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A breve le nuove linee guida del BJCP: ecco tutte le novità

BJCP-LogoL’acronimo BJCP potrebbe non risultare familiare a tutti i lettori, ma ha una sua certa importanza all’interno del movimento birrario internazionale. La sigla sta infatti per Beer Judge Certification Program e indica un’organizzazione no profit nata in America nel 1985, con l’obiettivo di formare e certificare giudici birrai. La sua pubblicazione più importante è senza dubbio rappresentata dalle Style Guidelines, reputate la Bibbia degli stili birrari del mondo. Possono essere considerate una sorta di manuale alla sorprendente varietà del mondo brassicolo, poiché definiscono le varie tipologie realizzabili (gli stili, per l’appunto) e stabiliscono i criteri che le caratterizzano e le distinguono da tutte le altre. Dopo ben 6 anni dall’ultima release è finalmente pronta la nuova revisione del documento, con interessanti novità. Prendo allora spunto dal post di ieri di Francesco sul suo Brewing Bad (se amate l’homebrewing seguitelo con attenzione!) per fare il punto della situazione.

Dato il crescente successo della birra artigianale in tutto il mondo, è chiaro che questa revisione delle Guidelines tenderà a aumentare la complessità del documento. Così ci saranno ottimizzazioni e razionalizzazioni dei contenuti, ma soprattutto non mancherà un gran numero di nuovi stili introdotti da zero. La mancanza di un alcuni di essi era a dir poco clamorosa nella precedente edizione e mi riferisco in particolare agli stili Gose, Golden Ale e Keller. Del primo è assolutamente d’obbligo la presenza, non tanto per la riscoperta che sta ricevendo negli ultimi tempi, ma principalmente per la sua importanza storica e per le sue caratteristiche assolutamente uniche. Assurdo che anche le Golden Ale fossero assenti, rappresentando non solo uno dei pochissimi stili anglosassoni stagionali, ma anche una tipologia numerosissima sul mercato. Infine era parimenti sanguinosa l’assenza delle Keller, che il BJCP finalmente codifica come stile a tutti gli effetti. Ben vengano allora queste tre integrazioni.

Nelle nuove linee guida le Gose si inseriscono all’interno di una macrocategoria definita Hystorical, nella quale compaiono altri stili assolutamente inediti: Grodziskie (di origine polacca, ne produce un clone Amiata), Lichtenhainer (antica birra affumicata e acida, sorta di anello di congiunzione tra una Rauch e una Berliner Weisse), Sahti (tipica bevanda tradizionale finlandese), Kentucky Common (una specie di Cream Ale scura, a volte con aggiunta di lattobacilli), Pre-Prohibition Porter (antiche Porter americane). Un parametro che solitamente tengo in considerazione per valutare l’opportunità di codificare un nuovo stile è la sua presenza sul mercato: puoi anche stabilire i criteri di una nuova (o vecchia) tipologia, ma se poi non la puoi bere mi sembra un esercizio fine a se stesso. Probabilmente lo stesso si può dire per alcuni dei nuovi stili Hystorical, ma secondo me in questo caso si può chiudere un occhio proprio perché storici : l’importanza divulgativa va oltre ogni valutazione di pertinenza.

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Tra le nuove tipologie trovo interessante l’introduzione della famiglia Czech Lager, suddivisa negli stili Czech Light Lager, Czech Amber Lager, Czech Dark e il già esistente Bohemian Pilsner (o Czech Pilsner). In effetti una cosa che non ho mai accettato fino in fondo è l’idea che la Repubblica Ceca non avesse i suoi stili, a parte quello che più di tutti ha rivoluzionato la storia della birra (Pils). Ma chi ha viaggiato nel paese europeo sa bene che in loco vengono consumate tante altre tipologie, denominate con nomi propri (come ad esempio le Tmave, birre scure). Solitamente per simili produzioni si usa la tassonomia tedesca e si parla di Dunkel, Schwarz e via dicendo, mortificando un’intera cultura brassicola forse ben oltre le somiglianze con la vicina Germania. In questo caso da una parte è apprezzabile riconoscere alla Repubblica Ceca la sua autonomia brassicola, dall’altra però si rischia di creare copie di stili già esistenti. Sarà interessante scoprire quali criteri stabilirà il BJCP  per giustificare questa novità.

Come sottolinea lo stesso Francesco, non mancherà di alimentare polemiche un’altra nuova famiglia, quella delle American Wild Ale, suddivisa in Brett Beer, Mixed-Fermentation Sour Beer e Soured Fruit Beer. Qui il problema non è tanto nell’aver introdotto tipologie verso le quali probabilmente convergeranno tanti birrifici nei prossimi anni, quanto nell’aver associato questa famiglia alla cultura brassicola statunitense. Insomma è quell'”American” che fa storcere la bocca e che ha tutta l’aria di un’appropriazione indebita. Tra gli altri stili inediti segnalo le Trappist Single (difficili da trovare sul mercato), le Australian Sparkling Ale e i Wheat Wine (di cui parlammo tempo addietro). Apprezzabile infine l’unione delle diverse variazioni di IPA nella famiglia Specialty IPA (nome che però mi piace poco), nella quale compaiono anche le nuove – e alcune di esse evitabili – White IPA, Brown IPA, Rye IPA e Red IPA.

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La riorganizzazione dei contenuti ha poi decretato diversi cambiamenti. Tra quelli più sensati segnalo la riduzione delle Scottish (peccato per la scomparsa della nomenclatura in scellini), la distinzione tra Marzen e Festbier (le prime più tradizionali, le seconde tristemente più moderne), la ridenominazione delle Strong Scoth Ale in Wee Heavy. Trovo invece meno comprensibili alcuni nuovi nomi che vanno a sostituirne altri tradizionali (German Exportbier al posto di Dortmunder Export, Helles Bock al posto di Maibock, Strong Bitter al posto di ESB), così come oscura la definizione delle Tropical Stout. Infine accolgo con dolore la dissolvenza delle Old Ale all’interno del nuovo stile English Strong Ale.

Dal pdf di presentazione alla revisione redatto dal presidente del BJCP, Gordon Strong, mi sembra di capire che le schede di ogni stile saranno valorizzate da una serie di nuove informazioni. In particolare mi intriga le sezione Style Comparison, che dovrebbe riportare le differenze di uno stile con stili simili, sciogliendo eventuali dubbi di comparazione. Importante poi ricordare ciò che fa già Gordon Strong nel documento: le Style Guidelines esistono per fungere da “faro” nelle competizioni internazionali e non hanno fini didattici, sebbene su quest’ultimo punto io non sia perfettamente d’accordo.

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Contenti delle modifiche in arrivo alle linee guida del BJCP? Avreste inserito qualcosa in più? Io tra le storiche avrei aggiunto anche le Koyt olandesi e, perché no, inizierei anche a guardare oltre l’America e l’Europa (Oceania a parte).

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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23 Commenti

  1. preciso che le linee guida non sono ancora state rilasciate in versione finale. sono in versione draft e per un paio di mesi si raccoglieranno tra i membri (e non) commenti alle linee guida per eventaulmente apportare correzioni alla versione finale che dovrebbe essere rilasciata dopo non molto.
    a fine aprile è stato sottomesso direttamente a Gordon Strong anche la descrizione di uno stile italiano che abbiamo denominato “Italian grape ale”. ovviamente comprende le birre con mosto d’uva. Gordon mi ha fatto sapere che se non dovesse entrare in guida come stile a se, avrebbero potuto prevedere una citazione all’interno delle fruitbeer o in ultima analisi la pubblicazione dello stile sul sito del BJCP nell’area italiana (creata da pochissimo). non sono ottimista a riguardo ma vedremo.

    il fatto di legare il termine bretta al mondo USA è una cosa che non mi piace. a febbraio si è tenuta una riunione con membri europei del BJCP a Dublino durante la quale abbiamo visto un prima bozza di linee guida ed eravamo tutti concordi (Americani a parte) di non legare le “wild ale” agli USA. va detto però che loro sono stra avanti su questo ambito. per quanto può contare (molto poco) mi opporrò ancora. 🙂

    Strong Bitter ha sostituito del tutto ESB (prima era denominato con doppio nome) dato che ESB lo utilizza solo Fuller’s e qualche americano che l’ha seguito negli ultimi anni. altri nomi sono variati poichè non più utilizzati.

    che dire… per me la revisione va nella direzione giusta ed è sicuramente migliorativa ma è più che normale che non sarà mai perfetta per tutti. sono linee guida USA e a volte birrette di quartiere americane rischiano di essere maggiormente messe in evidenza di un nuovo trend birrario europeo.

    • Grazie del contributo. A proposito della mancata introduzione delle Italian Grape, da “interno” mi sai dire che cavolo sono queste Australian Sparkle Ale? Scusa l’ignoranza…

      • ho fatto al tua stessa domanda a Gordon quando ho visto sto stile in bozza. 🙂 Le Australian Sparkling Ale sono delle Pale ale australiane in cui si utilizza malto Australiano, luppolo australiano (es pride of ringwood) e un lievito di impronta inglese molto attenuante. un tempo veniva aggiunto zucchero perchè i malti australiani non rendevano come quelli inglesi ma adesso sono fatte di solo malto.
        questa è una Aussie Sp. Ale http://www.beeradvocate.com/beer/profile/491/2128/

          • forse noi paghiamo lo scotto di essere ancora poco conosciuti e che tutto sommato birre al mosto d’uva sono prodotte ma non in maniera così diffusa tanto da diventare un prodotto consolidato del settore. ste cavolo di birre australiane invece hanno un minimo di storia, le producono in molti in Australia e le riproducono gli homebrewer (anche questo conta). poi mettici pure interessi di mercato nel vedersi ufficializzare uno stile…

            cmq sarei curioso di assaggiare sta birra aussie! pare non mettano luppolo nelle fasi finali della bollitura.

          • Non sono amante dello stile ma le birre al mosto d’uva andrebbero inserite eccome. A parte l’interesse per il prodotto, si eviterebbe confusione in altre categorie.

      • Pur da “esterno” provo a dare il mio contributo. Quando sono andato in Nuova Zelanda ho sottoposto il quesito al proprietario del Good George, un brewpub di Hamilton (non molto distante da Auckland) che, tra le altre sue produzioni, serviva una “Sparkling Ale” (dicitura che comunque trovi su altre produzioni di birrerie dell’Oceania, tipo Cooper’s e Kortegast). Mi diceva che nella logica Aussie/Kiwi una S.A. è una Pale Ale brassata con luppoli e lieviti locali, caratterizzata dall’essere più “spinta” a livello di carbonazione di una P.A. “tradizionale”. Personalmente posso dire di non avere percepito tra S.A. e “comuni” Pale Ale Australiane/Neozelandesi differenze così marcate da giustificare la creazione di uno stile a parte.

        • Già, sapevo di qualche differenza sulla carbonazione, come il termine suggerisce. L’unica che ho assaggiato è quella di Cooper’s, che non merita commenti.
          Vero il discorso di Scustumatu sulla riproduzione hb di stili, in pochissimi in Italia fanno birre con mosto d’uva.
          Tornando al BJCP, però, sono contento di alcuni nuovi ingressi ma non di alcune cancellazioni, non capisco cosa costava tenerle in vita nonostante non siano trovabili. E se un giorno scompaiono le English IPA, lasciamo solo le American IPA? E come le si giustificherebbero?
          Temo anche che alcune nuove categorie vadano per influenzare anche la divulgazione e la sistemazione degli stili nella nostra testa. A cominciare dai concorsi hb che si basano sul BJCP e che sono il primo terreno di confronto: va a finire che se faccio. Forse bisognerebbe adottare un sistema italiano di stili, non capisco perchè correre dietro a schemi che non rappresentano la nostra realtà delle cose e non distanziarci. Questi pre-prohibition, clone beers(?) o american-* cos’hanno da dirci? Valgono più di Old Ale e Dortmunder?

    • ok tutto, ma io credo che eliminare le Old Ale come stile forse perché le fanno in pochi sia una bestialità che non trova giustificazioni e getti parecchio discredito sulla serietà, o meglio l’imparzialità, del BJCP inficiando il lavoro buono che sicuramente è presente

      se vogliono farsi gli stili a uso e consumo degli USA cosa diavolo le fanno a fare le branch estere? gli serve la foglia di fico?

      • succede quando gli americani prendono il controllo… per loro esiste solo ciò che è “bold”, come si fa a cancellare le old ale?

  2. Andrea che differenza c’è tra una Czech Lager ed una Helles? O tra una Czech Amber/Dark Lager ed una Dark Lager Tedesca?

    • Pronto a essere smentito da chi è più esperto in materia di Repubblica Ceca, ma ti direi quasi nessuna. O meglio, per mia esperienza ti dico che tra una Dunkel e una Czech Amber non vedo differenze, mentre pochissime tra le altre: le Helles le percepisco come leggermente più maltate, le Schwarz come leggermente più tostate. Ma parliamo di voler cercare il pelo nell’uovo, per questo sono curioso di leggere le linee guida a tal proposito. Potrebbe essere la stessa distinzione che corre tra German e Bohemian Pilsner: ognuno decida se ha senso o meno, considerando anche parametri storico-culturali.

      • Ovvero la provenienza degli ingredienti. Quindi Czech Dark Lager con ingredienti Cechi, mentre Dark Lager con ingredienti di altra provenienza. Dovrebbe pertanto essere la stessa differenza tra Bohemian Pilsner e German Pilsner. ma allore tra German Pilsner e Helles, la differenza qual’è?

        • Se parliamo di caratteristiche organolettiche, le prime differenze sono evidenti: le Helles sono più maltate e il luppolo non emerge, è usato solo per bilanciare.

    • Cos’è, una domanda a trabocchetto? 🙂
      In un binomio amaro/dolce possiamo dire (a livello generale) che quanto più c’è amaro, meno c’è dolce, e viceversa. Però non ho capito se la tua domanda riguarda l’assaggio o la produzione.

    • È chiaro che non è solo la quantità di luppolo impiegato. Se prendiamo sempre il BJCP come riferimento, c’è scritto questo:

      “Unlike Pilsner but like its cousin, Munich Dunkel, Helles is a malt-accentuated beer that is not overly sweet, but rather focuses on malt flavor with underlying hop bitterness in a supporting role.”

      Si fa riferimento all’assaggio, non alla produzione.

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