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Da Unionbirrai e CNA un ddl per accise diversificate e definizione di microbirrificio

unionbirraiSe leggete con costanza Cronache di Birra, saprete che mi sono sempre interessato alla questione delle accise. L’argomento in tempi recenti è diventato particolarmente sentito a causa degli aumenti che hanno incrementato l’imposta sulla produzione di birra. Per difendere la posizione dei birrifici – e, di riflesso, dei consumatori, visto che poi sono loro a dover pagare i rincari per tutta la filiera – sono intervenute sia Assobirra che Unionbirrai, ognuna con le armi a propria disposizione. Se Assobirra ha promosso una pesante campagna di sensibilizzazione riassunta dal sito Salva la tua birra, l’associazione degli artigiani ha preferito puntare sulla diversificazione tra grandi produttori e piccoli microbirrifici, al fine di distinguere le realtà anche da un punto legislativo (e quindi di gettito fiscale). È in questo senso che, di concerto con CNA, al recente Beer Attraction è stato presentato un disegno di legge per la ridefinizione del settore.

Come riportato da Il Birrafondaio, il testo integrale è consultabile in pdf sul sito della CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa). L’intero documento gira intorno a una direttiva comunitaria del 1992 (92/83/CEE) che – stenterete a crederlo – nell’articolo 4 prevede proprio aliquote di accisa diversificate in base alle dimensioni del birrificio. Di seguito riporto i primi due commi dell’articolo perché mi sembrano davvero interessanti:

1. Gli Stati membri possono applicare aliquote ridotte di accisa, le quali possono avere importi diversi secondo la produzione annuale delle birrerie indipendenti, entro i limiti seguenti :
— le aliquote ridotte non sono applicabili alle imprese che producono più di 200 000 ettolitri di birra l’anno ;
— le aliquote ridotte, che possono essere inferiori all’aliquota minima, non possono essere inferiori di oltre il 50 % all’aliquota di accisa nazionale normale.

2. Ai fini dell’applicazione delle aliquote ridotte, si intende per «piccola birreria indipendente» una birreria che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi birreria, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altra birreria e che non operi sotto licenza. Tuttavia, se due o più piccole birrerie cooperano e la somma della loro produzione annuale non supera i 200 000 ettolitri, esse possono essere considerate come una unica piccola impresa indipendente.

In pratica già 23 anni fa la Comunità Europea aveva previsto una diversificazione nel calcolo dell’accisa in base agli ettolitri prodotti ogni anno. Inutile dire che in Italia la direttiva non è mai stata recepita ed è ancora vigente una disciplina unica per tutte le realtà operanti nel mercato birra, che siano grandi multinazionali o minuscoli birrifici con una produzione limitatissima.

Il documento di Unionbirrai e CNA quindi non fa altro che riprendere la direttiva 92/83/CEE per convertirla in legge. Tuttavia ci sono alcuni passaggi interessanti. Il primo è un calcolo “scontato” dell’accisa in base alla produzione annua di birra, secondo quattro step successivi:

< 5.000 hl/anno – riduzione del 50%
< 10.000 hl/anno – riduzione del 40%
< 20.000 hl/anno – riduzione del 30%
< 40.000 hl/anno – riduzione del 20%

Il secondo è la definizione di “microbirrificio”, che si basa su tre diversi criteri e che, in qualche passaggio, ricorda quella dell’americana Brewers Association per il concetto di “craft brewery”. I tre criteri sono i seguenti:

1) indipendenza legale ed economica da qualsiasi birrificio, stabilita sulla base di appositi criteri individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico;
2) utilizzo di impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio;
3) produzione annua non superiore ai 200.000 ettolitri.

Riassumendo, secondo il disegno di legge può considerarsi microbirrificio quell’azienda che produce non più di 200.000 hl annui di birra e che mantiene indipendenza legale, economica e fisica (in termini impiantistici) con qualsiasi altro soggetto analogo. Come potete vedere, non solo la definizione ricalca quella della direttiva CEE del 1992, ma segna per la prima volta – se non sbaglio – il superamento da parte di Unionbirrai del limite di 10.000 hl annui associati all’idea di microbirrificio. L’asticella è stata alzata e anche parecchio, ma personalmente non posso che accettare con soddisfazione questa novità.

Ultima novità, ma non meno importante, è prevista da un nuovo comma che per i microbirrifici trasferisce il momento del calcolo dell’aliquota non a monte della produzione, ma a valle. Attualmente infatti la disciplina si applica sulla produzione del mosto, mentre il documento di Unionbirrai e CNA prevede che si applichi sulla birra effettivamente messa in commercio. Al di là delle problematiche di gestione, questa novità permetterebbe alle piccole aziende brassicole di non dover pagare l’accisa anche sugli sprechi di produzione, che per certe realtà rappresentano una percentuale non indifferente sul totale.

Ricapitolando, il disegno di legge in questione prevede due novità effettive e una concettuale: il calcolo dell’aliquota dell’accisa in base agli ettolitri prodotti, lo spostamento del momento della tassazione e la definizione di microbirrificio. Purtroppo le speranze che il documento sia tramutato in legge sono appese a un filo, ma non possiamo che accogliere con ottimismo il lavoro portato avanti da Unionbirrai e CNA per una più giusta disciplina delle accise. Tutto ciò rientra infatti in un’opera di sensibilizzazione nei confronti della politica e dell’opinione pubblica affinché finalmente sia riconosciuta la realtà dei piccoli produttori di birra.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. per prima cosa: magari!!!
    in secondo luogo eviterei 4 scaloni… uno secco a 40 mila andrebbe più che bene (oltre ad essere più semplice da spiegare). 4 scaloncini possono far sbizzarire la nostra amata burocrazia nella loro definizione.
    Riguardo ai 40 mila hl:
    – lascerebbe spazio anche a possibili aggregazioni e alla crescita di quei 5-6 birrifici che hanno superato i 10-15 mila hl. questo ad esempio è il punto dolente delle agevolazioni in UK.
    – nella soglia rientrerebbe almeno theresianer ergo una benedetta volta si facesse sinergia d’azione fra industria e micro..

    Su tassazione all’uscita del magazzino fiscale, perdonatemi ma non sono d’accordo.. già di oscuri figuri e oscuri prezzi se ne vedono troppi in giro.

  2. Il bello è che tutti i paesi europei si sono allineati alla Direttiva Europea da anni. Spesso qualcuno diceva che nn era vero che in Italia avevamo le accise tra le più alte d’Europa per i microbirrifici, trascurando infatti le fasce di sconto che devono essere applicate. Non le vedremo mai in Italia, come non vedremo mai un altro fenomeno europeo: l’accisa sul vino. Pensate al gettito di pochi centesimi/litro per un paese come l’Italia, praticamente senza impatto sul costo finale del prodotto. Lasciateci sognare.

  3. Ho dato una lettura veloce a quest’articolo, per deformazione professionale. Al che mi chiedo: e le diffusissime beer-firm? Come conciliano il secondo criterio di definizione di micro birrificio? L’indipendenza legale c’é, quella economica forse (il discorso non è così scontato, giuridicamente parlando), MA loro usano gli impianti di altri, ergo… O no?

  4. penso che un’ulteriore argomento per sostenere questo ddl sia il fatto che la maggior parte dei micro birrifici siano imprese famigliari, o pochi soci, spesso giovani… sarebbe un bel contributo a questo tipo di imprenditoria !

  5. Le Direttive sono leggi dell’Unione Europea che non hanno immediata applicazione ma richiedono provvedimenti legislativi di ciascun stato membro per essere applicate.Ovviamente ogni stato membro non dispone di un tempo indefinito per applicare una direttiva e normalmente deve applicarla entro due anni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (GUCE).
    (Fonte: areadogana.com)

    Mi chiedo se esiste la possibilità di muoversi in ambito legale (penso ad una class-Action dei birrifici magari coordinata da UNIONBIRRAI) e magari arrivare a dichiarare il corrente sistema di accise come “illegale”….. Ma mi piacerebbe sentire il parere di qualcuno più addentro al legalese e al burocratese che io ne so poco.

    La mia proposta è più semplice : disobbedienza fiscale e autoriduzione delle accise 😉

    • Se ricordo qualcosa dei miei studi di diritto pubblico, una mancata ricezione di una direttiva europea entro i termini prevede una multa comminata dall’Unione Europea nei confronti del Paese in questione. Quindi i consumatori, oltre a pagare l’accisa per tutta la filiera, dovrebbero pagare anche la multa 😛 Ma spero di sbagliarmi.

  6. @maltolibero
    è già “non compatibile” il concetto di pagare l’accisa sul mosto (che diventa di fatto “imposta di fabbricazione”) invece che sul venduto (cioè “imposta di consumo” come DEVE essere considerata l’accisa)…..

    figurati a far diventare non legale una legge che raccoglie diversi milioni……..

    quando conviene, “Ce lo chiede l’europa” altrimenti…”europa chi???'”

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