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Pseudo artigianali: un pericolo per i microbirrifici o il canto del cigno dell’industria?

blue moonPiù volte su queste pagine abbiamo affrontato il discorso delle birre pseudo-artigianali e di come possono influenzare il segmento della birra di qualità. Chiaramente sto parlando di quei prodotti che possiamo definire “super premium” e che si rivolgono a quei (pochi) consumatori mainstream che chiedono una birra diversa dalla solita lageraccia da quattro soldi. Sono birre in tutto e per tutto industriali, ma che in modo più o meno consapevole scimmiottano le produzioni dei microbirrifici al fine di attirare nuovi tipi di consumatori. Un esempio in Italia può essere rappresentato da Poretti, che in alcune sue incarnazioni si appropria di concetti tipici della birra artigianale, restando però un prodotto decisamente industriale. Fino a oggi l’importanza di simile scelte è probabilmente stata sottovalutata.

Sabato scorso il sito Daily Finance ha pubblicato un articolo che svela come i marchi super premium della multinazionale Molson Coors stiano guadagnando importanti nuove fette di mercato. Il brand più famoso è quello di Blue Moon, una birra di frumento che negli USA molti confondono per artigianale – e altri la considerano una perfetta gateway beer. Ebbene secondo Molson Coors i suoi marchi “craft” – considerati così dall’azienda, ma non ugualmente dalla Brewers Association – hanno rappresentato il 29% di tutta la crescita del segmento artigianale nell’anno appena passato. Una percentuale impressionante, soprattutto se paragonata all’ascesa continua del settore dei birrifici craft.

Quali ripercussioni possono avere dunque questi prodotti sulla salute dei microbirrifici? Difficile da dire, ma, come afferma l’articolo, sicuramente rappresentano dei competitor molto pericolosi. Non tanto perché possono rubare consumatori ai birrifici artigianali, quanto perché possono intercettare tutti quei bevitori che decidono di passare a qualcosa di più appagante rispetto a nomi come Budweiser, Heineken, Corona, ecc. In pratica i marchi super premium potrebbero “filtrare” il movimento di tanti consumatori verso prodotti di nicchia, lasciando che solo pochi arrivino a scoprire le meraviglie brassicole delle aziende craft.

In realtà sembrerebbe che i marchi pseudo artigianali servano all’industria per non perdere quote di mercato. Negli USA da qualche anno si sta avverando il sogno di vedere Davide vittorioso su Golia: le multinazionali sono in calo (-1,7% nel 2013), mentre le birre craft crescono con spettacolare costanza (+16% nel 2013). In questo momento i brand super premium sono un freno al calo dell’industria e la loro influenza si ripercuote anche su prodotti mainstream: ad esempio la Coors Light ha aumentato le sue quote di mercato, ma solo perché i competitor della stessa categoria (le birre light) hanno subito contrazioni persino maggiori del marchio di Morson Coors.

Se perciò da un lato le pseudo artigianali possono essere viste come una presenza angosciante, che rischia di confondersi con gli autentici prodotti industriali, dall’altro il crescente successo della birra craft negli USA permette di guardare a tale fenomeno con una certa tranquillità. Senza considerare che le birre super premium potrebbero non essere un problema, come spiegavo in un articolo del 2010: non è escluso che per molti consumatori siano un pungolo a guardare oltre la solita lager del bar sotto casa, magari permettendo loro di compiere il decisivo salto di qualità verso i prodotti dei microbirrifici.

Infine il pezzo del Daily Finance spinge a riflettere sulla straordinaria evoluzione della birra di qualità negli Stati Uniti. Un mercato dove alcuni birrifici craft sono diventati così grandi da proporre marchi in diretta competizione con le pseudo artigianali – almeno a livelli produttivi – mentre altri birrifici, forse a causa di un mercato piuttosto saturo, si indirizzano consapevolmente verso una produzione di super nicchia. E dove le multinazionali riescono a ridurre le perdite con birre “crafty”, che finiscono per confondersi con prodotti autenticamente artigianali.

A cosa porterà tutto questo fermento? Ovviamente lo scopriremo nei prossimi anni. Intanto Daily Finance consiglia di puntare sui titoli super premium di Molson Coors, sicuro che la crescita del mercato craft trascinerà anche questi ultimi. Voi cosa ne pensate?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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46 Commenti

  1. Finché sono buone non vedo controindicazioni, anzi magari riusciremo ad avere finalmente della buona birra a prezzi decenti visto che per ora i craft italiani da quest’orecchio pare non vogliano sentire, soprattutto quelli con volumi che glielo permetterebbero agevolmente.
    Se non son buone che rimangano sugli scaffali, di birra grama ce n’è in abbondanza ed una referenza in più non farà poi una gran differenza.
    Se poretti facesse una birra buona non avrei alcun problema a berla. E per quanto mi riguarda spero che cio’ avvenga il prima possibile.

  2. Ho affrontato anch’io il tema delle gateway beer sul blog e, anche per esperienza personale, posso dire che questo “filtro” è necessario. Difficile passare da industriale ad artigianale senza un approccio graduale (anche se non sono il migliore esempio!).
    Purtroppo è vero, probabilmente molti consumatori sono, e successivamente rimangono, convinti di star già bevendo il meglio. Ma la cusiosità di quei pochi, e non è detto che siano davvero così pochi, che decidono di approfondire il discorso, saranno i veri innamorati della birra artigianale.
    Summa del discorso: ben vengano le gateway beer di tipo super premium!

  3. l’unico problema che vedo sono come sempre le informazioni errate durante la pubblicità (essendo grandi aziende hanno grandi possibilità) mi vengono in mente due esempi: un’aziende italiana che usa il termine “gran cru” che è un certificato di qualità tipicalmente francese del vino in cui pochi sanno cosa vuol dire ma fa scena, o puntare l’attenzione sul numero dei luppoli anziché la loro tipologia o quantità quando lo spettarore medio non sa neanche che cos’è il luppolo

    • Questo pero’ possono farlo (e già lo fanno) anche i birrifici “craft”:
      https://en.wikipedia.org/wiki/Grand_cru_%28food_and_drink%29

      This term has been used for beers, especially in Belgium, to indicate a more elaborate version of a brand.[3] InBev produces a more complex version of Hoegaarden called Hoegaarden Grand Cru,[3] while the Rodenbach Brewery produces a Rodenbach Grand Cru.[4] Lindemans Brewery make a gueuze and a kriek beer under the name Cuvée René Grand Cru.[5]

      Many breweries in the United States have also begun producing beers labeled “Grand Cru” to denote a limited production of a special or higher quality beer. A few examples are Avery Brewing Company’s The Beast Grand Cru Ale,[6] AleSmith Brewing Company’s Grand Cru,[7] and Allagash Brewing Company’s Allagash Grand Cru.

      Inoltre anche in italia c’e’ qualche grand cru:
      https://www.google.com/search?q=%22grand+cru%22+site%3Amicrobirrifici.org&ie=utf-8&oe=utf-8
      almond, hops e toccalmatto (a cui manca la lettera “D”: gran cru)

      • Su questo hai ragione, tecnicamente possono farlo. a me faceva solo sorridere che dopo essere stato in francia a vedere i castelli del bordeaux in cui tutti erano di qualità molto alta e solo ad alcuni una commissione permetteva di fregiarsi del termine Gran Cru (un po’ come il nostro DOCG ma molto più d’elite) poi vedere lo stesso termine sulla M*****I Gran Cru…

  4. Qualcuno mi Sto arrivando! Indicare un microbirrificio italiano che fa la birra per passione e nn per soldi???

    • Interpretando il tuo messaggio, con la passione non ci paghi i finanziamenti, i fornitori e nemmeno ci campi la famiglia. Produrre birra è come qualsiasi altra attività, bisogna far quadrare i conti. Cero la passione è fondamentale in questo mestiere e trai birrai Italiani non scarseggia, piuttosto a mancare sono le competenze, sia in materia produttiva, sia commercialmente. Ma direi che siamo abbondantemente OT.

  5. Purtroppo l’esame non prende in considerazione la situazione Europea nel suo insieme. E’ vero che in Italia c’è un grande divario tra industriale ed artigianale, mentre in altri paesi, non è così.

    In Europa ci sono industrie che producono con metodi del tutto artigianali e che per il mercato interno non pastorizzano ed a volte non filtrano. Chiaramente non sono previste diluizioni, saturazioni forzate o l’impiego di succedanei.

    Tant’è che in alcuni paesi non avrebbe senso fare un micro birrificio, perché non si sarebbe competitivi nel rapporto prezzo qualità. Per produzioni artigianali s’intendono solo i brew pub, perché solo vendendo al consumatore finale, può esserci un minimo di competitività.

    Purtroppo queste birre arrivano raramente in Italia, tant’è che il consumatore Italiano, spesso anche evoluto, le ignora e continua a fare discorsi sulla differenza tra artigianale ed industriale, che in ottica Italiana ha anche un senso, ma ampliando gli orizzonti perde molti di significato.

    Conoscendo e considerando queste realtà, si capisce che non ha molto senso distinguere tra industriale ed artigianale, mentre avrebbe molto più senso distinguere tra birra buona e birra non.

    La buona birra industriale potrebbe essere un passepartout per il mondo artigianale, il problema è che spesso queste birre sono migliori delle nostre artigianali. Mentre i tentavi dei produttori Italiani di artigianalizzare le loro scarse produzioni è ridicolo.

    • > In Europa ci sono industrie che producono con metodi del tutto artigianali e che per
      > il mercato interno non pastorizzano ed a volte non filtrano. Chiaramente non sono
      > previste diluizioni, saturazioni forzate o l’impiego di succedanei.
      > […]
      > Purtroppo queste birre arrivano raramente in Italia

      Sono interessato, potresti riportare qualche esempio, non solo di paesi ma soprattutto di aziende?

  6. Purtroppo o per fortuna questo succede perche’ i consumatori stanno cambiando gusti, e fortunatamente per noi in meglio.
    Il problema qual’e’? che vado al supermercato, trovo 2 qualita’ di REDHOOK direttamente dagli USA, ad un buon prezzo (mi pare 2.19 per 35cl) , una ESB ed una IPA, e mi chiedo: e’ una vera artigianale o e’ una industriale camuffata?
    E’ giusto farmi queste domande o e’ solo puzza sotto il naso la mia?
    Devo bere quello che mi piace o devo bere consapevolmente? perche’ se bevo una industriale non filtrata per me buona, danneggio i nostri amici birrifici artigianali, e questo non mi va.
    Morale, come ci dobbiamo comportare noi amanti dell’artigianale in queste occasioni?

    • Le redhook le ho viste e bevute anche io e a me non dispiacciono affatto, idem le altre referenze (kona brewing e wildmer bros, fondamentalmente Craft Brew Alliance).
      Queste non sono tecnicamente birre “Craft” perché non rientrano nella normativa ma per quanto mi riguarda sono buone e con un rapporto q/p decente.
      Inoltre sempre alla esselunga c’e’ Sam Adams Boston Lager ad 1.89€, in questo caso totalmente all’interno della normativa per essere considerata craft.
      Avercene di birrifici italiani capaci di fare quella qualità a quel prezzo.

    • Io ci vedo troppe domande inutili.
      Ti piace la redhook (che non è nemmeno industriale nel senso che intendi tu)? bene.
      L’unica preoccupazione che io avrei è la conservazione del prodotto.

      Il metro di giudizio dovrebbe essere la qualità del prodotto, non chi la produce.

    • Per me il vero discrimine non è “birra artigianale” vs “birra non artigianale” ma “buona birra” vs “birra non di qualità”. A parte che fornire una definizione di “birra artigianale” è arbitrario in assenza di parametri (anche normativi) che possano considerarsi unanimamente condivisi, credo non sia un mistero che esistono prodotti industriali di tutto rispetto (tipo la weihenstephaner korbinian che ho bevuto ieri) e prodotti artigianali dove siamo al limite della potabilità. Poi è ovvio che per avere l’eccellenza assoluta difficilmente potrai rivolgerti al mercato industriale e dovrai sconfinare nel settore artigianale: ma a quel punto la decisione si basa tutta sul rapporto qualità-prezzo. Posso anche decidere di andare al beershop e spendere 18 € per una Vigneronne (0,75), 12,90 € per una Alaskan Smoked Porter (0,65) e 5,10 € per una Bacchus (0,375), ma sono circa 2 litri di birra e ci bevo (benissimo !) solo una sera. Però con gli stessi soldi posso decidere di andare al super e comprare 4 Sam Adams da 0,33 (1,89 € cad.), 2 Badger Tanglefoot da 0,5 (3,89 € cad.), 2 Chimay rosse da 0,75 (5,80 € * 2) e 3 Orval (2,79 € cad.): magari sono più penalizzato nella qualità, ma sono circa 5 litri di prodotti di assoluto livello. Nessuna delle due decisioni mi pare esecrabile e, come per tutte le cose, ognuno è libero di agire come meglio crede: anche di spendere 200 dollari per una Uthopias (cosa che personalmente non farei mai). In ogni caso se vado sull’opzione 2 non mi sento un traditore della birra artigianale, che continuo a comprare quando voglio quel “qualcosa in più” (spesso anche ricorrendo a ordini on line su siti esteri con tutto quanto consegue in termini di aggravio del prezzo per spese di consegna). In generale, quindi, direi che i prodotti “superpremium” sono un vantaggio anzitutto per il consumatore, che evita di accendere un mutuo ogni volta che vuole bere bene. Fermo restando che possono essere un vantaggio anche per il produttore artigianale, visto che magari possono incuriosire il consumatore occasionale che si spinge così a sperimentare qualcosa di nuovo.

      • Il ragionamento di Enrico non fa una piega.

      • Enrico in linea di massima sono d’accordo con te, ma tu sai cosa compri ed hai citato birre conosciute.
        Io sono meno bravo di te, nel senso che non ho tutta questa cultura internazionale di birre, e il non avere un beershop vicino mi porta il sabato mattina a guardare tra gli scaffali del super, comunque accetta questo esempio “forse-impossibile-oggi-ma-un-domani-chi-lo-sa”:
        Poretti Angelo detto 3Luppoli mi fa una TIPOPILS tale e quale quella di Arioli, e che costa anche uguale, spendi uguale e bevi uguale, tutte e 2 li, sullo scaffale.
        La tua scelta sullo scaffale ha una conseguenza, perche’ sai chiaramente che uno e’ un arigiano e l’altro no, che uno fara’ altre 20 birre strabuone e l’altro no, ma se non lo sai?
        Io ho comprato la ReedHook (chi????) e’ ho detto, sara’ industriale? (inteso come “non-altrettanto-buona-come-una-artigianale”?) perche’ da packaging e dalle scritte non si capisce, se SI, avranno rubato una birra alla concorrenza artigiana, raggiungendo il loro scopo.

        Io non voglio dare i miei soldi alle fabbriche che fanno buona birra dopo che il culo se lo sono fatto gli artigiani e noi consumatori nella riscoperta della birra di qualita’.

      • Enrico, ti quoto pure nelle virgole e nelle parentesi!

  7. Io parlo da consumatore:prima di arrivare alle birre artigianali”di qualità”,son passato dalle lager industriali alle super premium,poi alle nobili decadute(tipo Duvel)e poi alle buone buone…andare gradualmente mi è servito a capire le differenze tra le varie fasce qualitative.

    • se sono delle Jacobsen come sembra (per le quali se leggete in giro ci collabora anche Mekkeller…) si possono anche provare. http://www.jacobsenbeer.com/Pages/default.aspx .

      • “sembrano” delle artigianali, come le 7 luppoli o la bock, poi ti trovi la lista degli ingredienti : [cit. da Wikipedia !]
        6 Luppoli Bock Rossa è una birra doppio malto con corpo rotondo, caratterizzata da aroma di cereale tostato con venature di caramello e liquirizia. Le materie prime sono acqua, malto d’orzo, sciroppo di glucosio e luppolo.
        Non Filtrata ai 7 Luppoli è una birra ambrata non filtrata in stile Vienna, dall’intensa luppolatura che le dà un gusto pieno.
        Le materie prime sono acqua, malto d’orzo, granturco, luppolo

        Da 10 anni ormai gli americani differenziano “craft beer ” come qualcosa i cui ingredienti sono aggiunti per migliorare la birra da punto di vista organolettico, e che escluderebbe di fatto questi pseudoartigianali, e anche il mercato relativo (prezzi inclusi). Al di là di “buona” o “cattiva” birra.

        • la “non filtrata 7 luppoli estiva”, che sarebbe quella che all’inizio chiamavano “cascade”:
          http://www.birrificioporetti.it/GetPage.pub_do?id=4028828d367d849f01367d8b3a830003
          Materie Prime: Acqua, Malto d’orzo, Malto di frumento, Luppolo.

          • scusate ma per me non si sta centrando il punto. sono birre buone o no? Per me fra le Jacobsen ci sono prodotti buoni. meno la bock o la cascade di poretti, mentre la gran cru di mXXXXXi è un inganno, in quanto prendono un birra di una loro consociata belga e la imbottigliano con una etichetta diversa…con l’riginale che costa meno della rietichettata…
            sull’uso di succedanei.. farei attenzione. mettiamo all’indice il malto di frumento??? o automaticamente chi usa zucchero?? se seguiamo il ragionamento le weizen sono automaticamente cattive e tutti (o quasi) gli stili belgi da mettere all’indice. l’unico distinguo da fare sono birre buone-birre cattive e il rapporto qualità prezzo. e soprattutto non leviamoci la curiosità di vedere e provare le birre che ci sono sul mercato..

          • @feltrinians in realtà colevo appunto dire che la 7 luppoli estiva (ex cascade) NON usa succedanei visto che e’ solo acqua, malto (orzo/frumento), luppolo, lievito.

  8. Se posso aggiungere il mio piccolo contributo: il vero problema non è quello che combinano i birrifici nell’area produzione, quanto piuttosto quello che succede in area marketing e comunicazione: secondo me il problema è che quando andiamo al negozio non siamo correttamente informati e la cosa è spesso voluta. E parlo in generale perché il discorso vale per la birra, come per l’olio di oliva (vedi recente scandalo), frutta e verdura, carne e tanti, troppi altri prodotti. A volte nemmeno leggere l’etichetta parola per parola è sufficiente per essere esaustivamente informati sul prodotto che stiamo mettendo nel carrello.
    Comunque, secondo me, non si deve proibire di produrre prodotti a basso costo o boicottarli, pensate per esempio ad un pensionato che campa con 500 euro di pensione al mese: non può certo permettersi di spendere 12 euro per una bottiglia di birra artigianale, perciò è giusto che possa trovare alternative più economiche. Però il consumatore dovrebbe essere informato: ci dovrebbe essere la consapevolezza che quel prodotto costa poco perché vale poco e dunque da qualche parte sull’etichetta mi devono scrivere chiaramente e senza sotterfugi quali sono le materie prime, da dove vengono e come sono state lavorate.

    • Condivido in pieno quanto dici. Infatti Slow Food ha sempre sostenuto il concetto della giusta remunerazione dei prodotti agricoli. Nel termine giusto, della triade buono , pulito e giusto è raccolto questo concetto. La remuneratività dei lavori agricoli è calata in maniera impressionante negli ultimi 20-30 anni, pensa ai produttori di olio d’oliva che combattono con i prezzi di Bertolli, Carapelli etc..e con i loro mix di prodotti che provengono dal NordAfrica o da altri paesi caldi , oppure alla produzione cerealicola o di uva da tavola …Ovviamente non sempre il lavoro artigiano è sinonimo di qualità, e ci vuole educazione per capire, distinguere ed apprezzare, e nel campo dei prodotti di qualità artigiani non bisogna eccedere con la remuneratività. Questo se vogliamo conservare ed anche espandere un mondo che vede la cura del prodotto e la biodiversità valori irrinunciabili del nostro progresso civile.

  9. Secondo me sono (scusate il termine) inutili pippe mentali. Provate una birra e vi piace? Stop. Artiginale o industriale? Sticaxxi! Noi siamo consumatori e ci deve interessare solo il prodotto finale. Se poi riusciamo a risparmiare du spicci ben venga. Qui in Germania il problema neanche si pone. Ci sono millemila brewpub dove poter bere a poco. Sono appena stato in uno di questi e per un litro di birra (una rauch e una zwickel) ho speso 7 euri compreso di abbondante mancia. In Italia con 7 euro cosa ci prendo? Due Tipopils piccole? Neanche…

    • Ti correggo: una Tipopils da 0,4. E non è uno scherzo

      • Ma che stai a dì?!?!? I prezzi sono saliti così tanto? Al Macche la Tipopils “piccola” costava 4€ fino all’estate scorsa. Se questi sono i prezzi capisco l’aumento di beershop con mescita associata, si risparmia e neanche di poco (ho sempre apprezzato questi “ibridi” quando ero a Roma)

        • Eh che sto a dì… La Zanzara, bistrot/ristorante aperto da poco a Prati, fa quei prezzi

          • ‘cciloro!!!! 😀
            Ma nessuno obbliga la gente ad andare in questi posti e fasse spennà

        • Fidati ! Come rapporto qualità/prezzo la Germania è un paradiso (forse superata solo dalla Repubblica Ceca, visto lì c’è il vantaggio di pagare in corone). Lo scorso w/e a Regensburg, alla birreria del castello, mi sono fatto tre keller e una dunkel – per un totale di 2 litri – lasciandoci 14 € in totale (e già è un posto turistico, alla Kneitiger Am Arnulfplatz è ancora + economico e la loro Bock è spettacolare). Se penso che a Milano ci sono posti dove per una Westmalle Tripel da 0,75 hanno il coraggio di chiederti 13 € l’invidia è forte. Anche perchè qui posti come Fristo, dove esci con 20 BIRRE (maiuscolo voluto) lasciando circa 19 € (ok un pò di + se conti il pfand) ce li sogniamo.

          • Anche l’UK (fuori da Londra) ha dei prezzi decisamente accessibili per le real ale. Più bassi dei pub italiani. 2,90£ per una pinta non saranno mai 6/7€

  10. Alcune volte, come già scritto, assaggiare qualcosa di nuovo, comunque prodotto da “materie prime” fa parte del gioco.
    Poi se non ci si innamora ognuno torna alle proprie amate bevute..

    Negli ultimi tempi sto’ avendo un approccio seriale con le birre celtexperience inglesi, sicuramente filtrate ( no yeast) forse anche pastorizzate ( non so) ma devo dire di una complessità da 10+ in etichetta ti indicano anche abbinamenti con cibi, il grado di amaro e chi piu’ ne ha…….sul loro sito in patria hanno una produzione e marketing massiccia, collaborazioni eccceccetera..

    al prezzo di 3.15 mezzo litro, che dire, mi piacciono, altre precedentemente menzionate e reperibili in GDO le ho provate ma non le ricomprerei, tengo le bottiglie nella collezione ma in disparte, lontane da una bombay cat x esempio !!!!!!!!!!!

  11. Vabbe’ tutti moralisti ed esperti sulla qualita’ e poi vi basta bere bene a meno euro e non guardate in faccia nessuno.
    Basta parlare di birre italiane allora, sono care.

    • No dobbiamo immolarci per forza sull’altare delle artigianali Italiane e rimpinguare i conti di Teo e Leo perché noi siamo gli adepti?

      Certo che basta bere bene e possibilmente a meno, questo è il mercato e che ti credevi?

    • il problema dei prezzi sono Roma e Milano. In provincia si beve decisamente a meno.

    • Come tutti i comuni mortali è necessario fare i conti con il portafoglio. Esistono “dettagli” – come mutuo della casa da pagare, bollette luce/gas, assicurazione auto, benzina, vestiti, tasse ecc. – con cui bisogna convivere se non si nasce figli di uno sceicco arabo. Sull’eccesso per togliersi lo sfizio non posso parlare visto che di follie tra viaggi birrai/ordini all’estero ne ho fatti a go go (vai a vedere, per esempio, quello che ti chiedono di spese di spedizione da Benedicht di Biel, in Svizzera) ma se partendo da 2 prodotti di qualità similare da una parte spendo meno non vedo dove sia il problema “morale”: sono logiche di mercato. Ci sono poi casi in cui non si discute nemmeno di qualità/prezzo perchè il costo non è assolutamente tarato sul prodotto: ad esempio ancora non capisco perchè una Isaac da 0,75 la vendono a 10 € la bottiglia (quando va bene) e tre Blanche des Honelless da 0,33 (che – ovviamente parlo a titolo personale – trovo decisamente superiore) le prendo a 9 € e le hanno pure fatte arrivare dal Belgio.

      • Per il vostro modo di vedere le cose avete ragione, ci mancherebbe,
        e lo ribadite ancora: le birre estere sono piu’ buone e piu’ a buon mercato.
        Quindi per voi le birre italiane potrebbero anche non esistere dato che non le compri, per me no.
        Siete i classici consumatori che guardano il prezzo ed ammazza i birrifici italiani, e non parliamo di riempire le casse di Teo, ma dei 400/500 micro sparsi in giro per l’italia.
        Se pochi euro non vi fanno scegliere la birra artigianale italiana mi dispiace per voi e per me….sicuri che ne siete davvero appassionati?

        • A conti fatti ritengo di essere un appassionato, ma bisogna contestualizzare il significato da dare al termine. Per me essere appassionati non vuol dire comprare un prodotto perchè è italiano, ma ragionare in modo critico su quello che bevo e fare scelte consequenziali. Ti faccio 4 esempi:
          1) Alaskan Smoked/Fumè di Toccalmatto: la prima costa quasi il doppio ma tra le 2 compro il prodotto estero perché la Fumè non mi piace (l’amaro è troppo poco marcato per i miei gusti) e non vedo perchè autoflagellarmi per salvare un prodotto solo in quanto Italiano. (P.S. so che la Alaskan è una Porter e la Fumè una Ale, ma in quanto entrambe “affumicate” dal mio punto di vista sono comparabili anche se non perfettamente omogenee);
          2) Isaac/Blanche des Honnelles: ho già detto. Preferisco la seconda. Il fatto che costi di meno rende meno problematico penalizzare il prodotto italiano (come faccio nel caso 1);
          3) tipopils/Pilsner Urquell (vabbè qui è facile ^_^): nella mia cantina non manca mai la tipopils nonostante costi un sacco di + dell’altro termine di paragone che ho proposto. Il 25 gennaio sono andato apposta alla belle alliance per incontrare Arioli e fargli i complimenti per il capolavoro che ha elaborato;

        • Tu chiaramente sei un birraio 😀

        • Tesoro bello, i soldi non crescono sugli alberi. E mettici pure che di quei 400/500 micro quanti meritano davvero?

          Se ho voglia di una pils mi bevo una pils ceca o tedesca, non una pils italiana. Ma non per fare lo snob esterofilo, semplicemente perché le pils italiane non mi piacciono. Punto. Se voglio una triple mi rivolgo alle birre belga, a meno che non ho la possibilità di trovare alla spina Siebter Himmel o Croce di Malto. Se voglio rauch Schlenkerla e Spezial tutta la vita. L’unica rauch italiana che mi ha fatto saltare dalla sedia è la Wedding Rauch di Ducato. E potrei andare avanti per ore ed ore con esempi simili.

          Forse per te la birra è un lavoro, per me è un bene alimentare. E non mi pare che negli esempi fatti sopra dagli altri utenti qualcuno abbia detto che preferisce la Peroni e la Moretti alle artigianali italiane, ma che se si può, si compra Duvel, Orval e Samuel Adams al supermarket. Mica robetta da sue soldi insomma.

          Se in Italia la birra esce dai birrifici a 2€ al litro e qui in Germania con due euro ti ci puoi fare una 0,5 (in alcuni posti in Franconia), mica è colpa nostra. Capisco le tasse, le accise, le materie prime e tutto quello che te pare, ma al consumatore finale non interessano sti discorsi. Il consumatore finale vuole bere cose che gli piacciono ad un prezzo onesto. E no, 11€ per una bitter ale italiana da 75cl non è un prezzo onesto!

  12. Se l’industria deve virare su nuove tipologie di prodotti con costi di produzione maggiorati rispetto alla sua “media” non è una cosa negativa per l’artigianale.
    Ci sarà sempre differenza di prezzo, ma cmq meno rilevante, rispetto alle linee principali.
    Fosse successo qualche tempo fa forse poteva essere un pericolo, adesso vedo una consapevolezza in aumento tale per cui al massimo possono fare una “guerra difensiva” in quel settore.
    Il grosso rimarrà la classica lager scrausa, nei settori di qualità invece fungeranno da passaggio come giustamente ha detto qualcuno.

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