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Gli stili birrari secondo la Brewers Association: quattro nuove categorie e non solo

La scorsa settimana la Brewers Association ha rilasciato l’edizione 2021 delle sue Beer Style Guidelines (qui disponibili in pdf), cioè il documento con cui l’associazione definisce le linee guida dei principali stili brassicoli del mondo. È chiaramente un testo molto simile alle Style Guidelines del BJCP, che sono spesso considerate il punto di riferimento principale per orientarsi tra le diverse tipologie birrarie. Tuttavia anche la pubblicazione in questione è molto ben fatta e, a differenza della sua “cugina”, è aggiornata ogni anno. Questo aspetto non è trascurabile in un mercato come quello della birra artigianale, che tende a cambiare velocemente con l’avvicendarsi delle tante mode che ne scandiscono l’evoluzione. Nell’articolo di oggi andremo alla scoperta delle novità previste dalla Brewers Association nell’ultima revisione del suo documento, prima però è bene ribadire un concetto fondamentale: entrambe le linee guida sono pensate principalmente per i concorsi birrari, dunque vanno lette tenendo conto di questa avvertenza.

Come riassunto in un articolo di presentazione della stessa Brewers Association, le principali novità dell’edizione 2021 delle Beer Style Guidelines consistono nell’inserimento di quattro nuovi stili, che analizzeremo nel dettaglio. È stato poi effettuato un profondo lavoro di revisione delle tipologie di stampo belga sulla base dei commenti ricevuti da numerosi giudici ed esperti locali: il risultato è molto interessante in termini di conformità alle tradizione brassicole del Belgio. Ma partiamo dai quattro stili aggiunti nel documento per la prima volta.

Kentucky Common

È curioso che la Brewers Association abbia deciso di inserire le Kentucky Common (uno stile autoctono americano) ben sei anni dopo il BJCP, che nel 2015 le incluse tra le tipologie storiche regionali. Queste birre furono molto diffuse a Louisville e nel resto del Kentucky nel periodo che andò dalla Guerra di secessione fino al Proibizionismo e – come altri stili americani – erano prodotte con una discreta percentuale di mais (25-35%). Erano tendenzialmente scure, delicate e secche, con un profilo maltato abbastanza deciso e venivano consumate freschissime. La Brewers Association e il BJCP divergono circa l’acidità: la prima afferma che era menzionata come carattere dello stile in alcuni testi di inizio ‘900 e che comunque, se presente, deve essere molto leggera; il secondo la riconduce a una “intuizione” sviluppatasi tra gli homebrewers americani, ma senza alcun conforto delle fonti storiche.

New Zealand Pale Ale e New Zealand IPA

Nel 2018 il BJCP inserì le New Zealand Pilsner nel breve elenco degli stili “provvisori” che andarono a integrare le Style Guidelines del 2015. Ora la Brewers Association rilancia con due nuovi stili provenienti da quella parte del mondo: le New Zealand Pale Ale e le New Zealand IPA. Sono ovviamente variazioni locali dei due stili di origine britannica, rivisitati in chiave moderna e caratterizzati dall’impiego di ingredienti locali: il riferimento è ovviamente alle varietà di luppolo neozelandese, ma anche alle peculiarità dell’acqua. In particolare le New Zealand Pale Ale sono di colore giallo-ambrato, hanno un tenore alcolico medio (4-6%) e risultano molto facili da bere. Il ventaglio aromatico ostenta note di frutta tropicale, passion fruit, frutta a nocciolo ed erba sfalciata.

Le New Zealand IPA, invece, sono più alcoliche (fino a 7,5%) e presentano un range cromatico più ampio (fino al ramato); il profilo è contraddistinto da intensi aromi di fiori, frutta tropicale, agrumi, erba e, in alcuni casi, una leggera componente solfurea. Sono birre piuttosto amare e secche, in cui anche l’acqua gioca un ruolo fondamentale nelle percezioni finali. Entrambi gli stili sono l’ennesimo effetto della parcellizzazione delle tipologie luppolate, che se da una parte è utile per tenere traccia delle evoluzioni regionali, dall’altra finisce per riempire le linee guida di numerose (e talvolta ridondanti) variazioni sul tema.

Belgian Session Ale

Di difficile interpretazione è infine lo stile delle Belgian Session Ale, che la Brewers Association ha espressamente creato in via residuale. Nelle specifiche della categoria si può infatti leggere che:

Le birre appartenenti a questa categoria riconoscono l’unicità e le tradizioni dell’arte brassicola belga, ma non rientrano negli altri stili (classici e non) del Belgio previsti in queste linee guida.

La spiegazione non è chiarissima, perciò tanto vale analizzare le caratteristiche di queste birre. Innanzitutto sono molto leggere, con un contenuto alcolico che varia dal 2,1% al 5%. Vale la pena notare che la Brewers Association aveva già previsto la categoria delle Table Beer, confermata giustamente in questa edizione e identificata da birre ancora più leggere (0,5-2%). Se inoltre le Table Beer sono spiegate con minuzia di particolari storici e produttivi, per le Belgian Session Ale si dice solo che mostrano aromi leggeri, possono assumere qualsiasi colore e le note dominanti sono di tipo fruttato, provenienti dagli esteri (il contributo fenolico invece è molto ridotto). È una categoria che sembra avere senso solo nell’ottica dei concorsi birrari, ma quantomeno si avverte da parte della Brewers Association una maggiore attenzione per le birre leggere del Belgio che invece non è riscontrabile nel BJCP.

A proposito di Belgio…

Come accennato, nella revisione del suo documento la Brewers Association ha rivisto profondamente le tipologie di stampo belga. In tal senso è interessante rilevare che le Belgian Pale Ale sono state ribattezzate Spécial Belge, utilizzando dunque il nome originale dello stile. Può sembrare un cambiamento di poco conto, invece ritengo che sia importante per restituire dignità alla tipologia e cercare di limitare la confusione. L’espressione Belgian Pale Ale può infatti risultare fuorviante: si potrebbe pensare che queste birre siano il frutto di un’evoluzione recente, una sorta di rivisitazione in chiave belga delle Pale Ale di estrazione moderna – un po’ come le Belgian IPA. Niente di più sbagliato: le Spécial Belge comparvero in patria addirittura a metà del XVIII secolo, ispirate inizialmente dalle Bitter inglesi, ma poi sviluppatesi seguendo un percorso molto personale. Se vi aspettate qualcosa di simile a delle moderne Pale Ale realizzate con lievito belga, siete fuori strada: sono birre di colore ambrato carico, con un bel profilo maltato che ricorda il biscotto, il miele di castagno e il caramello ed è accompagnato da sfumature fruttate; sono facili da bere, non molto amare e più “eleganti” di molti stili belgi. Oggi sono rare da trovare anche in patria e il prodotto di riferimento è la De Koninck, da anni sotto il controllo del colosso Duvel. La decisione della Brewers Association ci è piaciuta a tal punto che l’abbiamo adottata anche noi per il database di Beer Zone.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Quindi la Nivard è una spécial belge e non una blanche, come riportato erroneamente in alcuni siti di vendita.

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