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La linea Mastri Birrai Umbri per i pub: intervista a Marco Farchioni

Beer Attraction si è concluso da qualche giorno e come sempre è stato un appuntamento prezioso per capire le tendenze emergenti del mercato. Tra queste mi ha colpito la scelta da parte di alcuni birrifici di presentare linee parallele dedicate ai pub, come la Stranger di Luppolajo (ne ho scritto una decina di giorni fa) o la TrikiBeer del Birrificio I Peuceti (di cui vi ho raccontato martedì scorso). Ad esse va aggiunta la linea Monkey di Mastri Birrai Umbri, uno dei più grandi birrifici artigianali italiani e da sempre legato al canale della grande distribuzione. Proprio per questo motivo la scelta dell’azienda umbra mi ha incuriosito parecchio, tanto che ho contattato Marco Farchioni, responsabile del birrificio, per saperne di più su un progetto che va in una direzione ben diversa da quella seguita fino a oggi. È stata una chiacchierata interessante, che tra le altre cose permette di capire quali possibili dinamiche caratterizzeranno il nostro ambiente negli anni a venire.

Ciao Marco, grazie per la tua disponibilità. Tradizionalmente Mastri Birrai Umbri si è sempre rivolto alla grande distribuzione, perché ora invece avete deciso di creare una linea dedicata per i pub? Da cosa nasce questo progetto?

Il progetto Monkey nasce come una sfida personale oltre quella già affrontata dalla mia famiglia. Il nome della linea deriva dal fatto che sono nato nell’anno della scimmia e dalla consuetudine dei cinesi di chiamarmi “golden monkey” – sono quello che gli porta i soldi. La prima ricetta dell’attuale gamma Monkey fu realizzata tre anni fa per il mercato della Cina ed era una Golden Ale molto profumata brassata con pompelmo. Era la mia birra preferita, qualcosa di diverso dalle produzioni di Mastri Birrai Umbri e che mi piaceva sorseggiare d’estate. Quando andai la prima volta a Roma per confrontarmi con il mondo dei pub “estremisti” della Capitale, quelli cioè che rappresentano un’ulteriore nicchia nella nicchia, ricevetti una risposta unanime: le mie birre erano buone, ma prive di carattere. Capii che avevano ragione, ma il punto è che io non cercavo il carattere nelle mie birre base, non volevo stupire i bevitori. Piuttosto il mio obiettivo era creare birre valide per essere consumate nella quotidianità, magari tra le mura domestiche.

Sebbene avessi raggiunto quello scopo con successo, affrontando i pub romani mi accorsi che esisteva un modo per fare birra rendendo il tutto più divertente: esistevano i margini per osare di più in un contesto lontano dai giudizi di un certo tipo di pubblico. I pub di Roma sono molto avanti e sono estremamente critici: rappresentano una bella sfida perché ti spingono a migliorarti spostando l’asticella sempre un passo avanti. Così è nata l’idea di creare una linea di birre destinata a questo canale. La linea Monkey che abbiamo presentato a Rimini è una cosa che esisteva nel “sottofondo” da molto tempo. Io e Michele (Michele Sensidoni, l’head brewer ndr) ci stavamo ragionando da anni, ma era impossibile da proporre sul normale canale della GDO perché lì accettano solo tre o quattro birre per marchio. Con Monkey ora possiamo divertirci e produrre qualcosa di diverso.

Quali sono le birre che compongono la linea Monkey?

Ognuna delle birre della linea Monkey ha una storia alle spalle. La Monkey Harvest IPA (6,3%) e la California (6,3%) sono realizzate con il luppolo che coltiviamo personalmente: nella prima, che è una Harvest Ale, è utilizzato fresco entro 24 ore dal raccolto; nella seconda, ispirata alle West Coast IPA, è invece impiegato nella normale forma essiccata. La California (menzione a Birra dell’anno 2019 ndr) è la prima birra 100% made in Umbria, in cui la sfida è stata creare la filiera più corta possibile: oltre al nostro luppolo abbiamo impiegato orzo da noi coltivato, realizzando tutto nello stesso ettaro di terreno (materie prime, loro trasformazione, produzione e confezionamento).

La Sor Pompeo (6%) è costruita sulla ricetta originale della nostra birra alle lenticchie, che sul mercato della grande distribuzione non ha ottenuta la fortuna sperata. Mi dispiaceva però rinunciarvi perché è dedicata a mio padre, così l’ho riproposta in un’interpretazione leggermente diversa per la linea Monkey. La Gorilla (10%) è un Barley Wine maturato per due anni in barrique di Sagrantino di Terre de la Custodia: Michele l’ha letteralmente dimenticata nelle botti, salvo poi recuperarla e scoprire che il risultato era ottimo. La Queen Berry (5,6%) è una Fruit Ale brassata con l’aggiunta di aronia, un frutto dolce e amaro allo stesso tempo, di cui mi innamorai in uno dei miei viaggi in Croazia. Doveva essere una birra per le donne, ma in realtà intriga soprattutto gli uomini!

Proseguendo, Pinne Birretta ed Occhiali (5,6%) ricalca la ricetta della Monkey ma la spinge verso aromi più tropicali per adattarsi soprattutto alla stagione estiva, mentre la Monkey Cappelli (5,6%) è una Blanche realizzata con un 15% di frumento Senatore Cappelli che coltiviamo in loco.

Non ritieni che quello dei pub “estremisti”, come li definisci, sia un mercato molto competitivo e sostanzialmente saturo? Non sarebbe meglio cercare altre strade ancora poco battute?

No, perché i pub sono un punto di partenza e non puoi prescindere dal cominciare da lì. Quando nel 2011 Mastri Birrai Umbri è partito con la linea Cotta (la linea base ndr) si è rivolto al pubblico con una birra buona ed equilibrata, priva di eccessi e senza troppo carattere. Nel frattempo però il consumatore si è evoluto e lo ha fatto in maniera importante. Si è evoluto a tal punto che oggi una birra come la Harvest, la prima che abbiamo realizzato con luppolo autoprodotto, è stata prosciugata in meno di tre mesi e preferita a tante altre nostre creazioni. Il mercato si sta spostando, è come un treno in cui la locomotiva è rappresentata dai pub di Roma e i vagoni dal resto d’Italia. Non è un mercato saturo, anzi è un mercato in continua evoluzione e molto evoluto. Se vuoi stare davanti ti rivolgerai sempre a una super nicchia, ma se resti un passo indietro il tuo pubblico potenziale si amplia. Quel pubblico rappresenta il futuro, anche in ottica export.

Quindi nella vostra scelta c’è sia una componente di sfida con voi stessi, sia una necessità dettata dalle evoluzioni del mercato?

Non è tanto una necessità, sono sincero. È una volontà, la volontà di restare al passo con il mercato. Nel nostro team, che è composto di quattro persone, io sono quello che beve: rappresento il consumatore medio e quindi se sperimento una variazione nelle mie preferenze significa che probabilmente anche il mio pubblico sta modificando i suoi gusti. Perciò non è soltanto dire “Lo faccio perché il mercato me lo impone”, poiché mi basterebbe fare delle ricerche per dimostrare che sarebbe molto più redditizio un prodotto come l’Ichnusa Non Filtrata. Ma io non voglio fare quello, voglio rimanere nella mia nicchia e capire se posso raggiungere quella ancora più avanti, ancora più stretta.

Quello della sfida è un aspetto importante. A differenza di ciò che pensa molta gente, su certi volumi è più conveniente produrre bottiglie che fusti. Inoltre devi scontrarti con limiti culturali, perché in Italia sono pochissimi i pub che lavorano bene il fusto a causa delle nozioni sbagliate veicolate dall’industria. Da questo punto di vista i locali di Roma sono decisamente avanti.

Avete già una rete di pub a cui rivolgervi per la linea Monkey o dovete crearla da zero?

Diciamo che dobbiamo fare un lavoro da zero. Conosciamo un po’ di pub in giro per Roma e qualcuno in Sicilia, ma non ci abbiamo mai collaborato con birre di questo tipo. Oggi stiamo imparando di nuovo cosa significa fare fusto e la strada è ancora lunga, ma la cosa non mi spaventa perché il mio lavoro consiste proprio nel creare nuovi mercati.

Il canale dei pub è spesso alla ricerca quasi spasmodica della novità. Pensate di assecondare questa richiesta con frequenti novità o punterete su poche birre solide e facilmente riconoscibili?

Il mio desiderio sarebbe fare one shot continue, non tanto perché lo richiedono i pub ma perché è molto divertente. Tuttavia considero questa operazione molto improbabile perché per mettere a punto una valida ricetta serve molto tempo ed è difficile che sia buona al primo colpo. Non credo che, a eccezione delle botte di culo, le one shot garantiscano un alto livello qualitativo. Sicuramente faremo delle sperimentazioni continue, ma non tutte raggiungeranno il mercato. Il mio benchmark non è tanto quello delle one shot a ripetizione, quanto quello rappresentato da un marchio come Brewdog che non ha paura di sperimentare e di confrontarsi col giudizio del mercato. Più che sulle one shot mi piacerebbe puntare sulle collaborazioni, che considero più divertenti, e ne abbiamo in ballo una prima molto importante che speriamo di ufficializzare entro maggio. L’optimum sarebbe avere una serie di pub di fiducia con cui sperimentare per affidarsi alla loro opinione. In conclusione anche noi abbiamo l’obiettivo di creare one shot, ma con la speranza che non siano one shot.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Ho letto attentamente l’intervista e dico che questo progetto non mi convince per nulla.

  2. Ho letto quello che sono riuscito a leggere, sembra l’elenco sul da non farsi.

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