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Intervista a Matteo Milan (ex Brewdog)

matteo-milanMolti appassionati conosceranno sicuramente Brewdog, il birrificio scozzese che in pochi anni è salito alla ribalta della scena brassicola internazionale, diventando uno dei marchi più conosciuti nell’ambiente grazie a una comunicazione aggressiva e a produzioni innovative. Forse non tutti sanno che una piccola fetta dell’incredibile successo ottenuto da Brewdog è anche merito di un giovane italiano, Matteo Milan, che fino a qualche mese fa lavorava in pianta stabile presso lo stabilimento scozzese. Dopo questa esperienza durata un anno e mezzo, oggi Matteo è tornato in Italia per entrare nello staff produttivo del Birrificio del Ducato. A lui ho posto alcune domande sulla sua avventura in Scozia, per scoprire i segreti di Brewdog da chi ci ha lavorato direttamente.

Ciao Matteo. Per cominciare raccontaci qualcosa su di te, qual è la tua formazione professionale e come sei finito a lavorare per Brewdog.

Il mio avvicinamento alla birra, e il successivo innamoramento, avviene durante il periodo degli studi universitari, conclusisi con la laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università degli Studi di Udine. Terminati gli studi ho avuto la possibilità di iniziare una collaborazione con il Prof. Buiatti, docente del corso di Tecnologie della Birra presso la stessa università; collaborazione che si è poi successivamente trasformata in un dottorato di ricerca.

Con il passare del tempo però, mi sono reso conto che mi sentivo più a mio agio facendo cotte e lavorando presso l’impianto pilota che non passando le giornate in laboratorio ad occuparmi delle attività di ricerca. Inoltre, l’idea di un esperienza lavorativa all’estero da sempre mi allettava. Devo essere sincero, nel momento in cui ho risposto all’annuncio trovato su internet, nel quale era scritto che Brewdog cercava un birraio, le mie speranze di ricevere una risposta erano scarse. Invece è andata in maniera diversa e dopo una serie di colloqui telefonici, ho deciso di concludere la mia esperienza universitaria per dedicarmi alla mia nuova vita di birraio in Scozia.

Di cosa ti occupavi esattamente in Brewdog? Come valuti la tua esperienza?

Nonostante le mie esperienze come birraio fossero solo quelle svolte presso l’impianto pilota dell’università, fui assunto proprio per svolgere quel ruolo – ovviamente dopo un periodo di prova/affiancamento sul campo. Pur essendo di fronte ad un impianto e a dei volumi di produzione importanti, Brewdog rimane sempre e comunque una realtà artigianale, e, come penso per ogni birraio artigianale, i lavori da fare ricoprono tutto il processo produttivo. Mi occupavo quindi di molti aspetti legati alla produzione dal ricevimento delle materie prime alla produzione del mosto, dal controllo della qualità e delle fermentazioni fino al confezionamento finale in bottiglia, keg o cask. Oltre a tutti questi aspetti mi sono occupato in maniera più specifica di un progetto riguardante la rifermentazione in bottiglia, che prima del mio arrivo non era mai stata utitlizzata; progetto che poi ha trovato applicazione nella Zephir e nella Atlantic IPA e che servirà come base anche per produzioni future.

Si è trattato di un’esperienza molto valida, che mi ha permesso di crescere sia dal punto di vista professionale che da quello umano. Lavorare in un birrificio in crescita vertiginosa, come è stato ed è  tuttora Brewdog, permette di approfondire non solo gli aspetti tecnici e tecnologici di processo ma anche di confrontarsi con problematiche strutturali e di mercato importanti. Questo è ancor più vero se si considera che il confronto e lo scambio di opinioni a tutti i livelli è stato costante e continuo creando un grande coinvolgimento nel progetto da parte di tutto lo staff. Un ulteriore momento di crescita professionale è arrivato sicuramente dalle collaborazioni con birrai internazionali come per esempio quelle con Mikkeller per la Devine Rebel e Stone per Bashah.

Da fuori sembra che alla Brewdog siano tutti pazzi e che ci si diverta tantissimo. Naturalmente si lavora anche duramente. Confermi però che si respira un’aria scanzonata o è tutta apparenza?

Come dicevo prima, anche se in presenza di un birrificio artigianale, si tratta di una realtà che lavora su volumi importanti, che esporta in molti paesi continentali e non, con un marchio distribuito a livello nazionale da diversi nomi della grande distribuzione. Per fronteggiare questo tipo di situazione a volte ci si trova costretti a turni di lavoro intensi e alcune volte stressanti. Il divertimento, lo scherzo, la possibilità di sdrammatizzare, la complicità, permettono di sopravvire a questi stress mantenendo comunque intatta la passione e l’amore per il proprio lavoro, nonchè di instaurare e di cementare delle bellissime amicizie. Concludendo confermo che sì, si respiria un’aria scanzonata – è anche facile se pensate che io, con i miei 30 anni, ero uno trai i più vecchi del gruppo! – che però trova nella passione, nell’entusiasmo e nella professionalità la base del successo di Brewdog.

Non è un segreto che uno dei cavalli di battaglia di Brewdog sia un marketing aggressivo. Ciononostante, secondo me il birrificio produce anche splendide birre. Ultimamente tuttavia l’elemento “ad effetto” sembra essere diventato dominante, lasciando in secondo piano l’attenzione per la birra in quanto tale (How to Disappear Completely, Nanny State, Nuclear Penguin, progetto Abstrakt). Tu cosa pensi al riguardo?

Ovviamente esiste una componente di marketing importante, e a giudicare dai risultati, anche di successo; ma d’altro canto, come sottolinei tu, c’è anche una spina dorsale fatta di birre meno estreme, di qualità riconosciuta a livello mondiale. In uno dei primi incontri che ho avuto, non solo con Martin e James, ma anche con il resto dello staff, una delle frasi che mi sono rimaste più in testa e che più mi piace è “facciamo birre che ci piacerebbe bere e che ci piace fare”, e posso confermare che è vero. Alle volte, anche se il risultato finale è un’incognita, ti diverti un sacco a provare qualcosa di alternativo, di inesplorato. L’unico (finora!) batch di How to Disappear Completely è stato prodotto durante il mio turno di servizio e nonostante non si tratti di un birra che incontra i miei gusti, non posso negare che si sia trattato, per la sua innovazione, di una delle cotte più “divertenti” e interessanti che abbia mai fatto.

E’ di questi giorni la notizia di una nuova versione, riveduta e corretta di Nanny State, e nonostante sia una birra che stilisticamente non incontra i miei favori, dico “perchè no?” Se i ragazzi credono nel loro prodotto è giusto che la propongano cercando di migliorarla: sarà poi il mercato a dire se hanno centrato o meno il loro obbiettivo. Ovvio che una filosofia di questo tipo ti espone a dei rischi e a delle critiche, che chi propone sempre e solo gli gli stessi cavalli di battaglia non affronta. Si badi bene, la mia non è un accusa o una critica a questi ultimi, si tratta solo di un modo diverso di porsi sul mercato; non sono certo io la persona che può porsi sopra le parti per giudicare gli uni o gli altri.

Quali sono le principali differenze che hai avvertito tra lavorare in un birrificio scozzese e operare nel settore brassicolo italiano?

Purtroppo il tempo passato dal mio ritorno non credo sia ancora sufficiente per poter rispondere in maniera corretta a questa domanda. E’ solo un mese che mi sto confrontando con il settore italiano a fronte di oltre un anno passato in Scozia. A prima impressione, al di là delle differenze di mercato, di consumi, di qualità e tipologia delle materie prime, di maggiore o minore snellezza burocratica, mi sembra che qui in Italia ci sia una minore collaborazione e un minore complicità tra i microbirrifici. Si tratta comunque, ripeto, di una prima impressione che mi auguro verrà smentita visto che considero lo scambio di opinioni e il confronto tra birrai un importante momento di crescita.

Per concludere, una domanda strettamente personale: quali sono le birre di Brewdog e del Ducato che preferisci?

La mia Brewdog preferita è senza dubbio la Atlantic Ipa. Al secondo posto ci metterei sicuramente la Punk Ipa e sul terzo gradino Zaitgeist, Hardcore Ipa e Dogma a pari merito. Per quanto riguarda il Birrificio del Ducato ammetto di avere un debole soprattutto per la AFO, ma adoro anche la Verdi Imperial Stout, la Via Emilia e la New Morning.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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14 Commenti

  1. Complimenti e in bocca al lupo a Matteo Milan!

  2. bell’esempio di sogno che si realizza!

    comunque il fatto che i microbirrifici italiani collaborino poco tra loro, magari facendosi troppa concorrenza senza pensare a contribuire alla crescita del settore, è un discorso che fatalità ho sentito fare al Birra Nostra a Padova poco più di una settimana fa…
    quindi forse (purtroppo) non sarà solo un’impressione….

  3. complimenti e spero di vederti al IBF di milano 🙂

  4. Io, tutta questa mancanza di collaborazione tra birrifici non capisco cosa voglia dire. Non conosco perfettamente tutti i birrai italiani, ma una buona fetta credo di si e sono considerati tra i migliori italiani ed ogni volta che c’è stato da collaborare per qualcosa, andarsi a trovare, confrontarsi su tanti argomenti c’è sempre stata la massima disponibilità da parte di tutti. Poi se vogliamo parlare di possibilità di acquisti di materiali consorziandosi, sarebbe possibile farlo in una città dove esistono più realtà, ma alla fine se usciamo di provincia non conviene più a nessuno per colpa dei costi di trasporto o altri problemi tecnici, non certo perchè i birrai non si trovano daccordo.
    Mi sembra più un luogo comune che altro insomma. Ovvio che ognuno deve far quadrare i conti, ma la differenza negli acquisti la fa la qualità, non il prezzo in questo contesto artigianale e questo lo decide il pubblico, non la mancata collaborazione tra birrifici.

  5. @cia Ma parli di collaborazioni o di concorrenza? La concorrenza sulla qualità e sui prezzi è un’OTTIMA cosa, oppure preferisci birre non potabili vendute a prezzi folli? Ben venga la concorrenza…e ben vengano anche le collaborazioni…anche se non mi sembra proprio che manchino.

  6. @ darkav

    guarda, io riporto solo quanto sentito a Padova e non approfondito dagli interpellati.
    E’ stata una domanda posta da Kuaska a un paio di birrai presenti….
    ovvio che preferisco spendere un pò di più per una buona birra che lesinare e prendere scartine! su quello siamo d’accordo!

  7. Bella storia! La mia prima cotta ( ho partecipato da studente) l’ho vista fare nell’impianto pilota di Udine con l’ottimo Buiatti. Come si dice in questi casi? In c. alla balena per l’avventura che continua, tra l’altro in uno dei birrifici italiani che preferisco.

  8. Complimenti e in bocca al lupo per la nuova “sfida” che ti attende.

  9. non mi sembra vero di aver trovato una testimonianza del genere! è proprio quello che cercavo! sono appena stato chiamato per la settimana di prova da Brew Dog, come Assistant Brewer, parto il 5 dicembre 🙂 queste parole mi danno ancora più convinzione e coraggio!

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