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Da Germania e Belgio conferme alla crisi mondiale della birra

Nell’immaginario collettivo la nazione che più facilmente si associa alla birra è probabilmente la Germania, merito di una tradizione brassicola millenaria, un’infinità di produttori di ottimo livello e un evento annuale come l’Oktoberfest – che, ricordiamolo, è la più grande fiera del mondo (non in quanto fiera della birra, ma fiera in assoluto). Tuttavia negli ultimi anni il mercato birrario sta passando un momento di crisi profonda, facilmente sintetizzato da un crollo costante dei consumi. In parole povere i tedeschi bevono sempre meno birra, trascinando di conseguenza le vendite dei produttori. E i dati relativi al 2012, pubblicati recentemente, hanno confermato questo trend decisamente preoccupante.

Come si può leggere su Swissinfo, nell’anno appena trascorso i birrifici tedeschi hanno venduto complessivamente 96,5 milioni di ettolitri di birra. Il calo rispetto al 2011 è stato dell’1,8%, pari a circa 1,8 milioni di ettolitri. La spiegazione più gettonata ha associato questa contrazione a un inverno piuttosto rigido, ma noi sappiamo benissimo che purtroppo si tratta di un percorso iniziato già da tempo, come abbiamo raccontato su queste pagine anche in passato.

Se in Germania si piange, in Belgio certamente non si sorride. Come racconta Alberto Laschi, in questo caso il dato dolente arriva da pub e bar disseminati per tutto il paese. Dal 1° luglio 2011 al 31 dicembre 2012 hanno infatti chiuso i battenti ben 2.272 locali di questo genere, non compensati dalle nuove aperture (crollate a un -32 rispetto al periodo precedente). Secondo Christine Mattheeuws, responsabile nazionale della relativa associazione di categoria, la causa principale è da ricercarsi nella nuova legge belga che impedisce di fumare nei locali pubblici – il lasso di tempo preso in esame inizia proprio con l’entrate in vigore della novità legislativa.

Il dato del Belgio ci riporta alla mente la situazione del Regno Unito, dove negli ultimi anni il Camra ha denunciato una strage di pub a ritmi impressionanti. In passato qualcuno aveva provato ad associare quello spaventoso trend alla legge antifumo entrata in vigore nel 2007, ma anche allora era chiaro che i motivi che stavano da tempo consumando il settore erano diversi e molto più profondi. Un discorso simile può essere fatto per la situazione in atto in Belgio: il bar è sempre meno visto come luogo “sociale”, mentre imposte e alcool a buon mercato rendono più difficile la vita dei gestori.

Dunque Germania e Belgio offrono una panoramica non certo ottimistica, che come abbiamo visto si aggiunge a quella del Regno Unito. Si tratta di dinamiche che riguardano i grandi numeri e il mercato della birra in generale, rispetto alle quali il segmento artigianale è sempre rimasto piuttosto immune – sebbene la situazione dei microbirrifici tedeschi, salvo rare eccezioni, non brilli certo per frizzantezza… diciamo così.

Quella della birra di qualità rimane dunque un’isola felice, con statistiche in costante crescita rispetto all’andamento del mercato globale della birra. Lo stesso accade in Italia, dove il boom dei microbirrifici è esploso in una situazione generale caratterizzata da consumi stabili o in recesso. Non è sbagliato affermare addirittura che questo andamento ha rappresentato un’opportunità per tanti piccoli birrifici, dando visibilità a una nicchia produttiva in grado di crescere e prosperare.

Dobbiamo dunque essere contenti se nelle tradizionali nazioni brassicole la birra è, nei suoi vari aspetti, in declino? Qualcosa mi dice di no, tutt’altro. Innanzitutto perché insieme alla contrazione dei consumi si stanno perdendo anche tutta una serie di costumi sociali legati alla bevanda: la chiusura di bar e pub descritta in precedenza è purtroppo il sintomo più evidente. In secondo luogo perché spesso tra i motivi alla base della crisi della birra ci sono politiche economiche e culturali clamorosamente dannose: tra le prime ricordo i continui vantaggi commerciali garantiti alla grande distribuzione, tra le seconde quell’ondata di interventi perbenisti e miopi che passano con il nome di neoproibizionismo.

Cosa ne pensate?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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6 Commenti

  1. alexander_douglas

    Secondo me è un insieme di fattori: crisi economica che spinge la gente a consumare tendenzialmente di meno nei locali spingendoli quindi a chiudere perchè su di loro la crisi si sente due volte, ma anche cambio delle abitudini di consumo: in gran bretagna se vai nei pub e nei locali i ragazzetti spesso ormai consumano cocktail e superalcolici per lo più, spesso a bere birra ci trovi sopratutto persone un pochino più grandi…..

    • alexander_douglas

      Comunque penso che quello del’artigianale sia un mercato in crescita nei mercati nuovi come l’italia, la spagna, il portogallo e l’area scandinava ( tutti posti dove o per un fatto culturale o per problemi di imposte e tasse non ha potuto fiorire prima), mentre tendenzialmente nei paesi storici sia un mercato stabile in cui di tanto in tanto ci sono new entry interessanti e che calando i consumi della grande distribuzione le proporzioni ora sono più accettabili….tu che pensi Andrea?

      • Mah per quanto riguarda il segmento artigianale ogni realtà è sostanzialmente diversa dalle altre. In Germania c’è una calma piatta clamorosa (salvo rari casi), il Belgio invece è sempre stato molto frizzante, anche a costo di perdere i legami col passato. In Uk c’è un bel equilibrio tra tradizione e innovazione. In USA vabbè, che te lo dico a fà…

        • alexander_douglas

          A mio personale gusto e parere secondo me adesso quello americano è il mercato più stuzzicante 🙂 Però io parlavo non solo in ottica di produzione ma in ottica di come viene percepito questo fenomeno da parte di chi consuma. In un mercato nuovo come l’Italia le due cose sono collegate e si influenzano a vicenda: tanta gente si avvicina al mondo della birra artigianale come consumatore perchè ora è un mercato alla moda e fa figo, e viceversa per la stessa ragione questo fa avvicinarsi tanta gente come produttore a questo mondo ( con esiti non sempre all’altezza). Ma in realtà sociali e culturali in cui questo non è un fenomeno nuovo il fermento e l’innovazione di chi produce non è secondo me direttamente proporzionale a quanto poi il mercato sia realmente in crescita: in fin dei conti con tutta quella meraviglia di stile e sperimentazioni varie nel mercato belga se alla fine andavi a vedere i dati di consumo stravincevano sempre alla grande ( ahimè) le lager della grande distribuzione….

          • Le culture birrarie sviluppatesi in passato sono molto diverse da quelle nuove attuali. Le ultime sono nate in un periodo ben definito, in cui ci si aspetta qualcosa di preciso (innovazione, originalità, differenziazione). Non è un caso che, in bene o in male, sono aspetti che si ritrovano in Italia, Scandinavia, USA, Sud America, ecc. In paesi tradizionali il contesto è del tutto diverso, non c’è stato un mercato da costruire e molto dipende dalle propensioni di birrai e consumatori: in Germania hanno fantasia zero, sia da una parte che dall’altra del bancone; in UK molti hanno capito come trovare nuove nicchie di mercato, suffragati da una fascia di consumatori giovani e attenti a quanto accade altrove, ecc.

  2. In queste situazioni, oltre alle inevitabili difficoltà che creano, mi chiedo anche se per paesi storici come Belgio e Germania non si trasformi in opportunità. Non ho idea di come nè di quanto tempo ci possa volere, ma i grossi cambiamenti portano sempre con sè qualcosa di buono. Sono troppo ottimista?

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