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Ode al Ma che siete di Roma, il “mio” pub da più di quindici anni

“Perché non vai a dare un’occhiata a questo piccolo pub a Trastevere? Hanno birra buona”. Correva l’anno 2004 e fu allora che, esortato da queste parole di mio fratello, visitai per la prima volta il Ma che siete venuti a fà. Il locale aveva aperto un paio di anni prima grazie all’intuizione di Manuele Colonna e Fabio Zaniol, che avevano rivelato un buco dietro Piazza Trilussa a Roma per trasformarlo in un football pub. Gli interni, belli quanto quelli di una “sauna svedese” (cit.), erano ricoperti da decine di sciarpe di squadre di calcio più o meno famose, da qualche elemento di arredo e da una foto della curva sud risalente al 17 giugno 2001. Ma la particolarità era che effettivamente c’era “birra buona”, un concetto assolutamente nuovo per l’epoca: una batteria di produzioni provenienti da marchi mai sentiti prima, spillate con attese inusuali e dal gusto sconcertante. Per me fu l’inizio del lungo viaggio nella birra artigianale, un viaggio che continua tutt’oggi. Nel weekend il Macche festeggerà i suoi primi 18 anni e visto che si tratta di un traguardo importante – in definitiva diventa maggiorenne – il pezzo di oggi è dedicato al locale italiano più influente di sempre nel panorama birrario italiano.

Il Macche è per me una seconda casa, anche oggi che lo frequento assai meno assiduamente rispetto al passato. Se sommo tutte le ore passate al suo interno (o al suo esterno), credo che il risultato finale sia da calcolare in anni. È inutile sottolineare l’impatto che ha avuto il suo operato sulle evoluzioni della birra artigianale italiana, di certo inversamente proporzionali alle sue dimensioni, quindi questo articolo avrà un taglio estremamente intimo e personale. Perché, come ho scritto ieri, per sviluppare una passione autentica per la nostra bevanda, e di conseguenza una vera cultura birraria, è fondamentale il legame che si crea con i luoghi deputati al consumo. Soprattutto i pub, che ricoprono un ruolo fondamentale a livello comunicativo, essendo l’anello di congiunzione tra il produttore e il consumatore, l’ultimo tassello della filiera prima che quel soave liquido fermentato incontri le labbra di chi beve.

E come mi accade tutte le volte che cerco di spiegare situazioni a cui sono profondamente affezionato, trovo estrema difficoltà nel convertire le emozioni e i pensieri in testo. In questi giorni ho pensato a momenti davvero memorabili passati all’interno del Macche, ma non me ne sono sovvenuti. In parte perché molti dei traguardi ottenuti dal locale sono stati celebrati in altri contesti (la crociera, la festa per il primo posto su Ratebeer, ecc.), in parte perché la mia memoria deve evidentemente aver accusato lo stato fisico di quei momenti. Ma soprattutto perché i miei 15 anni passati con il Macche sono stati 15 anni di quotidianità, di momenti straordinariamente normali, di consuetudini vissute e rivissute con amici e clienti affezionati. Così non mi rimane che elencare alla rinfusa alcuni flash di situazioni che per me sono state importanti. Spero che siano in grado di restituire il senso del discorso, cioè di come questo locale abbia rappresentato una parte fondamentale della mia vita.

  • Uno dei ricordi più vividi risale a quando il Colonna mi fece assaggiare la Hercule di Ellezelloise, una Stout alla belga che purtroppo negli anni ha perso gran parte del suo fascino. Credo fosse il 2004 e ho ancora impresso negli occhi il gesto con cui Manuele mi porse la coppa piena di quel liquido scuro e complesso, come un sacerdote illuminato da una luce divina durante un antico rito pagano. Anche per quel motivo rimane una delle mie birre preferite di sempre.
  • Nel 2004 ero ancora un giovincello, in grado quindi di sostenere ritmi birrari non indifferenti. All’epoca il Macche disponeva di una sola tv nella sala adiacente a quella principale ed era lì che venivano trasmesse le partite dell’Europeo di calcio. Con l’amico Pisky – sì proprio lui che oggi lavora lì, dall’altra parte del bancone – seguivamo una cerimonia ben precisa: un litro di Andechs Doppelbock per il primo tempo, un altro litro per il secondo tempo e un terzo litro per i commenti post partita. Ah che bello quando al Macche la birra era ancora servita nei Maß tedeschi!
  • Le “segrete” del Macche, ribattezzate in tempi recenti “bunker”, sono state per anni un luogo dove si addentravano solo i più coraggiosi. Non che oggi siano una sala dove passerei con piacere il mio sabato sera, ma vi assicuro che in passato, prima dei lavori di ristrutturazione, erano davvero inquietanti. Ciononostante fu lì che a dicembre 2005 si tenne la prima degustazione dei Domozimurghi Romani, con una ventina di amici stretti tra tavolini traballanti e spazi a dir poco angusti. Dato il periodo il tema fu incentrato sulle birre di Natale e ne uscimmo tutti decisamente provati ma felici.
  • A proposito di lavori di ristrutturazione, in questi 18 anni il Macche ha subito diversi interventi strutturali, tesi a migliorare l’aspetto degli interni e il comfort dei clienti. Però l’anima del locale, l’impatto che riesce a comunicare a pelle, è rimasto sempre lo stesso. È piccolo, angusto, scomodo, ma è là dentro che avviene la magia. Nonostante lo spazio calpestabile sia minimo, una volta varcata la soglia riesci a sentirti completamente a tuo agio. Se poi trovi posto al bancone, puoi passare ore in grande relax anche in un caotico sabato sera.
  • Impossibile ricordare tutte le persone conosciute in questi miei 15 anni di Macche. Dai clienti affezionati a quelli che poi sono diventati grandi amici di bevute, dai componenti dello staff che si sono avvicendati nel tempo ai folkloristici personaggi che hanno segnato intere stagioni, fino ai birrai italiani e stranieri che sono passati in occasione di eventi speciali o solo per una birra defaticante. Il casino fatto durante le dirette calcistiche in tv – non dimenticherò mai il gol di Luca Toni in Roma – Inter del 2010 – le terribili sbronze durante i primi Birre sotto l’albero, le permanenze al bancone ben oltre l’orario di chiusura.
  • Le serate di giugno in via Benedetta. Ci sono stati anni in cui nel weekend il Macche richiamava un così folto pubblico da bloccare completamente la strada su cui affaccia. Le macchine che avevano l’ardire di passare lì davanti impiegavano dieci minuti buoni per percorrere pochi metri, con buona pace di chi era alla guida. Ricordo anche articoli giornalistici vergognosi al riguardo, scritti da chi volontariamente ignorava cosa fosse Trastevere prima dell’avvento della “movida”.
  • Probabilmente ricordo ancora la tap list del mio primo giorno al Macche: Bush Ambrée, Andechs Doppelbock, Augustiner Edelstoff, Tripel Karmeliet e una scura, forse la Oyster Stout di Porter House. Oggi sarà pure una selezione considerata antidiluviana, ma quanto mi piacerebbe rivivere le sensazioni che provavo quando bevevo certe birre!
  • A volte mi chiedo se ho qualche rimpianto legato al Ma che siete. Forse non aver mai assaggiato i panini che Fabio preparava nella primissima incarnazione del locale, quando c’era ancora la malsana idea di proporre qualcosa da mangiare accanto alla birra.

Ogni altro tentativo di riassumere questi miei 15 anni di Macche o di raccontare momenti memorabili è inutile. C’è una cosa che a Manuele non ho mai detto. Quando avevo 18 anni – e dunque molto prima che lui e Fabio rilevassero il pub – ero solito frequentare via Benedetta, ma per andare in un altro locale. Si trattava proprio quella Birreria Trilussa che da sempre si trova davanti al Macche e dove a quei tempi – parliamo del 1997 – proponeva un litro di Tennent’s a 8.000 lire. Mentre ero seduto là nel dehors guardavo spesso dall’altra parte della strada, incuriosito da quel piccolo e triste locale che falliva ogni due anni. “Che buco terribile”, pensavo, “Perché mai a qualcuno dovrebbe venire in mente di passarci la serata?”. Qualche anno dopo Manuele e Fabio mi fornirono la risposta.

E quindi ci siamo, il Ma che siete venuti a fà è ormai maggiorenne. Ovviamente la festa si terrà altrove, cioè al Parco Appio, dove tra sabato e domenica si alterneranno amici, clienti affezionati, birrai, publican e naturalmente tanta “birra buona”. Per me esserci è imprescindibile, sarà il modo di rinnovare un legame che esiste da 15 anni e senza il quale oggi non sarei qui a scrivere di birra artigianale. Ci vediamo sabato.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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