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Un'altra birra!: la mia recensione

cop_altrabirraNegli scorsi giorni, complice anche la durata del viaggio in treno verso Vienna e ritorno, sono riuscito a leggere una delle ultime novità editoriali per quanto riguarda il mondo della birra artigianale. Si tratta di Un’altra birra!, edito da Altreconomia e scritto da Massimo Acanfora, giornalista, autore, creatore di eventi, specializzato su temi sociali, consumo critico e cibo. Dalle informazioni che pubblicai qualche tempo fa era chiaro che si trattava di un libro birrario abbastanza inusuale, che personalmente mi intrigava parecchio. Devo ammettere che le prime sensazioni erano assolutamente giustificate.

Dicevano che Un’altra Birra! è diverso dagli altri libri sulla birra artigianale, spieghiamo il perché. Possiamo cominciare illustrando cosa non è: non è una guida ai birrifici italiani, non è un manuale di degustazione, non è un’enciclopedia della birra, non è una rassegna delle migliori birre al mondo. Piuttosto rappresenta un viaggio attraverso l’affascinante mondo della birra artigianale in Italia, scandito dalle storie dei birrifici e dei birrai che in questi anni hanno contribuito a far emergere ed alimentare la scena nazionale. Il sottotitolo chiarisce il concetto: “265 birrifici artigianali in Italia: luoghi, storie e persone di un mondo in fermento”.

Il cuore di Un’altra birra! è dunque costituito dai racconti relativi ai tanti produttori incontrati dall’autore, sebbene siano presenti importanti capitoli in apertura e in chiusura d’opera. Fondamentale l’introduzione, firmata nientemeno che da Lorenzo Dabove in arte Kuaska, che ripercorre la nascita e l’evoluzione della scena nostrana con la sua solita competenza e capacità di coinvolgere il lettore. E’ una sintesi puntuale e ricca di informazioni, nella quale sono sottolineate le caratteristiche uniche della cultura brassicola italiana e le peculiarità delle nostre birre. Non manca un accenno agli aspetti negativi, tra cui è citata la recente entrata di alcuni microbirrifici in Assobirra.

Conclusa l’introduzione, si entra nel vivo dell’opera. Le “storie birrarie” sono ripartite in 3 diversi capitoli, divisi in base alla lunghezza delle stesse. Nel primo, denominato “11 storie grandi”, sono affrontati nel dettaglio la storia e gli elementi unici di altrettanti produttori: Birrificio Italiano, Baladin, Pausa Cafè, Lambrate, Maltus Faber, Scarampola, Beltaine, L’Olmaia, Birra del Borgo, Almond ’22 e Br’hant. Un elenco che contiene nomi prestigiosi e veri e propri pionieri, ma anche birrifici di più recente apertura. In tutti i casi i riflettori sono concentrati sulle persone dietro a questi progetti, coloro che hanno trasformato un hobby o un sogno in qualcosa di grande e all’inizio impronosticabile. Incredibile la quantità di informazioni e la puntualità dei resoconti, ma soprattutto la grande abilità dell’autore nel lasciare spazio ai birrai, elevandoli giustamente a veri protagonisti, e alle loro aspirazioni.

Così è fantastico ripercorrere la nascita di un’azienda storica come il Birrificio Italiano, scoprendo quanto difficili possano apparire i primi passi nell’avventura della birra artigianale (soprattutto in un periodo ben diverso da quello attuale). Oppure conoscere le mille sfaccettature del genio di Teo Musso (Baladin), l’infinità creatività di Leonardo Di Vincenzo (Birra del Borgo), il racconto quasi commovente di Andrea Bertola di Pausa Cafè, il carattere, deciso ma scanzonato, di Moreno Ercolani (L’Olmaia).

Successivamente si apre il capitolo delle “33 storie medie”, impostato esattamente come il precedente, ma con racconti più concisi – dalle 5/6 pagine del primo capitolo si passa a una pagina a storia. Anche in questo caso sono riportati gli esordi, l’idea alla base del progetto, le prospettive future e gli elementi caratteristici. Le aziende qui esaminate coprono tutta la penisola, offrendo un’ottima visione d’insieme della scena nazionale.

Per ognuna delle aziende presenti nei primi due capitoli è presente uno specchietto con le informazioni di base, le birre principali (con la preferita dell’autore), oltre a cenni sulle quantità di birra prodotta e su dove assaggiare e acquistare le relative produzioni. Non sono contemplate “stelline” o voti, ma alcune icone che segnalano aspetti insoliti e spesso encomabili: il tipo di produzione (fusti e/o bottiglie), l’uso di materie prime del territorio di origine, la promozione di iniziative di stampo sociale, la fornitura a gruppi di acquisto solidali e la presenza di turismo responsabile in zona.

Si passa infine alle “221 storie piccole”, che in pratica rappresentano un elenco dei restanti birrifici italiani suddivisi per regione, accompagnato dalle informazioni di base per ognuno di essi. Per i produttori più importanti è presente una descrizione dettagliata, elemento che permette anche a questo capitolo di contribuire a quel viaggio tra la birra artigianale nostrana che è l’obiettivo principale dell’opera.

Il libro si chiude con le “pagine della staffa”, una sorta di raccolta di strumenti utili per appassionati e neofiti. Ecco allora che si incontrano due preziose appendici, ancora a firma Kuaska, con cenni sulla degustazione e sugli stili birrari. Si conclude infine con una panoramica dei siti dedicati alla birra, fonte ineusaribile di informazioni per chiunque, un elenco delle maggiori manifestazioni a tema e una rapida rassegna delle associazioni locali di promozione birraria.

In definitiva, questo Un’altra birra! è davvero una splendida sorpresa, capace di calare il lettore nelle appassionati atmosfere del movimento birrario italiano. E’ un’opera adatta a tutti: i neofiti potranno capire ed apprezzare lo spirito della scena brassicola nazionale, caratterizzata da birrai fantasiosi e creativi, che in molti casi hanno lasciato una vita molto più ordinaria per lanciarsi con un pizzico di incoscienza in un’avventura incredibile; gli appassionati invece potranno rivivere il fermento che anima il movimento, ripercorrendo le tappe di un fenomeno di cui sono stati tra i primi a conoscere e alimentare… in questo senso Un’altra birra! è quasi il romanzo biografico di una passione.

Unico neo? Il libro si finisce con la stessa velocità di una Pils in estate: le 144 pagine filano via che è un piacere e ci si accorge con nostalgia che il viaggio è già terminato. Ma come per le grandi Pils, la facilità con la quale l’opera si trangugia dipende dalla maestria con la quale è realizzata. Decisamente consigliato, anche per il prezzo assai contenuto (13 euro). E’ disponibile in libreria dall’inizio di dicembre e nelle botteghe del commercio equo e solidale, oltre che nella sezione libri del sito di Altreconomia.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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15 Commenti

  1. La scelta della lista dei birrifici è veramente incomprensibile.
    Come si possono lasciare fuori le storie di Renzo Losi (ricordo il birraio con i maggiori riconoscimenti anche all’estero), di Beppe Vento che è il punto di riferimento di molti suoi colleghi e ha cambiato il modo di approcciarsi alla birra artigianale, di Nicola Perra che ha sfidato la sete dell’Ichnusa con la proposta di birre di altissima qualità in una terra difficile,di Riccardo Franzosi che per primo ha usato legni e frutta da maestro e la storia di vita belga e di birra italiana di Fabiano Toffoli o i successi di Giovanni Campari…
    Insomma , toglierei qualche nome da quella lista e ne aggiungerei altri.

  2. hanno lasciato beppe vento….?? hai hai! magari c’e dentro 900!

  3. beh, il BI-DU è comunque presente nelle “storie medie”, quindi ha meno spazio degli 11 birrifici iniziali, ma comunque non è stato tralasciato. Stesso discorso per tutti gli altri citati da Schigi

  4. Mi pare che dalla tua recensione si capisca che il fulcro del libro siano questi 11 birrifici e le loro storie.
    Parlavo di questo.
    Che poi sia nelle storie medie…e ci mancherebbe.

  5. Cioè, per dirla tutta, visto che sono abituato a fare i nomi: Br’hant, oltre a partecipare in maniera fissa a “Fa’ la cosa giusta” di cui l’autore del libro è anche organizzatore e ci ha scritto un libro, che altre credenziali ha?
    Beltaine…fa parte di una cooperativa sociale, e allora?
    Così Pausa Café, osannati anche da me… ma tra gli 11?
    Mi fermo?
    Meglio…

  6. Per i valori che il libro cerca di promuovere mi sembra normalissimo che Pausa Cafè sia tra gli 11 (tra l’altro la sua è una delle storie più interessanti e appassionate). Pensa che per lo stesso motivo io mi aspettavo di trovare anche Piazza dei Mestieri.
    In riferimento alla selezione degli 11 principali… beh, che l’autore abbia inserito Br’hant perché magari lo conosce meglio mi sembra naturale e non mi scandalizza, anzi permette di conoscere una realtà diversa dai soliti nomi. E’ un birrificio su 11, insomma un dettaglio se si guarda al libro nella sua interezza e all’idea che c’è dietro, che secondo me è bellissima.

  7. be c’e’ sempre la possibilità di scriverlo in proprio un libro, cosi puoi parlare bene di quelli che ti stanno più simpatici o “vicini”, di solito molti in questo settore fanno sempre cosi :P.

    comuque bell’articolo Andrea mi è piaciuto molto !

  8. Ho un negozio Altromercato proprio qui a due passi, ho trovato un regalo di Natale per un caro amico e qualcosa da leggere per me! 😀

  9. La birra è la bevanda più antiecologica e affamatrice di popoli senza cibo che esista.
    Sapete quanta acqua bisogna sprecare per produrre un litro di birra?
    E quanti bambini sfamerebbero tutti quei cereali?
    Altromercato….

  10. Quindi che nessuno beva più birra. Direi di eliminare anche la carne, essere vegetariani fa bene, le mucche producono gas serra, deforestazione selvaggia e per produrre l’equivalente di 1 kg di carne bovina si produrrebbero numerosi chili di cereali per sfamare popoli affamati.
    Ma il vero problema di essere un consumatore consapevole è globale e riguarda tutti i nostri consumi.
    Meglio bere un bicchiere di birra ma non andare al lavoro in automobile? Meglio non usare piatti e bicchieri di plastica e andarci piano con i detersivi per lavare le stoviglie?
    Inquina più una birra artigianale o la Carlsberg? E via dicendo… 😀
    Ma poi sinceramente i discorsi da talebano dell’ambientalismo me li aspetto da uno che si dimostri ambientalista, se predichi bene ma poi ti scoli litroni di birre coi bicchieri di plastica, quanto puoi parlare di altromercato? Per cortesia…

  11. ciao,
    sono l’autore (on line per caso)…
    avete ragione. avrei voluto scrivere le storie di almeno tutti e 33 i birrifici “medi”.
    ahimè, non è stato possibile, per ovvie ragioni di costo (i viaggi in particolare). Altraeconomia è una piccolissima casa editrice e deve fare i conti -nel vero senso della parola- con un mercato difficile di questi tempi. per quanto riguarda le scelte, abbiamo arbitrariamente deciso che la cooperazione sociale era interessante per noi in quanto “economia” diversa e attenta alle persone.
    Se come spero ci sarà una prossima edizione Losi, Vento, Ormea e moltissimi altri che sono convinto anch’io lo meritino avranno il loro sacrosanto spazio.
    un saluto a tutti e grazie per la recensione, forse perfino troppo lusinghiera e grazie per tenere vivo questo movimento. a presto. ciao.

  12. Io infatti non entro a fare i regalini di natale da Altromercato per sentire la coscienza a posto.
    Inquino senza foglie di fico.

  13. x schigi
    Ok, ma perchè allora vaticinare? 😀
    Da Altromercato sconsiglio di fare regalini, per un tovagliolo ti chiedono 25 euro… Ciò non toglie che un libro a 13 euro mi sembra un prezzo onesto, il libro mi interessa indipendentemente dal circuito distributivo e lo comprerò. Punto.

    Tralasciando le facezie, da quel che so Altromercato non è una catena di vendita-produzione improntata sul discorso dell’ecologia, quanto su un discorso generale di fair trade, come probabilmente sai già. Il loro obiettivo primario era quello di pagare i contadini e i produttori del sud del mondo quel qualcosa in più invece di sfruttare i bambini a 3 dollari al giorno a raccogliere il caffè.
    Poi la catena è cresciuta, tengono un occhio anche alla produzione, e all’artigianale rispetto all’industriale.
    In questo ultimo contesto si parla di birra, e comunque il libro è fatto di carta, mi dirai che stampare libri costa Amazzonia, sbiancanti della carta, inquinamento delle tipografie e bla bla. Se io scrivo un libro sulla strage di Nanchino che fai, mi vieni a dire “che vergogna, che schifo le stragi”? Non ho ucciso nessuno col mio libro storico, no? 😀

  14. Ho letto il libro ieri, non c’è neanche adb, di sicuro è stata una dimenticanza non voluta.

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