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Budweiser non è sola: come l’industria continua a puntare il segmento artigianale

moretti RegionaliIl polverone alzato dallo spot di Budweiser durante l’ultimo Super Bowl potrebbe essere solo una semplice schermaglia prima di una guerra tra birra craft e prodotti industriali. Dalla messa in onda dello spot a oggi (quindi parliamo di una decina di giorni) si sono susseguite alcune notizie piuttosto inquietanti per gli amanti della birra artigianale, che dimostrano come le multinazionali abbiamo deciso di attaccare con forza – e forse senza simili precedenti – il segmento delle produzioni di qualità. L’impressione allora è che la pubblicità di Budweiser non sia stata altro che una delle tante diverse operazioni in atto in questo momento, certamente eclatante nella forma e nei contenuti. Ma la verità è che tutti i marchi industriali si stanno muovendo per limitare i danni di consumi in calo e attingere a un bacino di consumatori che si è indirizzato verso un altro mercato: quello delle birre craft.

Una delle mosse più clamorose è stata messa a segno in Italia. Durante il passato Identità Golose di Milano, Birra Moretti (main sponsor dell’evento) ha presentato una nuova linea di birre battezzata Le Regionali. Si tratta di quattro specialità che, scimmiottando uno dei fenomeni più controversi della birra artigianale italiana, impiega ingredienti locali. Ecco che allora la Piemontese è prodotta con mirtillo e riso, la Friulana con mela renetta, la Toscana con farro e la Siciliana con fiori di zagara. Non ci sono informazioni sulla ricetta di base, ma la sensazione è che sia la stessa di Birra Moretti, a cui semplicemente si aggiungono le relative aromatizzazioni. La presentazione durante Identità Golose ha sottolineato il connubio con la cucina ricercata, cavalcando un altro dei cavalli da battaglia del momento.

Difficile prevedere quale futuro avrà questa gamma, che a me ricorda la sfortunata serie di panini regionali realizzati in passato da McDonald’s Italia. Così come il gigante dei fast food, anche Birra Moretti prova a confondere le acque, mascherandosi da birra artigianale per rincorrere un trend di mercato che non le è mai appartenuto. La sterile idea delle specialità regionali si riduce a proporre sempre lo stesso prodotto – che sia la stessa ricetta o meno conta poco, parliamo di prodotto in senso generale – con un pizzico di “particolarità”. Un po’ di farro qui, un po’ di frutta lì (o forse essenza di frutta) e il gioco è fatto. È come la vecchia attrice in caduta libera che si presenta con un lifting tremendo all’ennesima festa mondana: una cosa improponibile.

Becks-Bierspezialitaeten-Pale-AleTra le tante strategie che hanno le multinazionali per attaccare il segmento artigianale, quello di Birra Moretti è di certo il peggiore. Un gradino leggermente sopra si posiziona allora l’ultima mossa di Beck’s, che negli stessi giorni ha annunciato tre nuove birre. La particolarità è che appartengono espressamente a tre stili birrari precisi, peraltro anche piuttosto “moderni”: abbiamo infatti la Beck’s Pale Ale, la Beck’s Amber Lager e persino la Beck’s Imperial Pils. Tre produzioni che ammiccano in maniera lapalissiana al mondo della birra craft e ai suoi consumatori e lo fanno anche in maniera abbastanza onesta: non si nascondono dietro a meccanismi perversi, ma si presentano per quello che sono. Da qui a definirli buoni prodotti però ce ne passa…

Quella di Beck’s non è la prima scelta di questo genere e in casi analoghi valuto sempre il nome coinvolto nell’operazione. In passato ad esempio ho espresso curiosità per le Porter annunciate da Guinness, perché è un marchio che, pur essendo ampiamente industriale, mantiene una sua autorevolezza per alcuni tipi di birre. Ma attendersi qualcosa di interessante da Beck’s per stili lontani anni luce – anche concettualmente – dalla sua birra di punta è dura. Per il momento non rimane dunque che registrare questa ulteriore invasione in un mondo completamente lontano da quello delle multinazionali.

Accanto al lancio di prodotti nuovi come quelli appena analizzati, c’è un altro modo di penetrare un segmento di mercato: ottenere il controllo dei suoi operatori. È quello che sta accadendo in Brasile, dove recentemente gli industriali si sono mossi per acquistare alcuni birrifici artigianali, protagonisti di una “craft revolution” analoga a quella di altri paesi (compresa l’Italia). L’ultimo caso risale solamente a ieri e ci parla dell’acquisizione del birrificio Wals da parte del gigante Ambev. Per la cronaca Wals è uno dei produttori più interessanti del Brasile, capace di ottenere riconoscimenti in diversi concorsi internazionali (non ultimo la World Beer Cup del 2014). E non è la prima volta che si assiste a un evento del genere: in precedenza lo stesso destino è toccato ai birrifici Baden Baden ed Eisenbahn. Di fronte al ripetersi di certe vicende, è chiaro che tra gli appassionati locali ci sia più di qualche apprensione.

companies-that-make-your-beer-mapE alla luce di questa considerazione non è forse un caso che in queste ore stia girando nell’ambiente una sorta di cartina degli Stati Uniti che cerca di informare i consumatori. La mappa si chiama “Le aziende che realmente producono la tua birra” e svela quali sono le multinazionali nascoste dietro ad alcuni marchi. Ci sono ovviamente i birrifici protagonisti delle ultime acquisizioni da parte dell’industria (10 Barrel, Goose Island, Elysian, Founders), ma anche birre che solitamente vengono percepite come craft (Blue Moon, Pabst Blue Ribbon). Sensibilizzare i consumatori sulla realtà delle dinamiche brassicole americane sembra un’esigenza sempre più pressante, soprattutto in seguito alle ultime vicende appena segnalate.

L’impressione è che in futuro lo scontro tra autentiche birre craft, pseudo artigianali e microbirrifici controllati da multinazionali si farà sempre più duro. L’importante è che il consumatore possa sempre compiere scelte consapevoli, guidate dal suo gusto.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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23 Commenti

  1. alexander_douglas

    Ma la Pabst Blue Ribbon io sapevo che era una porcata allucinante, c’era davvero qualcuno che la riteneva anche semplicemente una simil lager? comunque la mia considerazione sul tema è che di per se non ci vedo nulla di così agghiacciante che l’industria inglobi nomi craft ( o presunti tali) se la qualità non ne risente….ora alcuni di questi qualitivamente mi lasciano un po perplesso perchè li possiamo assaggiare anche in italia con una certa facilità e non sono proprio memorabili (kona, red hook, widmar brothers) ma samuel adams, founders e goose island sono buoni nomi e da quel che ho sentito recentemente anche Cigar City è stata puntata da un colosso dell’industria. Certo poi magari non dovrebbero buttare merda su un settore che intendono sfruttare quelli delle industrie. Quanto al discorso delle Moretti “Regionali” della Beck’s “crafty” esprimo lo stesso parere della Moretti Grand Cru e delle Poretti ventordici luppoli (siamo arrivati anche alle saison nel frattempo: AGGHIAGGIANDE

    • Interessante notare come Boston Beer (quindi Samuel Adams e non solo) sia presente nella mappa delle crafty, mentre per la Brewers Association è craft a tutti gli effetti (anzi, è la stessa BA a ricucirgli la definizione addosso ogni volta). Gli autori della mappa sono a conoscenza della differenza ma hanno specificato che preferiscono considerarla industriale. Chissà se questa vicenda tornerà presto a tenere banco…

    • alexander_douglas

      refuso sulla Pabst….intendevo dire simil craft. Scusate il lapsus

  2. Comunque, anche se non fa parte delle birre citate nell’articolo, devo dire che ho assaggiato di recente la Poretti saison 8 luppoli e non è affatto male.
    Ovviamente non mi ha fatto strappare i capelli, però ha un bel naso di frutta e leggermente speziato e l’unica vera (e prevedibile) pecca ce l’ha in una dolcezza un po’ eccessiva.
    Ma è meglio di tanta porcheria artigianale assaggiata di recente e non.

    • Ma infatti come dicevo per Guinness, bisogna sempre aspettare a stroncare queste novità. Certo che le Regionali di Moretti mi sembrano su tutt’altro tenore.

      Occhio comunque a non commettere l’errore opposto, cioè che mossi dall’irrefrenabile esigenza di denunciare la bassa qualità di tante birre artigianali (che in passato era ben più bassa) si arrivi persino a lodare l’industria. Per me rimangono due mondi diversi, con rari (almeno fino a oggi) momenti di contatto.

      • Forse nasce da un diverso atteggiamento di fondo che viene adottato. Nel senso che se una industriale fa schifo probabilmente si è più disponibili ad essere indulgenti e tollerare difetti visto che, tendenzialmente, saranno stati spesi 4/5 € al litro (ovviamente non considero fasce di prezzo anche inferiori perchè lì siamo al livello della gassosa alcolica…). Sulle artigianali invece credo che la minore clemenza dipenda dal fatto che – lasciamo stare le ragioni e i discorsi di economie di scala – di base costano 10 € litro (anche di + in verità) e su questi presupposti il consumatore pretende prodotti perfetti. Da parte mia, facendo un discorso molto approssimativo tirerei queste linee di massima:
        1) esistono industriali buone e artigianali anche pessime pessime;
        2) alle industriali buone, nel migliore dei casi, ho dato un 8/8,5;
        3) il 10 l’ho dato solo a birre artigianali (ancora mi commuovo se penso alle Adam di Hair of The Dog che ho bevuto a Seattle, lì siamo al 10 +).

        • Mah più che altro se un industriale fa schifo, farà sempre schifo; se è relativamente buona, lo sarà sempre. Non c’è molta variabilità a differenza della birra artigianale, dove non solo può capitare la boccia sfortunata, ma il birraio può anche migliorare molto nel giro di pochi mesi. Certo, se la boccia è sempre sfortunata e il birraio rimane una pippa, meglio una Peroni ghiacciata.

          Comunque una industriale per me può raggiungere massimo un 7, al netto del rapporto qualità prezzo.

          • E’ vero che è un prodotto commerciale, ma sta avendo indiscutibilmente un grande successo. Noi lo vendiamo molto bene. I consumatori sono intrigati dagli abbinamenti particolari che spingono all’acquisto (e quindi alla degustazione) di tutta la selezione!

  3. sta boicottare questi pseudo produttori di birra non comprando più i loro pseudo prodotti; basti pensare che la Budweiser fa uso di OGM in alcuni loro prodotti (o lo faceva), mentre la Moretti (che alcuni riterranno essere ancora una birra nazionale), è stata acquisita dall’olandese Heineken… basta informarsi un pò e soprattutto combatterli con della sana e buona informazione…

  4. Sono d’accordo sull’ultima parte dell’articolo: osservare, approfondire, conoscere (per quanto possibile) per scegliere nel modo che si ritiene migliore, ma di contro non sono per nulla d’accordo per quanto riguarda il “destino” di alcuni birrifici artigianali… Mi sembra una logica molto simile ad un aspetto della diatriba riguardo le beer-firm. Mi spiego meglio: nessuno obbliga birrifici craft a vendersi in toto o a quote a birrifici industriali o distributori. Va bene stare dalla parte dei birrifici craft, ma a mio parere non bisogna stare dalla parte dei craft a prescindere. Detto questo non sono in alcun modo schierato dalla parte dei birrifici industriali (da 4-5 anni ormai bevo solo artigianale, da quando un mio amico per fortuna mi ha indirizzato sui binari quantomeno buoni; e non lo dico per fare il duro e puro, è una scelta consapevole e motivata).

    Ulteriore riflessione: davvero il mondo del craft è SOLO qualità? Io, esimio signor nessuno, purtroppo avevo molte aspettative riguardo i birrifici craft, ma l’unica cosa di cui sento parlare è la qualità… E basta… Sia chiaro, la qualità è importantissima, ma come fa ad essere l’unico punto focale di questa serie di piccoli grossi cambiamenti??

    • Sbagliatissimo credere che il mondo craft sia solo e sempre “qualità”, anzi la maggior parte dei birrifici forse fatica ad arrivare a un livello qualitativo sufficiente. Ma è il concetto di birra craft (o artigianale, o buona, o come vogliamo definirla) a essere di qualità rispetto alla birra industriale, poi come questo si concretizza dipende dall’abilità del birraio. Lo ripeto: in questo voler sottolineare i limiti di tanti microbirrifici – cosa sacrosanta e meno male che molti consumatori stiano prendendo coscienza di questo aspetto – non scordiamoci le profonde differenze concettuali che esistono tra birra artigianale e birra industriale.

      • Intendevo che l’aspirazione del mondo artigianale italiano, per l’esperienza che ho avuto, è la qualità (gustativa) e basta. Poi chiaramente c’è chi riesce meglio e chi peggio come dici tu. Probabilmente mi sono espresso male:) Per rimanere proprio terra terra: se l’obiettivo è sostituirsi alle birre industriali nei supermercati (e purtroppo sono sempre di più le etichette che si trovano in questi posti) con il “vanto” di aver unicamente alzato il livello qualitativo… personalmente la vedo grigia:( Questa non è una critica sia chiaro, sono solo delle speranze che avevo.

        Personalmente ritengo che uno “scontro” tra le due realtà (mantenendo in un certo senso i rispettivi confini, per esempio dichiarando chiaramente in etichetta chi è prodotto da chi e via dicendo) possa solo essere utile: i prezzi delle birre artigianali sono veramente troppo alti.

        • Se ne facciamo un discorso puramente teorico, è normale che la qualità costi di più della non qualità. Tu sei libero di pagare di più per un prodotto buono o meno per un prodotto anonimo. Poi nel concreto bisognerebbe capire quanto questo “di più” sia ragionevole ed è lì, come tu dici, che il discorso della birra artigianale forse si inceppa. In termini assoluti però, non rispetto alla birra industriale: per me rimangono sempre due mondi molto lontani. E comunque non scordiamoci che al pub le birre artigianali alla spina costano più o meno come le industriali.

          • Verissimo il discorso alla spina per fortuna! La questione prezzi è riferita unicamente alle bottiglie. Quello che davvero non mi spiego è come Dal Cortivo esce (in birrificio) con prezzi così bassi (non so se si può specificare quanto o meno, ma immagino che tu li sappia ;p) e altri birrifici escono al doppio. Chiaramente grossomodo a parità di birre. Ovvio che non è possibile confrontare pils/ale etc con birre passate in botte e co.
            La differenza di prezzo rispetto ad altri paesi (belgio su tutti) è a mio parere anche questione di dimensioni… Però ormai in italia alcuni birrifici artigianali ci sono da parecchio, ma i prezzi per la poca esperienza che ho non mi sembra siano scesi molto 🙂

          • Sono scelte commerciali, c’è chi espressamente punta a un mercato diverso e quindi decide di uscire con prezzi più alti. Per fortuna rispetto a qualche anno fa c’è molta più scelta e quindi ognuno può scegliere come orientarsi nei suoi acquisti. Certo la situazione italiana è molto particolare e forse fertile per un industriale che invece di fare ‘ste bottiglie da ristorante decidesse di uscirsene con prodotti buoni a prezzi contenuti.

          • E se tutto questo interesse portasse ad avere industriali piú “buone”? I mezzi li hanno,la capacitá pure,magari impazziscono e tirano fuori qualche buona birra a prezzi umani ! A loro il malto (anche il migliore in commercio) costerá sempre meno che ad un artigiano,cosí come le altre materie prime e bottiglie e cosí via. Detto questo peró qui in Inghilterra vendono la peroni a 5 sterline la 33cl !!!

  5. Se nn esporti le birre sei una pippa.

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