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Italia patria del “famolo strano”? I concorsi birrari dicono il contrario

croce ebs
La vittoria dell’Hauria di Croce di Malto allo EBS della scorsa settimana

Questo periodo dell’anno è sempre animato dai risultati dei concorsi internazionali, capaci talvolta di stimolare riflessioni interessanti. Ad esempio, spulciando le medaglie conquistate dai birrifici italiani mi è tornato alla mente un mio post di circa un anno fa, quando analizzai le birre di punta dei nostri produttori per verificare quanto fosse fondato il grande assioma del movimento nazionale: quello secondo il quale la creatività è la cifra stilistica dei birrai italiani, diventati famosi grazie a ricette fuori dall’ordinario. Oggi possiamo riprendere il discorso, suffragando però le conclusioni con dati certi e non con le semplici opinioni personali. Analizzando infatti i risultati dei principali concorsi degli ultimi anni, l’obiettivo è capire se l’Italia ha trionfato più volte in categorie “creative” oppure in stili classici. E la risposta non è tanto lontana da quella di un anno fa.

Prima di cominciare a passare in rassegna le medaglie ottenute in tempi recenti è necessario fare delle premesse. Innanzitutto quali categorie considerare “strane” e quali no? A mio parere rientrano nel primo gruppo tutte quelle che non coincidono con stili tradizionali. Quindi inserirei la Specialty Beer, le birre alla frutta, al caffè, al cioccolato, al miele e in generale tutte quelle che prevedono genericamente l’aggiunta di spezie o aromatizzazioni. A queste poi aggiungerei le birre acide, quelle passate in legno, quelle con cereali alternativi e, tutto sommato, anche quelle affumicate. Rappresentano un gran numero di categorie, ma anche una percentuale abbastanza ridotta rispetto alla quantità di categorie “normali” – e questa è la seconda premessa. Ad esempio al recente European Beer Star c’erano 11 categorie considerabili “insolite” su 58 totali – ma bisogna anche considerare che, essendo tedesco, questo concorso punta molto alle tradizioni brassicole della nazione.

Detto questo, passiamo in rassegna i migliori risultati dei birrifici italiani in anni recenti. Ho preso in considerazione solo l’ultimo triennio dei principali contest internazionali e solo le medaglie d’oro o, in loro assenza, quelle d’argento. Di seguito ciò che emerge, con in grassetto le birre premiate in categorie non tradizionali.

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European Beer Star 2014
Hauria (Pils)
Reale Extra (IPA)
La Mancina (Belgian Strong Ale)
Triplo Malto (Tripel)

Brussels Beer Challenge 2014
Federiciana (English IPA)
Superambrata (Bières de Garde)
Hirdega (Export Stout)
Rifle (ESB)
La Grigna (Pils)

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World Beer Cup 2014
Via Emilia (Pils)
Temporis (Saison) – In grassetto per essere una Saison aromatizzata con varie spezie
Robinia (Birre al miele)

Brussels Beer Challenge 2013
Chimera (Abbey)
Sally Brown Baracco (Birre al caffè)
Terrarossa (ESB)
Hot Night at the Village (Porter)

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Mondial de la Bière 2013
Punks Do It Bitter (Blonde Ale)
Grunge IPA (AIPA)

European Beer Star 2013
Via Emilia (Pils)
Wedding Rauch (Affumicate)
Collesi Nera (Dubbel)
Bitterland (Bitter)
Golden Ale (Golden Ale)
Batzen Dunkel (Dunkel)

Australian International Beer Awards 2013
Magnus (Dark Strong)

World Beer Awards 2012
Imper Ale Nera (Belgian Strong)

World Beer Cup 2012
Via Emilia (Pils)

European Beer Star 2012
La Mancina (Belgian Strong Ale)

Come si può vedere, tra le birre premiate nei concorsi internazionali degli ultimi tre anni pochissime appartengono a categorie particolari. La logica sulla quale poggia l’analisi può essere statisticamente attaccabile, ma secondo me la percezione generale che se ne ricava è che i birrai italiani sono probabilmente più bravi con stili classici piuttosto che con ricette insolite. Sembra quasi paradossale considerando che l’Italia brassicola si è fatta conoscere per la sua creatività, tuttavia, come già visto all’epoca, la maggior parte dei birrifici è cresciuta grazie a birre normali.

Questa sensazione è suffragata dal particolarissimo caso delle Zwickelpils italiane. La categoria delle Pils non filtrate ha infatti evidenziato negli ultimi anni una curiosa ascesa dei produttori italiani, che sembrano essersi specializzati in questo classico stile ceco/tedesco più che in birre “moderne”. Chiaramente a fare da apripista è stata la Tipopils del Birrificio Italiano, prima rappresentate di questo fenomeno nazionale e capace ancora di ottenere riconoscimenti costanti in diversi concorsi internazionali. Ma negli anni alla creatura di Agostino Arioli si sono aggiunte altre rispettabilissime concorrenti: per citarne alcune la super premiata Via Emilia del Ducato, la Hauria di Croce di Malto (che ha proprio preceduto la Tipopils all’ultimo EBS), la Quinn di Turbacci (medaglie allo EBS e all’IBC), La Grigna di Lariano (oro all’ultimo BBC). Un fenomeno così interessante che forse meriterebbe una trattazione a parte.

Tornando dunque al discorso generale, i contest internazionali sembrano confermare quanto già affermammo un anno fa: i birrifici italiani sono giustamente conosciuti per la loro creatività, ma in realtà è con le ricette classiche che hanno costruito – e stanno costruendo tuttora – la loro fama. Una conclusione che ci rinfranca, perché se il “famolo strano” garantisce un ritorno abbastanza sicuro, ma solo nel breve termine, è soltanto raffinando gli stili classici che si può sviluppare un movimento brassicolo solido e dal futuro roseo.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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8 Commenti

  1. E’ la prova tangibile che il movimento brassicolo italiano ha fatto il suo ingresso in una fase più matura. Fortunatamente, alcuni birrai sembrano aver capito che il “famolo strano” non porta da nessuna parte e che, per ottenere risultati, è necessario seguire l’esempio di colleghi come Arioli e Campari. C’è una sola categoria di birre, quella che prevede l’utilizzo di mosto d’uva, che pur non rientrando negli stili codificati, se ben coltivata, potrebbe riservare alla nostra birra artigianale un ruolo predominante.

  2. Beh l’Hauria non è propriamente una Koelsch (ispirata, inizialmente, a…), ma la categoria all’EBS 2014 non dava indicazioni sul tipo di lievito utilizzato. Di sicuro è una gran session beer, come la TipoPils e la Via Emilia e… complimenti a Croce di Malto!

  3. Gli organizzatori di ‘sti concorsi dovrebbero adottare regole più stringenti in merito alla definizione delle categorie, altrimenti perdono credibilità gli eventi e le stesse medaglie assegnate. Se la Hauria non è una pilsener, chi se ne fotte della mancata indicazione sul lievito??? E’ un escamotage che non approvo. Se la Gaina è una bassa, perchè lasciarla trionfare nella categoria “sbagliata” a “Birra dell’Anno”???

    • La Gaina non l’hanno beccata, e vabbe, alla fine non era sicuramente facile senza indicazioni in merito. Ma confondere una koelsch con una pilsner al punto di farle vincere l’oro nella categoria… ci vedo un po’ di incompetenza.
      Poi i complimenti alla birra, sicuramente ottima e pulitissima, restano, però…

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