Nonostante la scena birraria del Canada sia piuttosto varia, da noi sono solo due i produttori che vengono considerati di alto livello: Dieu du Ciel e Trou du Diable. Ebbene, da giovedì scorso possiamo pure depennare il secondo nome poiché è ufficialmente passato sotto il controllo dell’industria, andando a rimpinguare il numero dei birrifici craft che negli ultimi anni hanno ceduto alle lusinghe dei colossi brassicoli mondiali. L’acquirente è la nordamericana Molson Coors, la stessa che lo scorso luglio aveva ottenuto il 100% delle quote dell’italiana Birradamare: era stato l’ultimo caso nel nostro paese dopo le vicende riguardanti Birra del Borgo (AB Inbev) e Birrificio del Ducato (Duvel) e prima di quella relativa a Hibu (Heineken). La scena birraria internazionale perde dunque un altro attore importante e ancora una volta, a distanza di pochissimo tempo, siamo costretti a riscrivere la geografia della birra artigianale mondiale.
L’operazione dovrebbe prevedere la cessione della totalità delle quote di Trou du Diable e tutti gli assets dell’azienda canadese, a esclusione del pub di proprietà di Shawinigan, città sede del birrificio. Il produttore potrà continuare a operare in maniera autonoma – ovviamente con tutto ciò che implica questa espressione in situazioni del genere – e a gestire la vendita e la distribuzione con gli interlocutori con cui si è sempre interfacciata. Almeno nel breve termine non ci saranno variazioni nei rapporti con i fornitori, con i partner commerciali e nella composizione del team del birrificio – Trou du Diable conta un centinaio di impiegati in vari settori.
L’aspetto interessante è che il marchio Trou du Diable entrerà nel portfolio di Six Pints, la divisione “craft” di Molson Coors. A qualcuno probabilmente ricorderà la società ZX Ventures, con cui AB Inbev sta assorbendo birrifici artigianali in tutto il mondo. La strategia dunque è chiara: le multinazionali stanno creando delle linee di prodotti pseudo (o ex) artigianali, per occupare quella crescente percentuale di mercato lontana dai brand più commerciali. Diversificare l’offerta è una soluzione che l’industria adotta da sempre, anche nel settore brassicolo: sono decine le etichette superpremium (originali o acquisite) che i colossi della birra propongono sul mercato da anni. Tuttavia l’impressione è che oggi vengano portati avanti discorsi più organici: non più iniziative spot che vivono di vita propria, ma intere gamme di birre crafty che dialogano tra loro e condividono strategie comuni, traendo ispirazione dalle dinamiche che caratterizzano il movimento artigianale. Quindi, è plausibile che le acquisizioni continueranno con il solito ritmo, se non superiore.
Non riporto le dichiarazioni ufficiali dei protagonisti dell’operazione, perché potete facilmente immaginarle – si parla di “mezzi” che finalmente permetteranno di soddisfare le “ambizioni” aziendali, niente di nuovo insomma. Più interessante invece l’analisi di Philippe Wouters, grande conoscitore della scena canadese, che ritiene che l’acquisizione non porterà grandi cambiamenti. Nella trasmissione Morning Factor ha così commentato la vicenda:
Se vediamo ciò che è successo con altri birrifici come Grenville di Vancouver o Creemore di Toronto (entrambi acquistati in passato da Molson Coors), notiamo come Sic Pints abbia mantenuto il carattere regionale di ogni azienda. Questo è ciò che succederà anche con Trou du Diable.
In passato, quando negli anni ’80 e ’90 le multinazionali acquistavano i piccoli birrifici, chiudevano le fabbriche e incorporavano la produzione. Oggi la grande industria non possiede le competenze necessarie per replicare le caratteristiche delle birre dei microbirrifici, così quando acquista un’azienda craft vuole assolutamente mantenere il know how preesistente. Altrimenti è come se acquistasse un guscio vuoto.
Che siate o meno d’accordo con Wouters, è chiaro che lo shopping dell’industria nel comparto craft continuerà ancora a lungo. Ormai i mercati coinvolti non sono più solamente quelli legati alla birra per storia e tradizione e non riguardano più solo quei produttori che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli (Trou du Diable produce “solo” 13.000 hl l’anno). Qualsiasi birrificio artigianale è dunque potenzialmente nel mirino delle multinazionali.
In passato, quando negli anni ’80 e ’90 le multinazionali acquistavano i piccoli birrifici, chiudevano le fabbriche e incorporavano la produzione. Oggi la grande industria non possiede le competenze necessarie per replicare le caratteristiche delle birre dei microbirrifici, così quando acquista un’azienda craft vuole assolutamente mantenere il know how preesistente. Altrimenti è come se acquistasse un guscio vuoto.
Non possiede le competenze necessarie?
Questa è una stupidaggine, sappiatelo.
D’accordo
Ma le vendite poi, una volta “assorbito” il marchio, rimangono bene o male invariate? Ci sono dati a riguardo? Io di Birra del Borgo e Birrificio del Ducato non ne voglio più sapere, per principio, tanto ci sono talmente tante altre birre e birrifici … e pensavo, tra gli appassionati, di non essere la minoranza a pensarla così, però se continuano questa campagna acquisti probabilmente le loro vendite rimangono invariate o aumentano, ed evidentemente mi sbagliavo.
Dobbiamo entrare nell’ordine delle idee che noi appassionati (più o meno talebani) abbiamo un’incidenza minima sulle sorti di questi birrifici
Trovo un pó arrogante la convinzione che delle multinazionali non abbiano birrai di valore. Se si comprano tutti questi birrifici artigianali é probabile che “attraggano” anche tanti birrai artigianali,per non parlare dei loro birrai che hanno qualifiche ed esperienza. Io lo vedo come un processo naturale del settore birrario, succede da sempre,da quando ancora la parola Artigianale non veniva usata riferendosi alla birra. Gli appassionati “talebani”,specialmente in Italia, se la prendono perché dopo aver pagato una fortuna per una bottiglia di birra si sentono quasi in diritto di decidere le scelte commerciali dei birrifici 🙂