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Il birrificio Gambolò costretto da Heineken a cancellare le sue birre Gasoline

Il birrificio Gambolò è una piccola realtà della provincia di Pavia, fondato nel 2012 dal birraio Simone Ghiro dopo esperienze professionali presso Menaresta e Carrobiolo. Una delle prime birre realizzate fu la Gasoline, versione professionale di una ricetta sperimentata negli anni di homebrewing con cui Simone era solito accompagnare le grigliate con gli amici. Il nome è infatti un omaggio al combustibile usato dai fuochisti durante i barbecue, e dunque a quelle situazioni piacevoli passate in compagnia che la birra voleva ricreare. Così la Gasoline divenne la flagship beer di Gambolò e fu presto affiancata da una versione più robusta, battezzata Gasoline Super. Ora però è proprio il nome delle due creazioni ad aver messo nei guai l’azienda lombarda, poiché negli scorsi giorni Simone ha ricevuto una raccomandata di uno studio legale di Milano, in nome e per conto di Heineken. Indovinate un po’? Siamo al cospetto dell’ennesima vicenda legata al copyright.

Il problema non è di poco conto. Gasoline è infatti il modo in cui Heineken ha chiamato una sua Strong Lager “d’ispirazione americana”, disponibile esclusivamente in fusto. Se non l’avete mai sentita nominare è perché fino a qualche tempo fa era disponibile solo nei Gasoline Road Bar, grandi locali – dovrebbero essere in tutto quattro – distribuiti tra Piemonte, Lombardia, Veneto e Marche. La multinazionale olandese ha riscontrato nell’omonimia il tentativo di sfruttare la notorietà del marchio, intimando a Gambolò di rinunciare al nome e distruggere etichette, brochure e tutto il materiale promozionale online e offline legato alla birra.

Forse ricorderete che in passato ho spesso sottolineato le richieste pretestuose dell’industria, che in molti casi ha sfruttato la sua potenza economica per minacciare soggetti molto più deboli in situazioni paradossali – ricordate ad esempio la curiosa vicenda che vide coinvolti Carlsberg e Luppolo Station? Questa volta però non mi sento di condannare la scelta di Heineken: è vero che si sta rivalendo su un birrificio piccolissimo che non può certo competere con le sue risorse, tuttavia l’omonimia non lascia adito a dubbi circa la sovrapposizione dei marchi. A rendere ancora più giustificabile la richiesta del gigante olandese c’è la corrispondenza del segmento commerciale (cioè quello del beverage), decisiva in controversie del genere.

Ovviamente la buona fede di Simone è evidente, ma in tali situazioni è del tutto irrilevante. Queste le sue dichiarazioni al riguardo:

Secondo la tesi di Heineken avrei utilizzato il nome “Gasoline” per sfruttare la notorietà della birra omonima. In realtà non ero a conoscenza del loro prodotto, e comunque, per quella che è la nostra filosofia, l’associazione con una birra industriale per noi non è affatto un beneficio in termini di immagine. Attenzione: non ho nulla contro l’industria. Ma mentre loro possono contare su politiche di prezzo, distribuzione e promozione, io posso avere un solo vantaggio competitivo: la cura del prodotto. Artigianale per me è sinonimo di naturale e qualitativo, per questo ritengo che l’accostamento a birre industriali assomigli più a un handicap che a un punto di forza.

La “Gasoline” è stata la primissima birra prodotta da Birrificio Gambolò, continuare a realizzarla con un nome differente non avrebbe avuto senso. Sarebbe stato come rinnegare la nostra storia aziendale.

A ogni modo Gambolò ha cercato di trasformare un problema in un’opportunità. Ha deciso di rimuovere dalla gamma le due Gasoline, ma ne ha approfittato per sostituirle con una IPA, battezzata Midgard, e con una Gose che uscirà a febbraio. Inoltre la scelta di lanciare per l’occasione un comunicato stampa permetterà di ripagare in termini di visibilità parte dei danni subiti nella vicenda: un’idea tutt’altro che malvagia.

Tutto l’episodio conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che la scelta del nome per il proprio marchio (che sia un birrificio, una birra o altro) è fondamentale. È una fase creativa che non dovrebbe mai essere sottovalutata, soprattutto se il prodotto in questione gioca un ruolo chiave nella visione dell’azienda. Per evitare problemi a volte basta una ricerca approfondita sul web, ma è sempre meglio richiedere la registrazione del marchio per sapere con sicurezza se ci sono eventuali sovrapposizioni, oltre che per tutelarsi in futuro. Perché, come dimostra la vicenda Gambolò, poco importa la differenza di stazza tra le aziende o le difformità intrinseche tra i prodotti (contenuto alcolometrico, stile di riferimento, colore, gusto). Se c’è omonimia, totale o parziale, si rischia di andare incontro a grossi problemi. Tenetelo sempre a mente.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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3 Commenti

  1. ciao andrea,sono daniele polonio,Sono latitante ormai da diverso tempo dal mondo brassicolo ,Questo non vuol dire che non faccio birra,anzi,la sperimentazione è costante ,come la birra allo zenzero(probabilmente gia fatta)e quella al pino muco.Ma comunque ti leggo spesso e seguo le tue/nostre battaglie per valorizzare la birra artigianale.Un salutone e colgo l’occasione per farti gli auguri per le festività.P.S.Ora vado a leggere quello che hai da dire sulla birra ed il pranzo di natale.

    • Ciao Daniele, che piacere risentirti! Grazie per seguirmi sempre e spero che avremo modo di rivederci presto. Bike feste anche a te!

  2. La società Olandese dovrebbe guardarsi bene dal muovere accuse ai birrifici indipendenti, visto che la sua birra Ichnusa non filtrata, sbandierata ai 4 Mori come AUTENTICA BIRRA SARDA, viene prodotta a Comun Nuovo (BERGAMO-LOMBARDIA!!!!).

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