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La nascita del lievito a bassa fermentazione: un mistero ancora tutto da svelare

Galle di faggio, dove i ricercatori isolarono per la prima volta il Saccharomyces Eubayanus

La birra è una bevanda millenaria che letteralmente scandisce da sempre le giornate di intere società, eppure ci sono alcuni aspetti che non sono stati ancora pienamente compresi. Uno dei misteri più affascinanti è relativo al lievito a bassa fermentazione, entrato nella produzione brassicola solo in tempi relativamente recenti – si stima intorno al XV secolo, ma usato in maniera costante solo dal XIX – per poi praticamente monopolizzare il mercato della birra internazionale: come saprete oggi la quasi totalità dei prodotti in vendita (parliamo di quelli industriali) appartengono alla famiglia delle Lager. Oggi sappiamo che il lievito responsabile di questa tipologia di birre è il Saccharomyces pastorianus, parente stretto del più famoso Saccharomyces cerevisiae (il lievito ad alta fermentazione). Ciò che non conosciamo sono però i dettagli della sua origine, che recenti studi hanno reso un po’ meno impenetrabili.

Il primo grande passo avanti compiuto in questo senso risale al 2011, quando i ricercatori scoprirono in Patagonia una varietà di lievito battezzata Saccharomyces eubayanus. Avete presente la H41 di Heineken, che afferma di utilizzare un raro lievito della Patagonia? Ecco, si riferisce a quello. L’attuale S. pastorianus sarebbe dunque il risultato dell’ibridazione tra il S. eubayanus e il S. cerevisiae, fenomeno che spiegherebbe le analogie (nonché le differenze) con quest’ultimo. Ma come avrebbe potuto un lievito sudamericano raggiungere l’Europa prima di ibridarsi con un suo parente? Basta confrontare l’epoca dei primi esperimenti sulla bassa fermentazione con quella della scoperta dell’America: l’ipotesi degli scienziati è che sia arrivato nel Vecchio Continente a bordo di una delle tante caravelle che all’epoca solcavano l’Atlantico.

Una spiegazione accettabile, che sembrava aver chiuso il cerchio e svelato per sempre i misteri delle basse fermentazioni. Se non fosse che negli ultimi anni gli studiosi hanno trovato tracce del Saccharomyces eubayanus in altre zone del mondo: non solo in diversi Stati americani, ma persino in Nuova Zelanda e in Tibet. Al contrario l’unico segno scovato in Europa è proprio nell’ibridazione con il S. cerevisiae. Quindi come non detto: la storia dell’involontaria importazione tramite le caravelle appare improvvisamente improbabile, così come la stessa origine del lievito circoscritta alla regione della Patagonia.

In effetti secondo il professore Chris Todd Hittinger, uno degli scopritori del Saccharomyces eubayanus, l’evoluzione di questo lievito sembra non avere alcun senso da un punto di vista biogeografico. In una pubblicazione risalente a inizio luglio, insieme ai suoi colleghi afferma che l’ibridazione che generò il lievito a bassa fermentazione fu più complessa e potenzialmente più ricca di quanto immaginato in prima istanza. La logica suggerisce quindi che esistono diverse specie di S. eubayanus, geograficamente e geneticamente molto diverse tra loro.

Il lavoro di Hittinger e colleghi si sta ora concentrando sulla combinazione dei genomi dei nuovi ceppi scoperti recentemente, nel tentativo di scoprire le tracce ancestrali del microrganismo e completare la storia della genesi del lievito a bassa fermentazione. Inoltre si stanno analizzando i ceppi addomesticati per comprendere i contributi forniti dalle diverse varietà di S. eubayanus nell’ibridazione finale. Ad esempio le specie spontanee trovate in North Carolina e Tibet sembrano i parenti più prossimi al S. eubayanus addomesticato che compone parte del moderno S. pastorianus. Questo permetterà di capire il modo migliore per manipolare i lieviti per fini commerciali.

Qualunque sia il racconto finale, è evidente che la lettura della Patagonia e dei pionieristici viaggi da e per le Americhe è troppo semplicistica e il futuro ci dirà di più al riguardo. La questione del lievito a bassa fermentazione ancora una volta conferma come dietro a un bicchiere di birra ci sono storie affascinanti e complesse, che affondano le radici nella notte dei tempi. Ed è incredibile pensare come questa bevanda, nonostante ciò, sia ancora largamente percepita come semplice e informale. Per fortuna, aggiungerei.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Researchers from Carlsberg’s laboratory have been able to extract living yeast cells from a bottle of beer in the brewer’s Copenhagen cellars dating to 1883. However, only 30 bottles have been made and there are no plans to produce the beer commercially although there are plans for limited tastings to take place in key markets.

    The yeast strain, known as ‘Saccharomyces pastorianus’ and sometimes by its synonym ‘Saccharomyces carlsbergensis’, was one of the first ‘pure’ cultivated bottom-fermenting yeasts to be used in industrial beer production and which did not cause beer to spoil.

    Initially classified by German scientist Max Reess in 1870, the first real research into it was conducted by Emil Hansen at the Carlsberg brewery in 1883. Hansen isolated a pure culture that had been donated by the Danish brewer to one in Munich in 1845 and put it into industrial production in 1884 as ‘Carlsberg yeast no. 1’.

    To celebrate Carlsberg Laboratory’s 140th anniversary, researchers and scientists at the same lab Hansen once worked in have cultivated that year once again and made a beer using brewing techniques from 1883.

    Professor Flemming Besenbacher, chairman of the Carlsberg Foundation and the Board of Trustees of the Carlsberg Research Laboratory, commented: “The Laboratory is renowned for some of the most extraordinary inventions of the past century, ranging from Professor Dr. Emil Chr. Hansen’s method of purifying yeast to the invention of the pH scale, the concept of protein structures and the characterization of enzymes.

    “Carlsberg Research Laboratory remains a crown jewel in Carlsberg’s jewellery box and this beer, the first quality lager, was rebrewed in honour of the Lab’s historical research developments and its present day capabilities.”

    This is not the first “historical” beer of recent times. An Israeli brewery recently used a rare type of grain to make a beer that would have been drunk at the time of Jesus, while an archaeological find in Peru inspired a US brewery to create a limited edition pre-Incan beer.

    Meanwhile, in 2014 Belgian scientists and a Finnish brewery collaborated on re-creating a mid-19th century beer from samples salvaged from a shipwreck in the Baltic.

    Like the resurrected Carlsberg brew, it used an original yeast strain obtained from the preserved beer.

    A video from Carslberg on the project can be found here and more information on the beer can be found here.

    Questo dal sito Carlsberg, visto che il lievito a bassa oltre che Pastorianus si chiama anche Carlsbergensis e il produttore Bavarese di qui parla l’articolo dovrebbe essere Anton Dreher, anche se di origine Austriaca, che ha brassato la prima bassa, nello specifico una Vienna.

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