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Coronavirus e assurdità: in Lombardia pub chiusi dopo le 18, ma ristoranti aperti

Ve lo dico sinceramente: mai avrei pensato di ritrovarmi a scrivere di Coronavirus sulle pagine di Cronache di Birra. Tuttavia le ultime evoluzioni della vicenda che sta monopolizzando le cronache nazionali mi impediscono di ignorare l’argomento. Come forse saprete, infatti, tra i vari provvedimenti adottati in queste ora in Italia ce n’è uno che riguarda da vicino il nostro mondo, poiché la Regione Lombardia ha deciso di limitare drasticamente l’attività di alcuni “esercizi d’intrattenimento aperti al pubblico”, tra cui bar, discoteche e pub. In particolare questi luoghi non potranno rimanere aperti tra le 18,00 e le 6,00 del mattino, che in molti casi significa chiusura totale. Si tratta ovviamente di una misura durissima per il nostro comparto, che si inserisce nella serie di drastiche decisioni che le istituzioni stanno assumendo per cercare di limitare la diffusione del contagio. Ma che non possono non preoccupare chi opera nel settore e che si trova ora a fronteggiare una situazione devastante per la propria impresa. In un contesto, tra l’altro, in cui domina la confusione e l’apparente incoerenza di certe disposizioni.

Di seguito l’estratto dell’ordinanza della Regione Lombardia (qui in pdf) che riguarda pub, birrerie e altri locali d’intrattenimento:

Le chiusure delle attività commerciali sono disposte in questi termini:

– bar, locali notturni e qualsiasi altro esercizio di intrattenimento aperto al pubblico sono chiusi dalle ore 18.00 alle ore 6.00; verranno definite misure per evitare assembramenti in tali locali;

Lo stesso punto dell’ordinanza vieta l’attività dei centri commerciali nel fine settimana (sabato e domenica) e l’organizzazione di manifestazioni fieristiche. Il resto del documento invece si riferisce all’interruzione di manifestazioni di carattere generale, servizi educativi e formativi, attività culturali, viaggi d’istruzione e altro ancora.

Partiamo da alcuni presupposti. Il primo è che le istituzioni compiono le loro scelte sulla base del giudizio di esperti: se questi ultimi ritengono opportuno chiudere i luoghi di aggregazione, allora ci deve essere una ragione ben precisa in termini di salute collettiva. Il secondo presupposto è che le delibere vanno rispettate e non esistono le eccezioni, i “se” e i “ma” o, peggio ancora, la presunzione d’ignoranza. Questi sono due presupposti fondamentali dettati dalla ragionevolezza e dal buon senso, rispetto ai quali dovremmo essere tutti d’accordo.

Poi però ci sono le incongruenze e quelle sono particolarmente difficili da accettare. La più incredibile è l’esclusione dal provvedimento dei ristoranti. Proprio così: in Lombardia per motivi di salute viene imposta la chiusura di tutti i luoghi di ritrovo tranne una tipologia, quella in cui sono somministrati generi alimentari. Per quale ragione? Cosa distingue in questo senso una birreria da una pizzeria? Perché dovrei correre meno rischi mangiando un piatto di pasta in osteria piuttosto che sorseggiando una birra al pub? Quale incredibile potere immunitario si nasconde tra le decine di commensali di un ristorante rispetto ai clienti di una birreria? Difficile rispondere a tutte queste domande.

La proverbiale distinzione tra figli e figliastri finisce allora per creare reazioni comprensibilmente avverse. Perché un pub diventa un luogo pericoloso da chiudere solo dalle 18,00 in poi? Ma soprattutto cosa distingue un pub con cucina da un ristorante? Chiudiamo solo i pub senza un menu gastronomico? Oppure estendiamo il provvedimento anche a quelli privi di canna fumaria? Ha fatto bene chi si è inventato il terribile neologismo “gastropub”? Limitiamo l’ordinanza solo ai pub vecchio stampo, di quelli che dopo la mezzanotte si trasformano in discoteche e si finisce a ballare sui tavoli? Se ritenete che sia giusto chiudere i luoghi di aggregazione, per quale cavolo di motivo avete escluso i ristoranti da questa scelta?

Ecco, per quale motivo? La risposta è fin troppo facile. Ogni provvedimento di crisi richiede sacrifici. I sacrifici economici che si è deciso di sostenere per tali interventi sono estremamente pesanti e ne pagheremo le conseguenze per molto tempo. Compiere scelte di questo tipo significa esporre intere categorie di imprese a effetti economici pesantissimi. Ed è chiaro che nella vicenda in questione il peso politico dei professionisti della ristorazione ha giocato un ruolo primario: chiudere tutti i ristoranti della Regione Lombardia avrebbe significato devastare molte aziende del settore. Concetto ugualmente valido per i pub, ma che naturalmente vengono considerati figli di un dio minore e dunque facilmente sacrificabili. Perché le possibilità sono due: o per la salute pubblica le attività di ritrovo assimilabili ai ristoranti possono tranquillamente rimanere aperte, oppure qui si sta tutelando una categoria commerciale nello specifico ignorando le esigenze sociali del momento e in barba a chi gestisce pub e birrerie.

Se i ristoranti possono rimanere aperti – cosa che effettivamente sta avvenendo – non c’è motivo per chiudere pub e birrerie. Questo è un ragionamento piuttosto lineare che merita rispetto. Rispetto che deve essere chiesto dalle associazioni di categoria nei confronti delle istituzioni. Non tanto da Unionbirrai, che sicuramente ha a cuore la questione ma rappresenta una fetta limitata delle realtà coinvolte dal provvedimento. A far sentire la sua voce deve essere Assobirra, perché la maggior parte delle attività colpite dall’ordinanza della Regione Lombardia non appartiene certo al segmento della birra artigianale. È una questione che coinvolge la filiera della birra in senso generale e rispetto alla quale Assobirra non può rimanere in silenzio. Bisogna fare chiarezza, perché ammesso e non concesso che il Coronavirus sia una minaccia di portata tale da dettare certe scelte politiche, è bene che le scelte siano precise ed efficaci e non la solita soluzione cerchiobottista di italica tradizione.

Bisogna chiudere tutti i luoghi d’intrattenimento aperti al pubblico? Bene, che si estenda da subito il provvedimento anche ai ristoranti. Altrimenti si permetta a tutti di lavorare alle stesse condizioni, senza estendere questa soluzione parziale e beffarda a ulteriori regioni, ma anzi evitando di prorogarla in Lombardia oltre la sua data di decorrenza, che fortunatamente terminerà domenica 1 marzo.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. Venturini Claudio Pierluigi

    Per quanto riguarda i ristoranti penso che il “governo””non voglia inimicarsi le grandi catene che guarda il caso sono presenti in tutti i centri commerciali

  2. Da residente in provincia di Lecco ed amante della birra ho letto con interesse il tuo articolo. Sicuramente il discorso economico centra eccome, ma possiamo anche trovare un senso. Tanti pub nella mia zona che hanno una piccola cucina (anche solo per panini e piadine) e servizio ai tavoli (quasi tutti praticamente), hanno comunque approfittato per tenere aperto EVITANDO IL SERVIZIO DIRETTAMENTE AL BANCONE MA FACENDO SOLO SERVIZIO AL TAVOLO.
    Nell’ottica di evitare assembramenti di gente mi immagino banconi più o meno affollati dove il mio vicino sconosciuto, solo parlando, può mandarmi qualche impercettibile residuo di saliva nel mio bicchiere, oppure buffet di aperitivi con mani che finiscono in ogni ciotola. Dall’altra parte mi immagino seduto ad un tavolo, dove comunque il mio piccolo spazio vitale rimane garantito, e del personale (si spera attento) che pulisce e disinfetta dopo ogni cliente.
    Se penso a queste eventualità allora trovo un senso anche nella normativa. La differenza sostanziale sta che, nel primo caso, la gente sta in uno spazio promiscuo dove è più difficile evitare contatti con altre persone. Nell’altro caso, anche se in un posto con altre persone, ho uno spazio dove mi è concesso mantenere un minimo di riservatezza ed ho più controllo per evitare contatti ravvicinati con sconosciuti.

    Poi per il resto è una decisione, come dicevi tu, prettamente economica. Ovviamente constrigere la gente a non uscire di casa per 15 giorni risolverebbe il problema virus, ma potrebbe creare problemi maggiori.

  3. PIENAMENTE D’ACCORDO…SDRAMMATIZZANDO SI PUO’ IPOTIZZARE CHE PROBABILMENTE IL VIRUS VA A LETTO PRESTO, QUINDI NIENTE CENA MA SOLO APERITIVI!!!

  4. Grazie mille per l’articolo, io possiedo un pub in provincia di Venezia, per ora non ce questo obbligo, ma trovo estremamente assuro questo provvedimento, il quale non sta ne in cielo né in Terra, secondo loro il virus e un nottambulo, e predilige la birra, di conseguenza siamo delle attività pericolosissime ed invece i ristoranti e pizzerie, sono dei luoghi pubblici dove ci si può ammassare ma senza pericolo.
    Ma si rendono conto di quello che dicono ?
    Proprio no!!!

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