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I ristoranti amano la birra: lo conferma la guida de L'Espresso

Nella giornata di ieri è stata presentata l’edizione 2011 della guida I ristoranti d’Italia dell’Espresso. Non so se amate o odiate le pubblicazioni di questo tipo, ma ciò che ci interessa è una sorta di “guida nella guida”, incentrata sulla birra di qualità. Come spiegato sul sito de L’Espresso, nell’opera è presente un’appendice chiamato Le Tavole della birra, in cui sono elencati ben 164 ristoranti italiani che presentano nell’offerta la nostra bevanda preferita. Un numero considerevole, cresciuto del 20% rispetto all’edizione precedente, dove per la prima volta era apparsa nella guida questa curiosa rassegna.

La regione più rappresentata nell’appendice è il Lazio (22 ristoranti), seguito da Lombardia ed Emilia-Romagna (19 a testa). Poi Campania (14), Toscana (13), Abruzzo (11) e Piemonte (10). Per un totale, dicevamo, di 164 locali: un numero ragguardevole, che – per fortuna o purtroppo, scegliete voi – conferma uno dei caratteri fondamentali della birra artigianale in Italia. Anche come conseguenza del nostro retroterra enogastronomico, volenti o nolenti il ristorante rappresenta uno dei luoghi simbolo della birra.

Se nelle mie parole leggete un po’ di diffidenza, non siete fuori strada. I motivi sono essenzialmente due. In primis il ristorante è un canale di distribuzione/consumo di “fascia alta”, nel quale possiamo inserire anche le enoteche e altri locali di questo tenore. Parallelamente esiste un’altra tipologia di diffusione della birra artigianale, più “informale”, realizzata mediante il lavoro di pub, beershop, associazioni, festival. Personalmente amo soprattutto questo modo di intendere la birra, più popolare e conviviale. Quindi il primo punto è di stampo prettamente soggettivo, sebbene a mio parere resti la via migliore per promuovere una corretta cultura birraria.

In secondo luogo c’è il pericolo che il ristorante diventi il canale per permettere alle multinazionali di invadere il settore artigianale. Come abbiamo visto in diverse occasioni, è proprio rivolgendosi agli chef che gli industriali stanno recentemente lanciando sul mercato prodotti appositamente studiati: bottiglie ricercate e design curato, da proporre come birra di qualità quando il contenuto rimane pressoché identico alle lageracce presenti un po’ ovunque.

Non ho letto la guida e quindi non posso esprimere un giudizio sulla selezione fatta dai ristoranti, che ovviamente dipende dalle etichette che hanno a disposizione. Ma da consumatore mi aspetto liste discretamente ampie, in cui ci siano produzioni realmente valide e non birre pseudo-artigianali o, peggio ancora, marchi industriali.

Per onore di cronaca, sappiate che a novembre l’appendice in questione diventerà una pubblicazione a sè stante, chiamata proprio Le tavole della birra. Un progetto che si prospetta tutto sommato interessante, se non fosse che sarà redatto in collaborazione con AssoBirra, cioè l’associazione degli industriali della birra e del malto. Giusto per collegarmi a quanto scrivevo poco sopra.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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13 Commenti

  1. Personalmente raramente bevo birra al ristorante almeno che non sia una cena organizzata, la birra artigianale italiana però si addice molto bene al ristorante di categoria, secondo me ha poco a che fare con la bevanda “popolare”, uno per cultura birraria inesistente in confronto a quella di altri pasei dove storicamente la birra è la bevanda alcolica del popolo, qui in Italia ha sempre dominato il vino, come è naturale che sia, e due per un regime di prezzi che non è da bevanda popolare.
    Anche se nel barretto di casa trovi la media industriale a 2,50-3,00 nel pub già sale a 4,50 e più, e questo è il prezzo che si paga per un qualsiasi prodotto industriale ad eccezzione di quei pochi locali dove si trovano delle birre buone allo stesso prezzo o poco più.
    E’ mia impressione che anche i consumatori di birra artigianale non siano proprio le classiche figure delle classi popolari, visto che vengono spesi fior di quattrini per andare a vari eventi, degustazioni, cene e poi l’acquisto di bottiglie che hanno un costo elevato per non parlare di quelle ricercate che hanno dei costi pure maggiori. Non è una cosa che intendo demonizzare, dato che anch’io faccio uguale, però trovo un pò ipocrita questa continua critica delle birre nei ristoranti quando la maggior parte del pubblico che beve birra artigianale mi dà l’impressione di frequentare volentieri proprio quel tipo di ristoranti.
    Anche i beershop, che hai messo nella categoria dei posti dove la birra viene intesa in modo “più popolare e conviviale” mi sembrano avere molto in comune con le enoteche che di popolare hanno poco, per fortuna che ci sono, ma quando esco dopo aver fatto un pò di rifornimento da un beershop con gli stessi soldi avrei potuto comprare anche delle validissime bottiglie di vino.
    Della birra viene fatto un culto da parte degli apassionati che è molto simile a quello del vino, quanta genti si diverte a fare da “sommelier” discutendo di malti, luppoli, annate, ecc ecc, piuttosto che la ricerca di annate particolari, birre speciali, prodotti introvabili a dei prezzi esagerati per poi stiparle in cantina e lasciarle li a maturare o semplicemente per poter dire di averle.
    Io spero che la birra di qualità in Italia riuscirà a raggiungere una capillarità ed un livello prezzi tale da potersi definire bevanda popolare, ma per me al momento rappresenta un divertimento abbastanza esclusivo.

  2. @Nico
    Il modo di intendere la birra non dipende solo dal prezzo al quale viene venduta, ma anche come viene comunicata. In un’enoteca è più facile che sia assimilabile all’immagine tipica del vino e che non ci sia una conoscenza approfondita. In un beershop c’è quasi sempre passione e conoscenza del prodotto, che è venduto per quello che è: birra. Con prezzo simile per carità, ma il contesto mi sembra diverso. L’approccio al prodotto da parte del consumatore difficilmente sarà uguale tra enoteca e beershop, almeno per come la vedo io.
    Per una volta il discorso dei prezzi forse è solo marginale.

  3. Sicuramente sulla guida vengono menzionati solo una parte dei ristoranti d’Italia. Da campano posso dire che ne abbiamo almeno il doppio

  4. @Andrea
    Hai ragione che non dipenda solo dal prezzo e che nei beershop ai quali sono stato ho sempre trovato persone disponibili e che sapevano il fatto loro, ma questo me lo aspetto altrettanto da un’enoteca seria, altrimenti è la prima ed ultima volta che mi vedono. Se il mercato della birra fosse abbastanza grande da permettere guadagni sicuri anche i beershop spunterebbero come i funghi, aperti dalla stessa gente che aprono le enoteche senza capire una cippa di quello che vendono, poi è il mercato che fortunatamente elimina quelli che facevano meglio a non aprire nemmeno.
    Comunque se vado in un ristorante che offre una lista delle birre interessante, mi aspetto anche una certa formazione da parte del personale che le offre, ma questo vale per tutto quello che il ristorante offre! Personalmente bevo la birra al pub o a casa, ma molta gente che conosco ha conosciuto le birre artigianali durante una cena in qualche ristorante.

  5. @Nico
    Ci mancherebbe, non sto demonizzando la birra nei ristoranti. Quello che mi “preoccupa” (tra virgolette doverose, si parla pur sempre di birra) è che la visione che si sta diffondendo è a senso unico, mentre quella relativa a pub e beershop non viene neanche considerata.

    Ognuno di noi ripone delle aspettative in un servizio, ma ti assicuro che accanto a ristoranti con ottime birre in catalogo (qui a Roma ce ne sono alcuni con carte sorprendenti), ce ne sono molti che magari hanno Menabrea, Moretti Grand Cru e un paio di pessime belghe da supermercato. Comunque quando uscirà ‘sta guida “Le Tavole della birra” vedremo se i miei timori sono fondati…

  6. Timori molto fondati. Altre riviste del settore già stanno andando in quella direzione come si può vedere in un mio post qui http://leliobottero.blogspot.com/2010/09/il-prezzo-della-birra-artigianale-puro.html
    Sulla mancanza di formazione del personale e degli operatori di tutte le categorie legate alla birra (e non solo alla birra) potremmo discuterne all’infinito. Di certo il diffondersi della cultura della GDO e dei self service/fast food (mc donalds in testa) non aiuta. Mantenere il popolo nell’ignoranza ed omologarlo è da sempre il verbo di ogni dittatura, e quella delle multinazionali del cibo (e non solo)…non è forse una forma di dittatura-omologazione?
    Non stupiamoci dunque se l’operazione di creare una carta delle birre per la ristorazione non riuscita al gruppo Carlsberg-Tuborg nel 2002-2003 venga oggi ripresa con altri mezzi e forme di comunicazione da parte di AssoBirra.
    La cosa che più mi preoccupa comunque sono le industriali “mascherate” da artigianali…

  7. Le artigianali sono artigianali,le industriali restano industriali,c’è poco da dire.Resta a ki la fà a far capire il messaggio….

  8. Il gambero rosso, con Marco Bolasco, quando era ancora lì, iniziò a recensire i locali della birra, indicandoli con un boccale nella guida. Mi piace il discorso di Nico perchè è concreto e ci riporta sulla terra, svelando diverse verità che spesso da “esperti”non si vedono.
    Condivido però l’opinione dei tanti sulla necessità di diffondere nel canale bar/pub/ristorazione quotidiana, la birra, spesso confinata in un’immagine elitaria
    Non mi sembra un discorso con molto senso quello industriali/artigianali a tavola.
    Credo che ristoranti stellati o quasi proporranno sempre birre di un certo livello, con spesso se non sempre prodotti artigianali, Assobirra si serve dell’alta cucina per veicolare la birra come bevanda da pasto quotidiano, sostitutiva del vino perchè più leggera ed adeguata allo stile di vita odierno.

  9. Birra + cibo = eccellente binomio, ma ancora tutto da scoprire. Personalmente detesto bere birra senza mettere qualcosa sotto i denti.

  10. @Nico hai ragione, ma ti faccio l’esempio di locali tipo Bir&Fud o del BQ o molti altri simili, che offrono una gastronomia di indubbia qualità, specie dal punto di vista della scelta delle materie prime, qualità che ovviamente si paga, ma che non ti fa svenare come se andassi in un ristorante stellato. La svolta positiva che vedo in certi locali a mio avviso è proprio quella di puntare sulla qualità, con prezzi quindi maggiori del classico pub “patatine e hot dog”, ma senza gli eccessi che un ristorante di livello comporterebbe. Mangiare un tagliere con suino dei nebrodi e cinta senese al 4:20 accompagnato da una buona birra è una goduria, se puoi godertelo in una brasserie o in un’enoteca senza poi ordinare le altre 4 portate ne esci vivo, ma al ristorante come antipasto… alla fine il conto ti bastona! Insomma, certi nomi nuovi non sono concepiti come locali popolari, questo certamente no, ma offrono a mio avviso il giusto equilibrio tra qualità e prezzo. Non dico certo che i locali dovrebbero essere tutti così, ma che ci siano ANCHE locali così è una cosa che non può che farmi felice. Poi nessuno ti proibisce di limitarti ad ordinare una sola birra, come si fa al Makke.

  11. @Hyria è proprio quello il punto. la confusione nel messaggio che l’ industria sta portando avant.

    @Paolo l’esempio di Bottura (mi auguro sia la famosa eccezione che conferma la regola) che promuove la Gran Cru e beve a canna in pubblico http://files.splinder.com/7493d728e1307d38cd015362c252977c_medium.jpg …non lascia ben sperare sulle intenzioni e sulle competenze degli stellati da te menzionati.
    Concordo appieno sul fatto che la birra debba occupare il terreno a lei più consono e tradizionale, quello dei pub e della ristorazione (di livello per carità) informale.

  12. In primis voglio precisare che non era mia intenzione prendere la difesa dei ristoranti che ti vendono la Menabrea da 0,75 o una Moretti gran Cru come se fosse una birra di qualità….
    Con un’ignoranza diffusa in materia birraria da parte della maggioranza dei consumatori, come nella situazione attuale, ci sarà anche chi se ne approfitta per vendere fischi per fiaschi. Vi prego di non lapidarmi per questa mia opinione, ma può avere del buono anche la Moretti gran cru, visto che serve ad allargare le vedute di chi intende come birra soltanto la classica lager onnipresente.
    Con l’aumentare della presenza di birre “diverse” sul mercato, secondo me, aumenterà anche la quantità di persone che si interessano per quello che c’é oltre la produzione industriale.
    Il bere bene, indipendentemente dal prodotto, è una cosa che si deve imparare e dove, come in tutte le cose, ci vuole un pò di cervello, un pò di curiosità e volontà di evolversi. Prendo come esempio il Rum Zacapa, in fin dei conti un prodotto industriale di qualità discutibile e prezzo elevato ma di larga reperibilità nei supermercati, che gli apassionati del Rum disprezzano ma attraverso il quale si crea una consapevolezza che il Rum può andre ben oltre il classico rummaccio bianco. Se poi sei una pecora rimani lì e continui ad ingozzarti di Zacapa, se invece incominci ad informarti ed ad andare oltre i prodotti di larga reperibilità scopri un mondo intero.
    Questo percorso vale anche per la birra e sarà compito degli operatori del settore artigianale farsi conoscere e far conoscere i propri prodotti ed offrire la possibilità di informarsi e di aumentare le proprie conoscenze, oltre al supporto che associazioni, appassionati ecc possono dare. Poi ci sarà sempre chi continuerà a bere industriale come c’è chi si beve il Tavernello.

  13. David Giustinelli

    Io vendo birre artigianali…e trovo che forse l’Italia…tanto per cambiare….arrivi sempre in puntuale ritardo sull’evoluzione dei mercati mondiali!

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