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Carlsberg scrive a Luppolo Station, ma non si scusa e scarica le sue responsabilità

L'incredibile somiglianza tra il marchio della 3 Luppoli di Poretti e quello di Luppolo Station

È passato solo qualche giorno dalla querelle tra Carlsberg e Luppolo Station, ma come avevamo previsto gli aggiornamenti non hanno tardato ad arrivare. Per quei pochi che non siano a conoscenza della questione, recentemente il giovane pub romano ha ricevuto una lettera da parte dell’ufficio legale di Carlsberg nel quale gli veniva intimato di cambiare nome, poiché l’uso della parola “luppolo” sarebbe andato in contrasto con i marchi “3 Luppoli” e “Tre Luppoli” del birrificio Angelo Poretti (di proprietà della multinazionale danese). L’ennesima sfida tra Davide e Golia aveva infuocato le ire degli appassionati, questa volta istigati anche dalla demenziale pretesa di Carlsberg, priva di ogni fondamento logico se non addirittura legale. Ebbene qualche ora fa Diego Vitucci, uno dei proprietari della birreria, ha pubblicato su Facebook un aggiornamento che fa capire che la multinazionale – probabilmente stordita dal clamore mediatico della vicenda e dall’errore pacchiano commesso – è corsa ai ripari inviandogli una missiva di chiarimenti. Caso chiuso quindi? Neanche per sogno. Carlsberg infatti non ha presentato lo straccio di una scusa, trincerandosi piuttosto dietro uno squallido scaricabarile e guarnendo il tutto con frasi tratte dal peggiore politichese.

Per la verità Diego non ha pubblicato la risposta ricevuta da Carlsberg – evidentemente per tutelarsi da un punto di vista legale – ma il contenuto è facilmente intuibile. Come avevamo ipotizzato qualche giorno fa, la responsabilità è stata tutta riversata sullo studio legale Jacobacci & Partners, che avrebbe agito a causa di un semplice equivoco. Personalmente non stento a credere a questa versione, ma è vergognoso che la multinazionale non si senta nel dovere di presentare delle scuse al pub romano. Posso solo immaginare l’angoscia che un piccolo imprenditore deve provare quando si trova in situazioni del genere: aspettarsi delle scuse ufficiali per l’errore commesso è il minimo che possa pretendere. E invece nulla di tutto ciò, poiché Carlsberg ha preferito liquidare la querelle additando altri responsabili, per poi lanciarsi nei classici discorsi epici da multinazionali creati a tavolino da reparti di comunicazione che non hanno minimamente il controllo dell’argomento.

Avevo immaginato che l’errore fosse partito dallo studio legale, ma pensavo che Carlsberg avrebbe voluto chiudere diversamente la questione: una comunicazione ufficiale con delle scuse e un provvedimento nei confronti della società che ne ha curato gli interessi nell’occasione. Avrebbe dimostrato eleganza e forse avrebbe riacquistato un minimo di credito presso i consumatori di birra Poretti. E invece niente di tutto ciò, perché ancora una volta una multinazionale cerca con prepotenza di far valere la sua forza incommensurabilmente maggiore, dimostrando quanto i mondi della birra industriale e di quella artigianale siano profondamente lontani, da un punto di vista morale ed etico ancor prima che qualitativo.

Di fronte a una tale reiterata arroganza, Diego ha ribattuto ancora una volta colpo su colpo, giocandosi una carta che aveva in serbo da un po’. Come rivelatovi a suo tempo, infatti, la stessa proprietà di Luppolo Station registrò alcuni anni fa il marchio Luppolo 12 (altro pub in zona San Lorenzo). La data è precedente alla registrazione dei marchi di Poretti, quindi secondo la ratio sostenuta da Carlsberg sarebbe quest’ultima a danneggiare gli interessi del pub e non viceversa. Tra l’altro in una maniera molto più evidente.

Ecco un estratto della risposta di Diego alla società danese:

Detto questo, vi facciamo notare che a Roma esiste una società, la Digabel srl, la cui attività è denominata Luppolo 12 […] Questo marchio è stato regolarmente depositato il 22-10-2012, ovvero 5 mesi prima della richiesta di registrazione da parte della Carlsberg Italia spa dei marchi Tre Luppoli e 3 Luppoli. […]

Chiaramente l’attività Luppolo 12, a differenza della Carlberg Italia spa, non segue “una procedura standard di monitoraggio dei marchi registrati” e non ha mai preso in considerazione l’idea di difendere il proprio marchio intimando ad altre società di non utilizzare la parola “luppolo”, semplicemente perché il luppolo non è niente altro che uno degli ingredienti di una birra, e nessuno può pensare né moralmente, né tantomeno giuridicamente, di prenderne in esclusiva i diritti, come confermato dal nostro legale di fiducia. […]

Di conseguenza, proprio perché avete scritto che “la tutela della propria attività deve essere l’obiettivo primario di ogni impresa commerciale”, Publican srl e Digabel srl intendono tutelare la loro immagine e difendere la loro credibilità, ribadendo l’assoluta e totale indipendenza da qualsiasi marchio industriale, ivi compreso il vostro, e negando categoricamente l’affermazione secondo cui le nostre società abbiano come “obiettivo comune quello di far conoscere a sempre più italiani la birra, bevanda dalle mille sfaccettature ad oggi ancora troppo poco conosciute”.

Luppolo Station e Luppolo 12 ribadiscono anche che continueranno a collaborare solo ed esclusivamente con piccoli birrifici artigianali italiani e stranieri avendo in comune con loro il reale obiettivo di diffondere una cultura birraria differente e chiedono che la Carlsberg Italia spa si scusi ufficialmente per tutto quanto successo prendendo atto di aver minacciato in maniera inammissibile moralmente e giuridicamente una piccola realtà italiana che ha sempre agito nel pieno diretto delle regole.

Ora quindi la situazione si capovolge ed è Luppolo Station, giustamente, a pretendere qualcosa da Carlsberg. Dubito che le scuse arriveranno – e così la multinazionale commetterà un ulteriore errore – ma a quel punto non penso che la vicenda andrà avanti. Ma non è detto…

Grazie ai social network, al web e a tanti altri strumenti di comunicazione e veicolazione delle informazioni, oggi le multinazionali hanno molto meno margine per comportarsi in maniera dispotica senza che la loro immagine ne subisca le giuste conseguenze. È un’arma in più che i birrifici e le birrerie artigianali possiedono per difendersi in una guerra che giorno dopo giorno sta diventando sempre più accesa.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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7 Commenti

  1. Non vedo l’ora che Windows diffidi qualche studio di architetti ad utilizzare il termine “finestre” nel progettare abitazioni… siamo al grottesco.

  2. Sarà, ma questa vicenda continua a farmi venire in mente la lettera di Groucho Marx ai Fratelli Warner,
    ( http://www.nazioneindiana.com/2009/09/20/marx-nel-senso-di-fratelli-1/ )
    quando questi ultimi intimarono di non usare il nome “Casablanca” nel film “A night in Casablanca”…..

  3. claudio annibale

    Claudio Genova: l’arroganza regna sovrana il piccolo von i suoi diritti diventa un fastidio per queste truffaldine se non peggio multinazionali
    saluti e auguri!

  4. Che dire… Penso che il nostro magnifico mondo sia l’unico in cui le multinazionali non riescono a competere con le ormai migliaia di “formiche artigianali”….. Anzi, ovviamente competono perchè hanno ancora il coltello dalla parte del manico… ma diciamo che non riescono a ferire nessuno con la lama….

    Anticipo una previsione per i successivi anni birrai…. Il craft continuerà a mangiare punti percentuali alle multinazionali…

    Craft or Die!!!

  5. Un grazie a Diego che con la registrazione del marchio Luppolo 12 ha scongiurato l’ulteriore proliferazione delle “sorelle” Peroni. Male che vada dopo la 10 luppoli al massimo dovremo sorbirci la 11…

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