelto una comunissima Vichy.

    • Comunque anche raddoppiando il costo della bottiglia non si giustificano i prezzi della birra artigianali in generale.

      • ….prova ad inserire l’incidenza dei costi fissi per litro prodotto 😉

        credo che i costi saranno a breve “rivisti”…..

      • Quoto e riquoto e straquoto e fatela finita con le cretinate sul costo della bottiglia, incide si ma da li ad arrivare ai prezzi che si applicano ce ne passano 3 o 4 di bottiglie.
        Come dice Cerevisia “Dubito che dopo la scelta della bottiglia comune i prezzi si abbasseranno”, ne dubito pure io.
        Ciao.

  26. @Andrea FLP
    L’incidenza dei costi fissi al litri di birra, dipende sostanzialmente da quanti litri produci. Cioè su quanti litri vengono spalmate queste spese.

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