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La birra Bavaria beffa i produttori bavaresi

La Baviera è la regione europea che nell’immaginario collettivo viene associata alla birra prima di qualunque altra. Anche se non molto diffusa da noi, esiste una birra che porta il nome della suddetta zona della Germania. L’unico problema è che non si tratta di un prodotto tedesco, bensì olandese. La Bavaria è infatti commercializzata dall’azienda omonima con sede nei Paesi Bassi: è una vera e propria multinazionale della birra, che vende in più di 100 paesi e che possiede anche una società affiliata in Italia, Bavaria Italia, per l’appunto. Il nome quindi non ha nulla a che vedere con la regione tedesca, tanto che nel 2006 alcuni produttori bavaresi si sono rivolti al tribunale di Torino per tutelare i propri diritti.

La birra della Baviera è infatti da qualche tempo un marchio IGP, cioè Indicazione Geografica Protetta. La definizione Bayerische Bier, birra bavarese, è quindi riservata soltanto ai birrifici che effettivamente sorgono all’interno della regione della Germania meridionale. Chiamare una birra col nome della zona “più birraria” del mondo è l’uovo di Colombo del marketing della birra, ma rasenta ovviamente il comportamento ingannevole ai danni del consumatore. Con l’istituzione di un marchio IGP, il problema è diventato ancor più critico, tanto da spingere i produttori tedeschi a citare in giudizio la Bavaria.

Come riportato dal sito Unione Consulenti, il Tribunale di Torino ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia Europea, chiedendo a quest’ultima di pronunciarsi sulla validità della denominazione IGP “Bayerische Bier” e sulla validità e utilizzabilità dei marchi in cui compare la dizione Bavaria. Da sottolineare che la birra Bavaria fu immessa sul mercato molto tempo prima della creazione del marchio IGP in questione.

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La sentenza della Corte di Giustizia ha cercato di salvare capra e cavoli. Sebbene abbia confermato la piena validità del marchio IGP Bayerische Bier, ha comunque rimandato ai tribunali nazionali la decisione di permettere a Bavaria di continuare a vendere la sua birra, una volta verificato che vi sia stato un uso o una registrazione precedente effettuata in buona fede.

Nonostante quindi la Corte di Giustizia non abbia accolto la tesi di Bavaria, che sosteneva che la Birra di Baviera fosse da ritenersi un nome generico di birra, in quanto diffuso in tutto il mondo e usato per indicare una birra ottenuta con un determinato procedimento (chi ha parlato di “arrampicata sugli specchi?”), non ha impedito esplicitamente all’azienda olandese di continuare a commercializzare la propria birra.

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La sentenza della giustizia europea potrebbe portare a scenari simili a quelli verificatisi per il contenzioso tra l’americana Anheuser-Busch e la ceca Budvar per l’uso del marchio Budweiser. Il braccio di ferro tra le due aziende non si è infatti risolto in modo univoco ovunque: se infatti il marchio è rimasto di proprietà della Budvar in alcuni paesi, in altri (come Italia, Danimarca, Spagna, ecc.) è stata la multinazionale statunitense a prevalere. Da noi, ad esempio, brand come Budweiser o Bud possono essere utilizzati solo dall’Anheuser-Busch, ora passata sotto il controllo di Inbev.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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1 commento

  1. sentenza mooooolto pericolosa, poi non lamentiamoci se un formaggio di merda tedesco porta il nome parmesan, o un vino da 3 lire fatto a copenaghen con succo di uva preso in perù lo chiamano chianti riserve o gold of tuscany …..
    nel nome del dio soldo , il cetriolo lo pigliamo sempre in qulo noi consumatori.

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