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Dall’Africa due (vecchi) piani per lo sviluppo dell’industria birraria

A volte pensiamo che la birra sia un prodotto principalmente europeo e, di riflesso, americano. In realtà è assai diffusa anche altrove e appartiene a culture concettualmente molto distanti dalla nostra. Nel continente africano, ad esempio, il consumo di bevande nate dalla fermentazione dei cereali è assai diffuso: in alcuni casi quel tipo di “birra” è lontano dalla nostra concezione della bevanda, senza considerare che a certe latitudini è considerato un alimento a tutti gli effetti, più che un prodotto “di evasione”. Il malto d’orzo non sempre è l’ingrediente principale: si utilizzano i fermentabili disponibili in loco, come il miglio, che è un cereale molto diffuso in diversi territori. In mancanza di fresche novità provenienti dal nostro mondo, rispolvero oggi due vecchie notizie birrarie che riguardano proprio l’Africa. Sarà un modo per capire il rapporto di un continente nei confronti di un prodotto importantissimo.

La prima notizia è datata novembre 2011 e si ricollega al discorso sui surrogati dell’orzo introdotto poco sopra. Nell’ottica del Piano quinquennale (2010-2014) per il rilancio dell’industria nazionale, il governo del Mozambico ha pensato di promuovere la produzione di birra ottenuta dalla lavorazione della manioca. La pianta – che molti conosceranno con il sinonimo di tapioca grazie alle supercazzole di Amici miei 😛 – è fondamentale nella dieta delle popolazioni africane, grazie alla sua grande diffusione e alla quantità di carboidrati che può vantare. E’ utilizzata nell’alimentazione in diverse maniere, non ultima – come abbiamo visto – nella produzione brassicola.

Come si può leggere su BirraNotizie, il supporto statale a birre di questo genere avviene mediante sgravi fiscali: mentre sulla birra normale gravano il 40% di tasse, per questa particolare tipologia la tassazione è ridotta al 10%. Un modo senz’altro valido di promuovere i prodotti locali, sebbene da quel che ho letto in giro la produzione di birra alla manioca è saldamente nelle mani della multinazionale SabMiller. Un vero peccato.

Dall’Uganda proviene una notizia simile, ma con risvolti più curiosi. Come si può leggere su Il Foglio, anche in questo caso il governo ha deciso di ridurre le imposte sulla produzione brassicola (-20%), ma per un motivo ben diverso: combattere il consumo di alcolici di bassa lega, molto diffusi nel paese. Le parole di Sheila Ndyanabangi, responsabile (all’epoca) delle politiche sull’alcol e la droga del ministero della Salute, sono a dir poco illuminanti:

Ci sono troppo alcolici scadenti sul mercato. Se le persone devono bere, deve essere distribuita birra di buona qualità.

Applausi. Un’apertura mentale non indifferente, lontana anni luce dal pensiero di tantissimi politici e amministratori del civilissimo Occidente.

Il piano ugandese, inoltre, ha incentivato la coltivazione di orzo, di cui la nazione ne importa circa 25.000 tonnellate ogni anno.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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Un commento

  1. Nel civilissimo occidente ci sono troppi interessi che in Africa non ci sono. Ma a proposito di birre africane, non ne esistono già alcune di discreta qualità?

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