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Coronavirus, movida e alcolici: benvenuti nel macabro gioco di stampa e istituzioni

I pub e le birrerie, insieme ai ristoranti e agli altri locali del settore, rientrano tra le attività più colpite dall’emergenza sanitaria. Sono stati i primi a chiudere e tra gli ultimi ad aprire, affrontando un’interruzione prolungata che è stata solo parzialmente mitigata con i servizi di consegna a domicilio. Ora che finalmente cominciava a vedersi la luce in fondo al tunnel, grazie alle riaperture che hanno segnato il ritorno a una parvenza di normalità, siamo costretti ad affrontare un altro grave problema, che rischia di arrecare persino più danni di quelli portati dal coronavirus: l’incapacità delle istituzioni e l’ignoranza dell’opinione pubblica. Da qualche giorno il nuovo nemico è la “movida”, la vita notturna (ma poi quanto notturna?) che crea assembramenti incontrollati di giovani interessati soltanto a “sballarsi” – per usare un altro vocabolo caro alle testate giornalistiche nostrane. Gli effetti di questa caccia alla streghe già si stanno facendo sentire, grazie anche al supporto di molta stampa superficiale, a cui evidentemente non è bastato gestire l’informazione in maniera pressoché vergognosa durante tutte le fasi dell’emergenza in corso.

Dal momento in cui in Italia hanno potuto riaprire i locali, sui mezzi di comunicazione si sono susseguiti video e articoli dai toni apocalittici, in cui alcune vie delle maggiori città (e non solo) venivano descritte come il teatro di follie collettive: immensi assembramenti, risse, tuffi nelle fontane, caos generalizzato. Al netto delle solite esagerazioni della stampa, è indubbio che nei luoghi della vita notturna si siano verificate diverse criticità e sarebbe sciocco negarlo. Ma ci sono almeno due considerazioni da avanzare a tal proposito. La prima è che comportamenti del genere non sono circoscritti alla sola “movida”, o come volete chiamarla: fatevi un giro nei parchi pubblici (ci sono comitive di ragazzi che giocano felicemente a pallone in barba alle limitazioni) o leggete quante situazioni fuori controllo si sono verificate nelle ultime settimane, anche con i locali chiusi. Non è un tentativo di evitare l’assunzione di responsabilità sottolineando le magagne presenti altrove – strategia che piace a molti ma che personalmente non amo – quanto un ragionamento che si lega alla seconda considerazione.

La seconda considerazione, infatti, si concentra sul nesso tra causa ed effetto, quello per cui certi atteggiamenti a rischio sarebbero la conseguenza diretta dell’assunzione di alcolici, tra l’altro solo se effettuata secondo precise modalità. Ed ecco che negli scorsi giorni in alcune zone di Milano è stata vietata la vendita di bevande alcoliche da asporto dopo le 19,00, un provvedimento che è allo studio anche in altre città italiane. Si tratta chiaramente di un colpo non indifferente per delle attività che vengono da una crisi prolungata e che stanno cercando di adattarsi alle nuove direttive anti-covid con tutte le difficoltà del caso. Siamo al cospetto di una repressione cieca e superficiale, che cerca risposte in un aspetto della vita sociale che ha un impatto limitato sui problemi sollevati negli ultimi giorni.

Non è l’alcol a creare assembramenti, ma le persone con i loro atteggiamenti. Comportamenti a rischio, anche molto gravi, venivano tenuti anche prima della riapertura di pub e birrerie e sebbene in certe circostanze l’ebbrezza possa spingere a ignorare le misure di contenimento, ciò non basta per affossare un’intera categoria commerciale: secondo lo stesso criterio bisognerebbe chiudere i parchi pubblici perché “invitano” i ragazzi a giocare a pallone insieme. A ben vedere il problema non è neanche la restrizione dell’asporto, ma questo fastidioso atteggiamento delle istituzioni (ben supportate da una certa parte di stampa) nel volersi sollevare da ogni responsabilità individuando il nemico altrove. E l’alcol e la birra in particolare sono un evergreen in questo senso, un obiettivo facile su cui scaricare l’incapacità di amministrare le città e il paese. Siamo sempre lì, a quei rigurgiti neoproibizionisti che ogni tanto tornano di moda, in spregio a uno dei comparti più creativi e produttivi degli ultimi decenni.

Ricordate il delitto di Desirée, la sedicenne morta per overdose in uno stabile di San Lorenzo a Roma dopo ripetute violenze sessuali? In quell’occasione – che mi dispiace dover rivangare – l’unico provvedimento che fu in grado di prendere il sindaco Virginia Raggi fu lo stop alla vendita degli alcolici d’asporto dopo le 21,00. Dov’era il nesso con la triste vicenda avvenuta qualche giorno prima? Semplicemente non c’era. Il delitto era avvenuto in un contesto cittadino in cui trionfavano (e trionfano tuttora, non a caso) droga, degrado urbano e illegalità. Tutti problemi che le istituzioni avevano smesso da tempo di affrontare in quella parte di città, favorendo lo sviluppo del contorno in cui avvenne il fatto. Invece di assumersi le responsabilità che il ruolo richiede, gli amministratori preferirono colpire un’attività perfettamente legale e neanche lontanamente associata a quanto accaduto. Una mossa incomprensibile, probabilmente l’unica per dare qualcosa in pasto all’opinione pubblica senza impegnarsi a risolvere realmente il problema.

Il modus operandi è ora esattamente lo stesso. Il problema delle criticità che stiamo osservando non è nel consumo di alcolici, ma nel rispetto e nell’educazione civica e personale della gente. Che non si inculca con le restrizioni, men che meno con quelle relative agli alcolici, ma onorando il proprio ruolo di amministratori della società civile. L’educazione e il rispetto nella vita collettiva si insegnano dando con il buon esempio, investendo nella scuola, presidiando il territorio in maniera corretta. La ricerca del capro espiatorio – e la birra è da sempre il perfetto capro espiatorio – è una strategia vigliacca e superficiale, quindi molto semplice da applicare e da elaborare. Ma è giunto il momento che le istituzioni si prendano le loro responsabilità, come fino a oggi se le sono prese i cittadini e gli imprenditori seri rispettando le limitazioni imposte di volta in volta.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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3 Commenti

  1. mi sembra giusto non fa una piega!

  2. Cristiana Santoiemma

    Articolo ben fatto e veritiero
    Ne a scuola ne nelle famiglie insegnano la responsabilita civica…e civile….e per un branco di pecoroni ..stampa inclusa …si passa alla follia

  3. Condividi anch’io in pieno, le sostanze alcoliche non c’entrano…..per assembrarti non serve che le persone bevano alcolici…serve Cultura ed Educazione nelle persone.

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