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In arrivo la definizione di birra artigianale: ecco il testo nel dettaglio

E alla fine sembra proprio essere arrivato il momento della definizione legislativa di birra artigianale. Mai come in questo momento il traguardo appare vicino: ieri la Commissione Agricoltura alla Camera ha approvato il relativo emendamento alla legge delega di semplificazione, razionalizzazione e competitività del settore agroalimentare. Un percorso iniziato diverso tempo fa ma che nelle ultime settimane ha subito una brusca accelerazione, anche grazie alle audizioni di associazioni, produttori ed operatori di cui vi abbiamo dato conto in passato su Cronache di Birra. Chiaramente l’iter non è concluso, ma il voto dell’Aula atteso per la prossima settimana sembra ormai una formalità. Così a breve potremmo ritrovarci con una definizione riconosciuta a livello nazionale di birra artigianale, con tutte le conseguenze – da valutare se solo positive – che ne scaturiranno. Per questa ragione il testo dell’emendamento va letto con estrema attenzione.

Partiamo dalla definizione, che recita quanto segue:

Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi.

Come in altre definizioni analoghe (pensiamo a quello di craft brewery negli Stati Uniti) il concetto di birra artigianale è in parte delegato a quello di birrificio artigianale: non bisogna quindi concentrarci solo sul prodotto finale, ma soprattutto sulle caratteristiche del produttore. In altre parole solo i prodotti dei birrifici che rispondono a determinati criteri possono assumere il nome di birra artigianale. La conseguenza primaria è che un birrificio non può produrre birre artigianali e non artigianali allo stesso tempo: o è “artigianale” (e allora produrrà birre artigianali) o non lo è. Punto.

La definizione però si vede bene dall’utilizzare il termine “birrificio artigianale”, probabilmente perché potrebbe creare problemi con lo status di “impresa artigiana”, che è prevista dal nostro codice civile e che è subordinata a precisi criteri. Invece l’espressione usata è “piccolo birrificio indipendente”, che da una parte salva cavoli e capre e dall’altra inserisce già un elemento distintivo: l’autonomia imprenditoriale da altre società. Ma a tal proposito analizziamo punto per punto l’intera definizione.

Soluzioni produttive

Come prevedibile, la definizione vieta il ricorso a determinate soluzioni produttive che solitamente sono proprie dell’industria: in particolare non sono ammesse la pastorizzazione e la microfiltrazione. La definizione non entra nel dettaglio (ad esempio distinguendo diversi tipi di pastorizzazione), ma comunque impone il veto per due tecniche che da tradizione non sono associate alla birra artigianale.

Autonomia

La già citata autonomia del birrificio viene definita come indipendenza legale ed economica da qualsiasi altro birrificio. Probabilmente è un concetto fin troppo limitativo, perché se il controllo è in mano – mettiamo caso – a una multinazionale della distribuzione, allora non ci sono problemi. Negli Stati Uniti tale problema è aggirato facendo riferimento a qualsiasi altra società operante nel settore del beverage, che mi sembra un buon compromesso. Rimane invece ben lontana l’ipotesi avanzata da MoBI, che aveva proposto l’indipendenza da qualsiasi altra industria, non solo del settore. Sfumature a parte – ammesso che si possano definire tali – la definizione dell’emendamento inserisce l’importante principio di indipendenza, che mi sembra fondamentale per parlare di birra artigianale.

La questione beer firm

Un passaggio destinato ad alimentare infinite polemiche è quello che potenzialmente esclude dalla definizione tutte le beer firm. Continuando infatti nel dettare i criteri che individuano il produttore di birra artigianale, l’emendamento afferma che il birrificio deve necessariamente utilizzare impianti distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio e non operare sotto licenza. Questo significa che le quasi 300 beer firm attive in Italia (circa il 30% dei produttori) non potranno affermare di realizzare “birra artigianale”, nonostante la stessa sia prodotta presso birrifici che producono birra artigianale. Si tratta di un paradosso piuttosto sconveniente, ma che probabilmente è fisiologico in una definizione del genere – cosa succede infatti se una beer firm si affida prima a un microbirrificio e successivamente a un’azienda di tipo industriale?

Produzione annua

Ampiamente previsto anche il tetto produttivo imposto ai birrifici artigianali. Per fortuna alla fine ha avuto la meglio la linea di pensiero coerente con la direttiva europea, che stabilisce a 200.000 hl il volume massimo di quelli che possono essere considerati piccoli produttori. È un limite ben lontano dagli standard odierni del settore – i più grandi microbirrifici italiani non arrivano neanche a un decimo di quella produzione annua – ma che di contro asseconda importanti prospettive di crescita come quelle che (speriamo) caratterizzeranno il nostro ambiente negli anni a venire. Nei 200.000 hl va considerata anche la birra destinata a conto terzi.

Ingredienti

L’emendamento non fa alcun riferimento agli ingredienti impiegati, accogliendo quindi in modo tacito quanto già previsto dalla legge per la definizione di “birra” (almeno il 60% di malto d’orzo o di frumento). In primis questo implica che non viene espresso alcun giudizio – diciamo così – sul ricorso a eventuali succedanei, d’altro canto però evita pericolosi coni d’ombra. In questo discorso rientra anche l’assenza di risibili obblighi sull’uso di materie prime locali: fortunatamente questa idea, lanciata in passato da alcuni parlamentari, è presto decaduta per la sua totale infondatezza.

Additivi chimici, conservanti, ecc.

L’emendamento non si pronuncia neanche su questo aspetto e qui forse un maggiore approfondimento sarebbe stato necessario. Il problema di dover elencare quali additivi chimici sono permessi e quali no ha probabilmente consigliato nell’ignorare completamente questo aspetto.

Se vi ricordate i primi assurdi prototipi di definizione avanzati dal mondo della politica, la definizione alla quale si sta arrivando oggi è quasi miracolosa. Si basa infatti su criteri assennati ed evita di inserire aspetti che non hanno nulla a che fare con la storia e le tradizioni della bevanda. Sicuramente non è perfetta e solleva alcune perplessità (in primis quella relativa alle beer firm), però sembra quantomeno scaturire da un confronto serio e ben sviluppato e non certo dalle idee di chi non sa nulla del nostro mondo – e visto i danni che combina il legislatore in altri ambiti, non era escluso che anche in questo caso si producesse un pastrocchio.

Al di là di tutte le considerazioni sugli effetti di questa definizione – che sicuramente affronteremo in futuro – c’è una valutazione più generale da fare. Il discorso politico relativo alla definizione di birra artigianale è salito alle cronache del mondo politico attraverso la battaglia delle accise. Nell’idea di proporre una disciplina diversificata come in altri paesi, è emersa la necessità di individuare le caratteristiche dei birrifici artigianali per distinguerli da quelli industriali. L’attenzione poi si è rapidamente spostata sulla definizione di birra artigianale, al punto che oggi ogni discorso sulle accise sembra rimandato a data da destinarsi.

Siamo quindi arrivati al paradosso per cui la definizione di birra artigianale da mezzo è diventato il fine del dibattito politico. Ed è qualcosa che riesco ad accettare di malavoglia, perché in questo modo il movimento ne perde totalmente il controllo, lasciandolo nelle mani della politica e senza neanche ottenere giusti riconoscimenti. Negli Stati Uniti la definizione di craft beer non è inclusa in una legge nazionale, ma nello statuto della Brewers Association. Da noi non è mai stato così, ma la cosa più importante è che non potrà mai esserlo in futuro. Dovremo sempre sperare che la politica sia in grado di ascoltare le esigenze e le necessità di un settore in veloce evoluzione, intervenendo per fare il bene dell’intero movimento. Gli scongiuri sono quantomai d’obbligo…

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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6 Commenti

  1. Boom!!! Come far sparire tutte le beer firm in un sol colpo!
    Dura lex, sed lex 😀

  2. Beh no potranno sempre far ‘ birra doppio malto’..
    Ma se un birrificio artigian ne compra un’altro o parte di esso, questo ultimo essendo di proprietà di un altro birrificio non è più artigianale? E se pastotizzo magari solo una birra per venderla in usa, nemmeno?

  3. Basterebbe rendere obbligatorio l’indicazione dello stabilimento di produsione in etichetta, in modo da tutelare anche le produzioni “artigianali” delle beer firm. Ricordiamoci che tanti birrifici artigianali vivono anche su conto terzi….

  4. Come dici giustamente, il taglio delle accise secondo normativa europea è passato in secondo piano. Non so se chi è stato ascoltato dalla commissione ha riportato che questo era in realtà il VERO PROBLEMA e che si poteva subito emettere una normativa riferita solamente agli HL prodotti (tipo UK per capirci) senza incastrarsi in definizioni, ma alla fine il legislatore non ha voluto mettere mano al portafoglio.

    Risultato: tutte le beer firm a cambiare etichette (e bottiglie, quelle con “birra artigianale italiana” di Unionbirrai non le posso più usare) e un conseguente incremento dei costi. Grazie al legislatore.

  5. NEL MIO BIRRIFICIO PRODUCO ANCHE BIRRA CONTO TERZI (BEER FIRM), MA NONOSTANTE QUESTO, RITENGO GIUSTISSIMO IL FATTO CHE LA BEER FORM NON POSSA SCRIVERE IN ETICHETTA “BIRRA ARTIGINALE”. DATO CHE IN ITALIA NON ESISTE UN MARCHIO CHE IDENTIFICA IL PRODUTTORE DIRETTO (per distinguerlo dalle beer firm), SE NON ALTRO, CIO’ PERMETTERA’ AL CONSUMATORE DI CAPIRE SE HA A CHE FARE CON LA BIRRA DI UN PRODUTTORE DIRETTO OPPURE UNA BEER FIRM.
    SPERO DI ESSERE STATO ABBASTANZA CHIARO……

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