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Dall’EBCU un nuovo documento sugli stili birrari del mondo

Sul finire della scorsa settimana l’EBCU (European Beer Consumer Unione, cioè l’associazione europea dei consumatori di birra) ha pubblicato la prima edizione del suo documento sugli stili birrari, battezzato The Beer Styles of Europe and beyond – nonostante il nome, include anche gli stili americani – e curato dal mitico Tim Webb. La notizia è stata rilanciata in Italia da Unionbirrai, che appunto fa parte dell’EBCU e che ha contribuito attivamente alla redazione delle linee guida insieme alle altre associazioni europee, tra cui l’italiana MoBI. Si tratta dunque di un documento per certi versi simile alle ben più famose Style Guidelines del BJCP, ma con alcune sostanziali differenze. Innanzitutto lo scopo: la risorsa del BJCP è pensata per i concorsi birrari, mentre quella dell’ECBU come risorsa per i consumatori. Quest’ultima poi riporta una semplice descrizione per ogni stile, mentre quello del BJCP fornisce una miriade di informazioni su caratteristiche organolettiche, ingredienti tipici, storia, confronto con altre tipologie e altro ancora. In realtà le linee guida dell’associazione europea sono ancora “in progress” e nel futuro si arricchiranno di molti contenuti. Intanto però possiamo analizzare il modo in cui sono state concepite.

La suddivisione degli stili

Partiamo dal primo elemento, cioè la logica con cui sono stati raggruppati gli stili. A tal proposito l’EBCU ha effettuato una suddivisione abbastanza particolare, basandola in parte sulla regione d’origine, in parte sulla grande differenza tra alta e bassa fermentazione e in parte su criteri secondari. Il risultato è la presenza allo stesso tempo di grandi gruppi, cluster ad hoc e specialità regionali: un potpourri che restituisce il senso della ricchezza della cultura birraria europea, ma che in alcuni passaggi risulta abbastanza spiazzante. Oltre a dedicare un capitolo apposito alle Lager industriali, il documento dell’EBCU considera le seguenti macro categorie: Authentic Lagers (in pratica tutte quelle di origine tedesca e ceca), The World of Ale (alte fermentazioni di Belgio, Regno Unito, Germania e Nord America, a esclusione di alcuni stili), Specific Style Cluster (nella quale rientrano Stout e Porter, birre di frumento, fermentazioni miste e spontanee) e Regional Specialities (quelle proprie di alcune nazioni).

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Curiosamente dunque il termine “Ale” è associato ad alcuni stili ad alta fermentazione di Europa e Nord America, ma non ad altri come Stout, Porter, Saison e Blanche. Se trovate questa scelta curiosa, ancora più particolare vi sembrerà la scelta di dividere i tanti stili presenti nella categoria The World of Ale in base alla loro bevibilità. Come spiegato in un capitolo introduttivo, infatti, il documento dell’EBCU divide queste birre in tre tipologie principali: session, sampling e sipping. Le session sono ovviamente le creazioni più leggere, con un contenuto alcolico tra il 4% e il 5,5%, ma che in alcune nazioni scende anche fino al 2,8%. Le sampling sono birre più forti (tra il 5,5% e il 9%), spesso rifermentate in bottiglia, che vanno bevute lentamente e nel caso condivise. Quella belga è la cultura di riferimento di questa famiglia, con i birrai locali che sono in grado di mantenere un grande equilibrio nonostante il tenore alcolico. Le sipping, infine, sono birre ancora più alcoliche (ma possono scendere fino all’8%) che vanno degustate a piccoli sorsi. Il criterio di suddivisione è interessante nell’ottica del consumatore finale, ma viene applicato solo saltuariamente alle altre macro-categorie, rimanendo dunque un esercizio di stile un po’ fine a sé stesso.

Authentic Lagers

Nelle Authentic Lagers rientrano tutte le basse fermentazioni tipiche di Germania e Repubblica Ceca. A differenza del BJCP, per quest’ultima nazione sono stati mantenuti i nomi originali degli stili e questo è sicuramente un punto a favore del documento dell’EBCU. Spulciando le varie sottocategorie troviamo dunque Bohemian Světlý, Helles, German Pils, Märzen, Vienna Lager, Bohemian Polotmavý, India Pale Lager, Dunkel, Schwarz, Bohemian Tmavý, Bock chiare e scure, Doppelbock, Eisbock, Keller, Rauch e altre Lager scure europee. Esattamente come accade con il  BJCP, non c’è alcun riferimento diretto alle Bohemian Pilsner, che invece sono incluse implicitamente nelle Světlý (variazione Ležák, cioè premium). Poi per riferirsi alla grande famiglia delle Lager tradizionali della Franconia si usa il termine Keller, con buona pace di tutte le altre denominazioni (Zwickel, Landbier, Ungespundet, ecc.). Infine le Rauch sono trattate come uno stile vero e proprio e non come una caratteristica di altri stili: scelta poco condivisibile, considerando che in Franconia c’è quasi sempre il riferimento alla tipologia di partenza (come nel caso della celeberrima Rauch Märzen di Schlenkerla).

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The World of Ale

Come accennato, l’immensa categoria in questione è a sua volta organizzata in base al grado di bevibilità degli stili. Così tra le tipologie session troviamo, tra le altre, le Spécial del Belgio (cioè le storiche Belgian Pale Ale), le varie incarnazioni di Bitter e Brown Beer, le alte fermentazioni tedesche (Kölsch e Altbier), alcuni specialità di Scozia e Irlanda e una ampia fette di stili americani (APA, Session IPA, Cream Ale, American Amber, ecc.). Tra le tipologie sampling compaiono Dubbel e Blond, English IPA, Bière de Garde, quasi tutte le variazioni americane sul tema IPA (American IPA, ovviamente, ma anche New England, Black, Brown, Red, Brut, Rye e White IPA) e altro ancora. Infine nelle sipping rientrano, tra le altre, Tripel e Belgian Strong Ale (sia chiare che scure), Barley Wine, Old Ale e Scotch Ale (cioè Wee Heavy) e Double IPA americane.

Un paio di osservazioni. In riferimento agli stili “sessionabili” della Scozia, l’EBCU ha preferito mantenere la suddivisione per scellini che invece il BJCP ha superato nell’ultima release (2015) delle Style Guidelines, affermando che per anni è stato usato in maniera erronea (anche dallo stesso BJCP) perché in realtà non ci sarebbe alcuna associazione con le caratteristiche delle birre. Tra le birre Session francesi compaiono poi le Bière Brune, che personalmente non conoscevo e che sono descritte così:

Birre scure francesi comuni (4% – 6,5%), differiscono dalle cugine inglesi per essere meno dolci e presentare più esteri, con aromi più intensi di tostato, caffè, cioccolato e liquirizia. Tradizionalmente sono una specialità della Francia settentrionale e orientale e la loro incarnazione più celebre è l’alsaziana Pelforth (gruppo Heineken, ndR), che sebbene in Francia sia considerata una birra quotidiana, si posiziona al livello più alto per gradazione alcolica.

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Specific Style Cluster

Questa categoria racchiude alcuni gruppi specifici che non sono stati associati (in maniera più o meno sensata) alle due precedenti famiglie. A sua volta è suddivisa in Stouts and Porters, Wheat Beers, Beer from other grains e Mixed fermentation styles. La prima sottocategoria racchiude tutte le variazioni sul tema delle Stout e delle Porter, abbracciando anche Baltic Porter, Imperial Stout e persino le moderne Pastry Stout (a cui l’EBCU implicitamente accenna nel gruppo Specialty Stout e Porter). È interessante rilevare che il documento evita espressamente di dedicare un gruppo alle Oyster Stout, a causa delle loro origini poco chiare. Nella seconda sottocategoria sono inserite tutti gli stili di frumento: Weizen (in versione Hefe e Kristall), Dunkelweizen, Witbier, American Wheat, Weizenbock e Wheat Wine. Come vedremo, Berliner Weisse e Gose sono invece segnalate come specialità regionali.

La sottocategoria Beer from other grains in realtà è un semplice paragrafo che cita espressamente le Roggenbier e dunque risulta quantomeno superfluo. Non poche obiezioni solleva anche il quarto gruppo, quello degli stili a fermentazione mista, più che altro a causa della usa eterogeneità. Qui infatti troviamo il Lambic e i suoi derivati, che per metodo produttivo, caratteristiche e storia avrebbero meritato una posizione più rilevante (definire queste birre fermentazioni miste è errato o quantomeno riduttivo). Qui troviamo anche le Saison, in un tentativo evidente di trovare una quadra tra le incarnazioni antiche, quelle classiche/moderne del Belgio e quelle “wild” degli anni più recenti. L’EBCU arriva persino a proporre una suddivisione delle Saison in tre tipologie: Saison Légère (quelle storiche per rinfrescare i braccianti saisonnieres), Saison (Belgian) e Saison (Craft). A voi convince la collocazione dello stile e la sua ripartizione?

Infine tra le fermentazioni miste troviamo le birre affinate in botte (tra cui compaiono le Flemish Old Brown, denominazione usata per raggruppare Flemish Red Ale e Oud Bruin) e tutti gli altri stili “spuri”, tra cui Kettle Sours, Fuit Sours, Brett Beer e Kveik.

Regional Specialities

Fortunatamente tra le cinque principali nazioni citate nell’ultima categoria compare anche l’Italia. La nostra nazione non solo è presente con le ormai immancabili Italian Grape Ale, ma anche con le Birre alle Castagne: alla buon’ora, direbbe qualcuno, sebbene il riconoscimento arrivi così in ritardo da risultare pressoché anacronistico (la tipologia è sempre meno presente tra i birrifici italiani). Riguardo alle IGA, invece, l’EBCU cita la suddivisione in Red, White e Sour e spiega – esattamente come il BJCP – che i caratteri della birra e del vino devono convivere armoniosamente, senza che i primi prevalgano sui secondi e viceversa.

Per quanto riguarda le altre nazioni, in Belgio troviamo le Grisette, in Finlandia il Sahti, in Germania le Berliner Weisse, le Gose e le Lichtenhainer e in Polonia le Grodziškie e le Schoeps (quest’ultime, non menzionate dal BJCP, sono birre di frumento piuttosto forti tipiche della città di Breslavia). Nel paragrafo dedicato alle specialità del resto d’Europa sono menzionate rapidamente le Kuit (Olanda) e tutte le creazioni delle fattorie del blocco baltico e scandinavo.

Conclusioni

Unionbirrai ha spiegato che il documento dell’EBCU è ancora un “work in progress” e la sensazione che restituisce è esattamente quella. Sia chiaro, si tratta di un lavoro già in uno stato avanzato e piuttosto completo per quanto riguarda gli stili citati. Al di là dei dubbi sulla distribuzione degli stili e su alcune scelte compiute in fase di redazione, ciò che al momento si avverte primariamente è la mancanza di profondità e ricchezza di informazioni che invece raggiungono le Style Guidelines del BJCP, che peraltro sembrano possedere un approccio più analitico sotto diversi punti di vista. L’EBCU sembra al momento più recettivo rispetto ai repentini cambiamenti del mercato, ma c’è un rovescio della medaglia: in alcuni passaggi il suo documento sembra voler includere qualsiasi tipologia brassicola, anche se in netta decadenza (abbiamo citato le Chestnut, ma ad esempio lo stesso discorso vale per le Brut IPA). In attesa che lo strumento dell’EBCU aumenti di “peso”, sarà poi probabilmente sulla frequenza degli aggiornamenti che si giocherà la sfida con il BJCP. Io personalmente continuerò a usare quest’ultimo, sebbene la novità dell’EBCU risulti molto utile e interessante.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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3 Commenti

  1. Arrivato al paragrafo delle birre scure francesi che annoverano come più illustre esponente la Pelforth, ho smesso di leggere 😀

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