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La birra artigianale diventa legge: ecco il testo definitivo

Come puntualmente riportato dal Giornale della Birra, quella di ieri può essere considerata una giornata storica per l’Italia birraria poiché il Senato ha definitivamente approvato il disegno di legge titolato “Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività del settore agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale”. Come forse ormai saprete, nella serie di disposizioni previste all’interno del ddl c’è anche quella – per noi importantissima – relativa all’introduzione della definizione di birra artigianale. Una novità che in molti aspettavano, ma che solleva alcuni dubbi sull’effettiva bontà della sua applicazione.

Partiamo dal testo definitivo, che è praticamente uguale da quello anticipato lo scorso febbraio, se non per qualche sfumatura semantica. Eccolo nel dettaglio:

Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi.

Come già spiegato all’epoca, il legislatore ha costruito la definizione di birra artigianale su quella di birrificio artigianale. In altre parole è artigianale quella birra prodotta da un’azienda che rispetta determinati criteri di tipo tecnologico, quantitativo e strutturale. L’unica aggiunta nel testo definitivo serve per esplicitare meglio il divieto di produzione sotto licenza: nell’ultima stesura si specifica che essa è considerata in termini di utilizzo dei diritti di altrui proprietà immateriale.

Secondo la nuova disposizione, la concezione di birra artigianale ruota intorno a tre valori: l'”integrità” del prodotto, inteso come assenza di determinate soluzioni produttive (microfiltrazione e pastorizzazione); la dimensione del birrificio in termini di ettolitri prodotti annualmente (non superiore ai 200.000 hl); l’indipendenza del birrificio stesso, sulla cui interpretazione torneremo più avanti. Come espresso a suo tempo, non c’è alcun riferimento alle materie prime impiegate (ed è un bene per molti versi), né a eventuali additivi chimici o conservanti (ed è un male per altri).

La definizione però solleva molte perplessità. La necessaria assenza di microfiltrazione e pastorizzazione non troverà tutti concordi, ma prima ancora il punto è come capire a posteriori se certe soluzioni sono state effettivamente adottate. Per come è costruita la definizione, potrei benissimo avere installato un pastorizzatore in birrificio e non usarlo per una determinata birra: al netto degli altri criteri, quella birra sarebbe artigianale e tutte le altre della gamma no. Una situazione abbastanza cervellotica, insomma.

Secondo me è invece positivo che il limite massimo di produzione annua sia stato posto molto in alto, permettendo alla definizione di assecondare la crescita che il settore presumibilmente mostrerà nei prossimi anni. Tra l’altro il tetto dei 200.000 hl (nei quali va considerata anche la birra prodotta per conto terzi) è coerente con la direttiva europea che disciplina la suddivisione delle aliquote per le accise in base alla dimensione del birrificio. Altro tema su cui torneremo.

La parte che probabilmente solleverà più polemiche è quella relativa all’indipendenza. Un birrificio artigianale è considerato tale se non è controllato da un altro birrificio, di qualunque dimensione. Ma soprattutto l’indipendenza è considerata anche come utilizzo di impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, specifica che sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) escludere dalla definizione tutte le beer firm operanti in Italia.

A cosa serve la definizione e quali saranno le sue più immediate conseguenze? Purtroppo rispondere a questa domanda non è facile. Inizialmente l’idea di definire la birra artigianale in Italia nacque come una necessità nell’intento di recepire la direttiva europea già citata in precedenza. Doveva cioè essere un mezzo per arrivare a una disciplina a scaglioni delle imposte di fabbricazione, ma si trasformò nel fine dopo l’incomprensibile (anzi comprensibilissimo) naufragio del discorso sulle accise. Insomma, si era partiti per riformare quest’ultime e ci ritroviamo con qualcosa di completamente diverso: una definizione legislativa di un concetto sviluppatosi in Italia negli ultimi 20 anni.

Ora che l’obiettivo primario della definizione è quantomeno rimandato, a cosa potrà servire? Forse uno degli effetti positivi potrà essere una difesa nei confronti dell’invasione dell’industria, che ormai da anni copia linguaggi e concetti dei microbirrifici confondendo il consumatore finale. Secondo logica, da oggi solo i produttori rientranti nella disposizione potranno scrivere in etichetta “birra artigianale”, senza tra l’altro rischiare qualche multa. Ma trasmettendo quale messaggio? Che una birra sia prodotta artigianalmente non significa che sia buona a prescindere: ecco dunque un’altra potenziale fonte di confusione per l’acquirente.

Farsi un’idea su questa definizione è tutt’altro che facile e non è detto che le conseguenze siano solo positive. Nei prossimi giorni proveremo a raccogliere varie considerazioni al riguardo, ma al momento l’amarezza maggiore è verificare che in Italia un’operazione del genere viene effettuata dalla politica, quando in più di 20 anni nessuna associazione del settore è stata in grado di fare lo stesso. Personalmente avrei preferito che fosse il movimento a restare proprietario della definizione, senza lasciarlo in mano al Parlamento – che pur ha operato ascoltando associazioni e produttori. Negli USA ad esempio la definizione fa capo alla Brewers Association.

Marginale, ma solo per il nostro discorso, è l’altra parte della normativa che prevede uno sviluppo a favore delle coltivazioni del luppolo. Ecco l’estratto, che quantomeno dimostra come è cambiato tutto il settore in così poco tempo:

Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, compatibilmente con la normativa europea in materia di aiuti di Stato e con le norme specifiche di settore, favorisce il miglioramento delle condizioni di produzione, trasformazione e commercializzazione nel settore del luppolo e dei suoi derivati. Per le finalità di cui al presente comma, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali destina quota parte delle risorse iscritte annualmente nello stato di previsione del medesimo Ministero, sulla base dell’autorizzazione di spesa di cui alla legge 23 dicembre 1999, n. 499, al finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e per i processi di prima trasformazione del luppolo, per la ricostituzione del patrimonio genetico del luppolo e per l’individuazione di corretti processi di meccanizzazione.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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16 Commenti

  1. Beh…
    non vorrei semplificare troppo la cosa.. ma a me sembra veramente che la montagna abbia partorito il topolino. Non voglio dire che non è importante arrivare ad una denominazione del prodotto… ma tutto questo perdere tempo riguardo l’aspetto più importante, la riduzione delle accise, a mio avviso taglierà gambe e fiato a parecchi produttori.
    E visti i tempi della legislazione italiana prevedere un rapido sviluppo nell’applicazione delle riduzioni mi sembra veramente una cosa impossibile e lontana… e non voluta, ahimè!

    • La montagna che partorisce il topolino… sarà riduttiva come considerazione, ma secondo me coglie bene il senso generale della vicenda

  2. Quindi a rigor di logica ora si può chiamare la birra artigianale… emh… birra arigianale, senza rischiare multe non-sense? è ufficiale? o si andrà sempre alla solita interpretazione di qualche funzionarietto?

    • Ufficialmente conviene attendere qualche precisazione, ma di logica sembrerebbe di sì. Fermo restando la necessità di riportare la denominazione fiscale.

  3. Concordo con Paolo.
    Lo dico da mesi, anche se la maggior parte la pensa diversamente.
    Secondo me costa poco dare definizioni (ed in questo caso avrei anche da ridire sul merito) quando poi resteranno chissà per quanto senza applicazioni pratiche.
    Avrei preferito poi dei limiti più stringenti, di modo che eventuali future agevolazioni fossero più facili da applicare perché rivolte ad una platea ristretta di piccoli birrifici, che sono quelli ad averne più bisogno.

  4. Credo che nessuna definizione possa stabilire se la birra è buona o no. A chi starebbe deciderlo?Artigianale è un modo di lavorare, forse quasi una filosofia. Poi nella birra come in tutto il resto ci sono artigiani bravi e meno bravi. Rimangono i dubbi sul fatto che debba essere per forza torbida

    • beh la filtrazione (non micro) rimane ammessa, e comunque è ben possibile produrre birra limpida anche senza filtrare… io in casa ci riesco

  5. Per quanto riguarda le beer firm, secondo me se consideriamo che la loro birra non è – per l’appunto – prodotta da loro ma da un birrificio terzo “vero”, e’ quest’ultimo che dovrebbe essere considerato il “produttore” e qundi se rispetta lui i 200.000 hl e l’indipendenza… non dovrebbero esserci problemi, almeno penso

    • Max ma secondo te, come ho scritto altrove, quale sarebbe allora la fattispecie di un birrificio che opera con impianti non fisicamente distinti da quelli di un altro birrificio?

      • Di sicuro non “birrificio”. Rivenditore? Marchio? In fin dei conti sono birre prodotte da un piccolo birrificio per un terzo (che l’ideazione/ricetta venga da altri non cambia che il produttore sia il birrificio proprietario dell’impianto), il quale le rivenderà per conto suo.
        Considerato che la finalità della definizione sarà probabilmente quella dell’applicazioni di agevolazioni sulle tasse di produzione, è giusto che chi non produce non rientri nella definizione.
        Inoltre le birre dovranno quindi riportare “Birra artigianale XXXX – prodotta da Birrificio XXXX per XXXXX srl”, che mi pare corretto.

        Ribadisco, la definizione serve per un discorso fiscale, normativo e legale, ovviamente per sapere se una birra è buona bisogna berla 😉

        • Peccato che alcuni produttori che hanno partecipato alla stesura della definizione non siano d’accordo con te (e con me) sul discorso di qualità. Poi approfondirò.

          • Infatti, il rischio è proprio che tanti consumatori voltino le spalle a delle birre ottime a priori, ma questo indica solo che c’è ancora da fare per alzare il livello la cultura birraia in Italia.

  6. Scusate ma credo che avere un birrificio di proprietà o appoggiarsi ad un altro non faccia differenza. La differenza reale e sostanziale sta nella lavorazione effettiva della birra. Sulla ricerca e sviluppo della ricetta. Tanti beer firm lavorano loro stessi e seguono tutte le fasi proprio come un birrificio. Sarebbe meglio e utile stabilire i metodi di lavorazione sull artigianalità.

  7. Voglio soltanto evidenziare che 200.000 hl, sono 20 milioni di litri. Con queste quantità che nenche alcuni birrifici industriali raggiungono, non mi pare proprio che si possa chiamare “Birra Artigianale”

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