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Dopo i casi Toccalmatto e Ducato è necessaria chiarezza, con l’aiuto di Unionbirrai

E niente, uno non può godersi il ponte festivo di San Pietro e Paolo che nel mondo della birra artigianale italiana succede il finimondo. In effetti le notizie arrivate negli ultimi giorni rischiano di gravare pesantemente sullo sviluppo del movimento nazionale, perché non solo coinvolgono due birrifici importanti del nostro panorama, ma soprattutto perché documentano le difficoltà di espansione che sta vivendo il segmento artigianale, apparentemente incapace di crescere preservando la propria indipendenza. Dei fatti ormai dovreste essere tutti a conoscenza: giovedì scorso Toccalmatto ha annunciato la sua partnership con Caulier, questa mattina invece Ducato ha confermato la cessione del 35% delle sue quote a Duvel. Due avvenimenti indipendenti ma in qualche modo profondamente collegati, che decretano la fine della totale autonomia aziendale – almeno in termini di proprietà – dei due produttori emiliani.

Per onore di cronaca è bene riassumere le due vicende, partendo da quella che coinvolge Toccalmatto e Caulier. Per chi non lo sapesse, quest’ultimo è un marchio (quindi una beer firm) di proprietà italiana, ma che fino a oggi ha sempre prodotto la sua birra in Belgio – e successivamente in Messico per il mercato locale. Possiede tre gastropub in Europa battezzati Brasserie 28: uno a Bruxelles (dentro la Stazione Centrale), uno a Roma (a Corso Francia) e uno a Perugia. È un’azienda in forte ascesa, che ora ha trovato in Bruno Carilli un partner perfetto per aggredire con più decisione il nostro mercato: l’impianto di Toccalmatto diventerà infatti quello di riferimento per l’Italia, dove attualmente Caulier vende 11.000 hl – ricordiamo che il birrificio di Fidenza ha una capacità di 20.000 hl annui. La birra destinata al mercato del Benelux (4.000 hl) continuerà invece ad essere realizzata da De Proef, con cui la beer firm ha già in piedi una collaborazione da anni.

Questi gli estratti essenziali del comunicato ufficiale:

Toccalmatto e Caulier uniscono le forze con l’obiettivo comune di offrire la migliore esperienza possibile ai loro estimatori più fedeli. La loro ambizione? Produrre le birre localmente, in prossimità dei mercati, attraverso tre sedi: Fidenza (Italia), Gent (Belgio) e Messico. Due anni fa le birrerie hanno avviato una collaborazione di successo realizzando due ottime birre. Ne è nata un’amicizia, che alla fine ha portato a un bel sodalizio, in cui Bruno sarà il direttore. […]

Il birrificio di Fidenza ha una capacità di 20.000 hl e produrrà per il mercato italiano, dove i partner vendono attualmente 11.000 hl all’anno.

Nel Nord Europa, Caulier vanta una lunga collaborazione con il birrificio De Proefbrouwerij. L’infinita conoscenza e l’esperienza del mastro birraio Dirk Naudts è ampiamente riconosciuta, e Proefbrouwerij continuerà a produrre 3-4000 hl per il mercato del Benelux. I partner stanno progettando di costruire, entro tre anni, un secondo birrificio, con una capacità iniziale di 10-20.000 hl, che sorgerà nei dintorni di Bruxelles, per servire la parte Nord-occidentale d’Europa.

C’è chi ha paragonato l’operazione a quella che lo scorso anno vide il passaggio del 100% di Birra del Borgo alla multinazionale AB Inbev, ma è lapalissiano che siamo al cospetto di qualcosa di profondamente diverso. In particolare parliamo di un accordo tra due marchi di dimensioni ridotte, che però dovrebbe prevedere – il condizionale è d’obbligo, non essendo stati rivelati i dettagli della partnership – la cessione di una parte di quote di Toccalmatto a Caulier. E questo dettaglio, come vedremo, può fare tutta la differenza del mondo a livello di comunicazione.

È invece più simile al caso Birra del Borgo quanto accaduto con il Birrificio del Ducato, che poche ore fa ha annunciato quanto ormai si sussurrava da mesi e che era stato confermato nel gruppo Facebook Analfabeti della Birra. Il 35% delle quote dell’azienda di Roncole Verdi sono state acquistate da Duvel, terza industria brassicola del Belgio e protagonista della scena internazionale, grazie ad altre acquisizioni compiute negli scorsi anni in patria, negli USA e in Olanda. Nonostante Giovanni Campari e Manuel Piccoli ribadiscano con forza che è stata compiuta una scelta di salvaguardia aziendale, cedendo solo una parte della proprietà, è difficile credere che Duvel non metterà bocca nelle decisioni del Birrificio del Ducato. Anche perché, a quanto mi risulta, l’industria belga disporrebbe di una sorta di opzione per ottenere il controllo totale del birrificio.

Dettagli a parte, ciò che è certo è che Toccalmatto e Ducato hanno rinunciato alla loro totale indipendenza a favore della crescita – o anche soltanto della loro sopravvivenza. Sono scelte personali e chiaramente ognuno di noi le valuta secondo le proprie credenze e la propria sensibilità. Come accaduto con Birra del Borgo, non mi sento di colpevolizzare nessuno per decisioni del genere: se un accordo economico è favorevole, sfido chiunque a rimanere impassibile, soprattutto se permette una crescita sicura nel medio-lungo termine e una tranquillità gestionale che spesso in Italia è pura utopia.

Ciò che secondo me è importante – ed è ciò che mi preme sottolineare in questo articolo – è che si faccia chiarezza totale nei confronti del consumatore finale. In particolare se Toccalmatto e Ducato possono ancora essere considerati birrifici artigianali secondo la legge vigente. È così fondamentale? Sì, secondo me lo è, soprattutto per tutelare chi la birra l’acquista. Il problema è che rispetto all’affaire Birra del Borgo, qui le situazioni sono più ingarbugliate: in quel caso la cessione totale dell’azienda non lasciava dubbi sul concetto di indipendenza, ma come interpretare le due vicende appena accadute? La legge infatti non è molto chiara al riguardo e parla generalmente di indipendenza economica e legale, senza scendere nei dettagli:

Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio […]

Duvel è un birrificio industriale e ora possiede il 35% di Ducato. È sufficiente per far perdere all’azienda emiliana lo status di “piccolo birrificio indipendente”? La maggioranza delle quote rimane in mano alla vecchia proprietà, ma l’interpretazione della legge è fondamentale. E Vittorio Ferraris, consigliere di Unionbirrai, a Fermentazioni dichiarò che l’associazione si stava orientando verso l’obbligatorietà dell’autonomia al 100%. Ancor più intricata è la condizione di Toccalmatto, che ha apparentemente ceduto quote a un altro birrificio artigianale – Caulier è considerabile tale secondo la direttiva europea. Ammesso che anche una partecipazione minima di un birrificio in un altro birrificio sia condizione sufficiente per la perdita di indipendenza, questo concetto di estende anche a quelli artigianali o riguarda solo le acquisizioni da parte dell’industria? Come capirete dunque la situazione è poco chiara e rischia di alimentare la confusione già presente nell’ambiente.

A questo punto è dunque fondamentale la posizione di Unionbirrai, che deve esprimersi sulle vicende tracciando dunque una linea netta tra ciò che può essere considerato artigianale e ciò che è escluso dalla definizione. Da quando l’associazione ha cambiato pelle si sta distinguendo per una posizione attenta e propositiva, ma ora è arrivato il momento di compiere un ulteriore salto di qualità. Unionbirrai deve stabilire i dettagli che il legislatore ha colpevolmente tralasciato e individuare quindi un disciplinare preciso e chiaro, cosa che so per certo essere in elaborazione proprio in queste ore. Ma deve andare oltre: deve creare un osservatorio permanente su operazioni di questo tipo, perché sono destinate ad aumentare nei prossimi mesi. Con un obiettivo finale: creare una lista aggiornata in tempo reale dei birrifici che non possono essere considerati artigianali e per quale motivo: Birra del Borgo perché totalmente di proprietà dell’industria, Theresianer perché pastorizza, Forst perché produce più di 200.000 hl annui, ecc. Qualcosa di molto simile all’elenco redatto dalla Brewers Association negli USA, che qui potete visionare in pdf.

Insomma, ora più che mai il movimento ha bisogno di un faro che faccia da guida. È probabile che nei prossimi giorni arrivi un comunicato ufficiale di Unionbirrai e in tal caso vi aggiornerò tempestivamente al riguardo.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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22 Commenti

  1. come consumatore mi piacerebbe appunto sapere se un birrificio è 1)indipendente 2)piccolo birrificio e se la birra è 3)non pastorizzata

  2. piccolissimo suggerimento.
    Il ponte festivo di SS Pietro e Paolo è un’esclusività romana. Per il resto dello Stivale è semplicemente stato un giovedì lavorativo come gli altri.
    Secondo me (opinione personale) i riferimenti troppo locali non si addicono ad un (sito? periodico? giornale web? …?) che giustamente va letto in tutto il globo. Non è il giornaletto di quartiere, e i riferimenti vanno ampliati di conseguenza IMHO.

    • Forse hai ragione, ma finché Cronache di Birra mantiene l’assetto del blog non posso prescindere da certi accenni, perché non solo spiegano buchi come quello degli scorsi giorni, ma contribuiscono a suggerire la dimensione personale del sito.

  3. Molto bene. Dopo Birra del Borgo, depenniamo anche Toccalmatto e Ducato. Avanti il prossimo…

  4. Filippo Bologna

    Io credo che la legge sia da migliorare in quanto la definizione è di birra artigianale e non di birrificio artigianale, e il consumatore dovrebbe essere interessato a capire se il prodotto che compra è fatto “in modo artigianale” (non pastorizzato, non filtrato etc…) indipendentemente dalla produzione annua del birrificio che la produce o dagli assetti proprietari. Come avete fatto notare più volte la definizione di birra artigianale è stata indissolubilmente legata al concetto di (piccolo) birrificio artigianale. Ma poiché in italia la legge definisce cosa è una craft beer, e non chi è un craft brewer, mi piacerebbe (un disciplinare) che tuteli la qualità della birra indipendentemente delle dimensioni o degli assetti azionari di chi la produce…

    • I due concetti sono legati, come avviene negli USA con la definizione della Brewers Association

      • Secondo me non può essere la produzione in HL un parametro per dire se un birrificio è artigianale o meno, L’esempio è sempre l’america, Founders, Sierra Nevada e company sono sempre artigianali ma con una capacità produttiva decisamente imbarazzante se paragonata ai nostri birrifici.
        Sono d’accordo sul fatto che deve essere la qualità ed il metodo a determinare se lo sono o meno.

        • Se l’esempio è l’America, beh anche in America c’è un tetto produttivo come criterio identificativo della birra craft

  5. Secondo me se due birrifici artigianali si fondono ,vedi Toccalmatto, non può che nascere un altro birrificio artigianale. Sempre che vengano rispettate quantità di produzione e quant’altro.

  6. Concordo con te sulla chiarezza e la trasparenza. La chiarezza, oltre che una questione di principio, è la maggior forma di educazione per il consumatore. E’ il consumatore che va rispettato, in modo che sappia e che impari a scegliere, giorno dopo giorno, facendo la spesa al supermercato come al beershop. Spesso qui si parla, giustamente, di cultura brassicola e del fatto che vada il più possibile diffusa in un paese dove invece c’è una ignoranza sistemica in materia birraria.
    Infatti non c’è nulla di male a bersi una Moretti, una Leffe, o una Chouffe Houblon. Tutte industriali ormai, eppure prodotti completamente diversi. O Duvel, che rimane una Strong Golden Ale con i controcxxxi e che ha fatto la storia della birra.
    Il punto è solo che solo pochi eletti sanno discernere, e sanno che Chouffe oggi è industriale e che la sua vecchia proprietatà ha fondato un altro birrificio.
    Quando so cosa compro, e spendo consapevolmente, allora tutto va bene. Se vengo preso per il naso, invece, non va per nulla bene 🙂

    • Ovviamente concordo

    • Se ancora consideri la Duvel una birra con i controaxxxi, vuol dire che ti prendono per il naso 😉

      • Perdona la franchezza Michele, ma sei molto fuori strada. Parli con uno che di birra ne capisce non poco, e che ha scritto quella frase già sentendo nella sua mente commenti come il tuo. Visto quindi che scrivi così, colgo l’occasione per regalare qualche perla di saggezza anche ad altri lettori 😛
        Il birrificio Duvel Moortgat non è artigianale, perchè in Belgio non esiste il concetto di birra artigianale. Ciò non toglie che si tratti di un birrificio familiare indipendente, ma che lavora su scala industriale, e che produce diversi tipi di prodotti destinati a diversi segmenti di mercato. Alcuni prodotti, tra cui la Duvel, sono tuttora un riferimento assoluto in campo brassicolo. Ti sfido a citarmi una Belgian Strong Golden Ale al livello della Duvel… non è banale eh. Se poi invece di basi solo sul fatto che la puoi trovare alla Coop, allora sei ulteriormente fuori strada 🙂
        Quando parlo del fatto che manca cultura brassicola, sono anche commenti come questo che mi fanno scuotere la testa. Non esiste solo la birra del beershop a 6-10 euro la bottiglia…… Poi parli con uno che la birra se la fa, e si beve primariamete la sua, ma questo è un altro discorso.
        Secondo te Westmalle è un birrificio artigianale? Sai quanto produce Westmalle? tanto per fare un esempio eh… Sai chi ha inventato la Belgian Strong Golden Ale (ti aiuto.. il birrificio Moortgat)
        Ti consiglio vivamente di stapparti una Duvel fresca e correttamente conservata, e assaggiarla vicino a tante belle tripel/BSGA artigianali italiane, e poi ne riparliamo 🙂

        Il problema è tutto nel saper distinguere tra una Duvel e una Leffe…………

        Salute 🙂

        • Conosco benissimo l’importante storia della Duvel e non c’è bisogno che tu me lo spieghi. Ma l’ultima volta che l’ho acquistata al pub, circa 3 o 4 anni fa, l’ho trovata assolutamente anonima. Non spreco i miei soldi per bere birre sciatte. Per quanto riguarda Westmalle, la cui Tripel è una delle mie birre preferite in assoluto, ti ricordo che vanta una produzione annuale di circa 130.000 hl e che quindi, anche in virtù della sua indipendenza e del fatto che non faccia ricorso a filtrazione e pastorizzazione, se il birrificio si trovasse in Italia, verrebbe considerato artigianale senza alcun problema. E per concludere, se proprio volessi godere, mi stapperei una sontuosa Dulle Teve, altro che Duvel. E’ solo una nobile decaduta ormai, una rappresentazione indegna del modello archetipico che ha incarnato in passato.

          • Confrontare una Dulle Teve con una Duvel non ha senso. Continui a confermare il mio pensiero. Se la birra fosse solo quella di nicchia saremmo tutti a secco. Comunque ognuno la pensa come vuole, anche io anni fa ero “birratalebano” poi sono rinsavito. Sono fasi, poi passa 🙂
            Cmq ti consiglio di riprovare un po’ di classici… Il movimento artigianale ha costretto certi produttori ad aggiustare il tiro. Chimay ad esempio era praticamente imbevibile e nell’ultimo paio di anni è ritornata a buoni livelli.
            Io cmq non parlo di valori assoluti, ma di rapporto qualità-prezzo, ovviamente. Col tuo modo di ragionare dovrei comprare solo bottiglie di Amarone da 200 euro, e schfare chi beve un buon vino a prezzi normali.

          • Fuori da ogni sterile polemica (se lo sono risultato, mi scuso), diciamo perchè Duvel e Duelle Teve non sono paragonabili, così magari capiamo dove voglio arrivare.

            1) qualità-prezzo-reperibilità … non si può paragonare Dulle Teve e Duvel come non puoi paragonare il pecorino della Coop con un pecorino del contadino (indubbiamente un buon contadino probabilmente ti potrebbe vendere un formaggio da urlo, così come una Dulle Teve una birra monumentale, poco da dire). Ciò non toglie che un buon pecorino da grande distribuzione, se scelto oculatamente secondo i propri gusti, possa dare delle discrete soddisfazioni senza andare a comprarlo in cima a un monte.
            2) Se De Dolle producesse la Dulle Teve (birra che peraltro è in cima anche alla mia personale classifica in compagnia di altri capolavori che non sto qui a citare) coi volumi di Duvel, dubito manterrebbe la stessa qualità.
            3) La Duvel non è una birra sciatta, è una birra molto secca e dissetante, caratterizzata da un bouquet molto interessante (il lievito di Duvel viene commercializzato sia White Labs che Wyeast, tanto per dire) e da una bevibilità da primato. Personalmente ritengo sia una delle migliori birre da aperitivo che conosca (insieme alla Saison Dupont, che ovviamente prediligo di gran lunga), e la preferisco a un prosecco di media qualità. La Dulle Teve non è una classica Belgian Strong Golden Ale, nè una Tripel in stile, è molto diversa e la definirei una Strong Ale da meditazione. Insomma due prodotti diversi a prescindere dalla qualità assoluta, su cui ovviamente non mi metto a discutere.

            Il senso del mio discorso è uno solo: tutti siamo liberi di spendere come vogliamo 1-3-6-10 euro per una birra.
            Il punto è: con 3 euro, cosa posso bere di buono?

            Siamo tutti capaci a informarci un po’ e a bere birre di qualità estrema. Così come tutti siamo capaci di entrare in enoteca e comprare un ottimo vino mettendo 50-100 euro in gioco.

            L’obiettivo di un movimento di consumatori dovrebbe essere quello di incentivare il rapporto qualità/prezzo per ogni segmento di mercato, e poi ognuno spende secondo il proprio gusto e la propria disponibilità economica.

            Peance and beer 😀

        • A me interessava unicamente confutare questa tua frase: “Alcuni prodotti, tra cui la Duvel, sono tuttora un riferimento assoluto in campo brassicolo”. E sai perché? Perchè non è assolutamente vero. Ma sono d’accordo con te sul fatto che presso la GDO si possano trovare buonissimi prodotti a un giusto prezzo, senza svenarsi.

          • Beh forse era una frase fraintendibile 🙂 Io al supermercato mi compro la Orval a 2.50 euro, freschissima (Dio benedica i monaci di Orval e la data di imbottigliamento stampata sull’etichetta), poi la metto in cantina per una anno e via!

    • Infatti nulla di male “a bersi una Moretti, una Leffe”, basta che non le date da bere a me ;P

  7. In tempi non sospetti ho assaggiato 5/6 birre di BdB prese direttamente da loro: erano tutte uguali, grande delusione. Ci sono ovviamente tante piccole realta’ (ad esempio in Veneto) dove trovo dell’ottima birra artigianale. Per il resto, me la faccio io come meglio mi aggrada, con malti selezionati, luppoli freschi comprati direttamente in un’azienda agricola vicino a Padova e lieviti freschi di un laboratorio vicino a casa mia. Cin cin

  8. Sono le associazioni Unionbirrai e Slow Food che devono aiutare a fornire strade. Slow Food con le sue radici dentro i piccoli produttori di qualità può fare molto. Bisogna avere il coraggio di recidere cordoni ombelicali che ti legano a scelte del passato e di avere una politica birraria subalterna. E’indispensabile legare lo sviluppo del movimento birrario ai grandi temi dell’associazione , la territorialità e lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile in una logica di filiera, coscienti del fatto che l’utilizzo di materie prime internazionali ha portato tante cose importanti e che quindi la territorialità dovrà essere molto aperta e andrà coniugata, specie in questo settore con la sperimentazione. accadrà ? chissà?

  9. Aggiungerei che non è obbligatorio seguire quanto fanno gli americani; è ovvio che hanno grande storia e cultura del modo craft birrario, ma noi l’abbiamo del cibo e degli artigiani del cibo, bisognerebbe affrontare a fondo il problema e suscitare dibattiti aperti
    …..

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