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4 domande per capire il futuro della birra artigianale italiana

Forse mai come ora il concetto di “fase di transizione” si adatta allo stato della birra artigianale in Italia. I birrifici attivi sono circa 900 e alcuni nomi importanti stanno compiendo passi fondamentali per affrontare al meglio le sfide all’orizzonte. Nel giro di pochi mesi l’Italia ha visto riconosciuto il suo primo birrificio trappista e il suo primo stile birrario autoctono. I progetti che trattano la birra di qualità si moltiplicano ogni giorno, spesso coinvolgendo settori lontani anni luce. Insomma, in questo momento di grande fermento – è il caso di dirlo – forse conviene fermarsi un attimo e porsi alcune domande sul futuro di questo affascinante mondo. Ecco allora quattro quesiti “ancestrali” ai quali cercheremo di dare una risposta.

La birra artigianale in Italia è una moda passegera?

Sì e no. In passato ho sempre respinto l’idea di associare il termine “moda” alla birra artigianale, ma negli ultimi anni mi sono dovuto arrendere. In molte zone italiane il fenomeno ha acquisito una dimensione trasversale, uscendo dal segmento specializzato per approdare in contesti alimentari più generici (e talvolta anche fuori da essi). Avere birra artigianale alla spina e in bottiglia sta diventando un obbligo per ogni nuova apertura, al pari di concetti quali “street food”, “hamburger gourmand”, “chilometri zero”. E attenzione, perché non mi riferisco solo alle birrerie: almeno qui a Roma i prodotti dei microbirrifici sono ormai protagonisti in bistrot, ristoranti di concezione moderna e botteghe di ricercatezze gastronomiche.

Forse mai come oggi il settore alimentare sta rincorrendo istericamente le mode, che si susseguono a ritmo impressionante. Difficile non credere che tutto questo entusiasmo per le birre artigianali sia destinato a spegnersi presto, lasciando spazio al prossimo trend. E non è detto che sia un male, perché a trattare l’argomento resteranno solo i soggetti realmente motivati. Che poi sono coloro (tantissimi) che hanno sempre lavorato birra artigianale e che operavano già prima di questo incredibile successo. Perciò non penso che tutto scomparirà come una bolla di sapone: lo zoccolo duro ci sarà sempre e permetterà alla birra artigianale di prosperare anche dopo che saranno finiti i facili entusiasmi. E magari l’ambiente ne gioverà parecchio.

I birrifici italiani sono destinati a diminuire nei prossimi anni?

Domanda che poi si accompagna a un altro quesito fondamentale: i birrifici (e le beer firm) italiani sono troppi rispetto alle possibilità attuali del mercato? Non vorrei passare per uccello del malaugurio, ma l’impressione è che il punto di saturazione sia stato raggiunto già da tempo e che stiamo vivendo una fase di inerzia causata dall’entusiasmo, dalla momentanea sospensione del giudizio sugli investimenti effettuati e dall’impressione che il settore sia la classica gallina dalle uova d’oro.

Il punto è che a fronte di circa 900 birrifici attivi in Italia, bisognerebbe cominciare a ragionare sui grandi numeri. E i grandi numeri sono impietosi: il nostro paese rimane infatti fanalino di coda in Europa per litri pro capite di birra bevuti all’anno. Poiché i consumi in questi anni non sono aumentati, l’ipotesi è che si siano semplicemente spostati dai prodotti dell’industria a quelli dei microbirrifici. Tesi valida, ma che non libera l’orizzonte dalle nubi che lo popolano: basandomi sui classici “conti della serva”, a fine 2013 calcolai che ogni birrificio italiano poteva aspirare a una produzione media di poco superiore ai 300 hl annui. Una bazzecola insomma, incapace di mantenere in salute qualsiasi produttore che voglia crescere e prosperare.

Se a queste considerazioni aggiungiamo la miriade di progetti assurdi e campati per aria che ultimamente stanno spuntando come funghi, sembra quasi inevitabile che in futuro dovremo aspettarci una fase di rinculo. A sopravvivere saranno i birrifici più bravi – concetto che non sempre coincide con quello di “buoni” – e quelli che si saranno mossi per tempo con l’obiettivo di compiere un fondamentale salto di qualità. Quanti ne resteranno? Inutile sparare cifre, però credo che prima o poi questo momento di contrazione arriverà. E non è detto che non sia dietro l’angolo.

I microbirrifici italiani finiranno per essere acquistati dall’industria?

Difficile rispondere a questa domanda e se una risposta ci sarà, penso che non arriverà prima di molti anni. Ritengo che il settore della birra artigianale sia ancora troppo piccolo e poco strutturato per fare gola alle multinazionali, che infatti preferiscono lanciare i loro prodotti pseudo-artigianali piuttosto che effettuare qualche clamorosa acquisizione. Per i giganti dell’industria, infatti, i microbirrifici italiani non possono che apparire come pulci: non solo in termini di produzione annua, ma anche e soprattutto considerando la solidità strutturale di queste aziende. In altri termini la realtà italiana è distante anni luce da quella di altre superpotenze brassicole, non tanto per dimensioni degli impianti – sì certo, anche per quello – quanto per i limiti intrinseci che da sempre caratterizzano il sistema imprenditoriale italiano. Ecco perché – a differenza di quanto accaduto ad esempio in Svizzera, Australia o Brasile – se un giorno dovesse avvenire qualche acquisizione, credo che rimarrebbe un caso isolato o quasi.

L’Italia riuscirà a sviluppare una sua cultura birraria?

Qui dipende cosa intendiamo per “cultura birraria”. Per come la vedo io non consiste, ad esempio, nell’avere un proprio stile nelle linee guida del BJCP, ma fare in modo che la birra (di qualità) diventi un fattore di quotidianità ben radicato al’interno della società, magari con caratteristiche proprie e non riscontrabili altrove. Che insomma il consumo non sia relegato a momenti occasionali o a situazioni particolari, ma che diventi perfettamente normale per chiunque. Da questo punto di vista forse si farà prima a inventare i viaggi nel tempo che a sviluppare una cultura italiana della birra, tuttavia a volte certe trasformazioni sono più veloci di quanto si potrebbe pensare.

A ben vedere l’Italia sta sviluppando alcuni modi di approcciare la birra artigianale del tutto peculiari, che magari a non tutti possono piacere, ma che comunque identificano in maniera univoca il nostro movimento. Ovviamente questo non basta. Il primo nemico dello sviluppo di una cultura birraria nazionale è la moda, perché se è vero che avvicina nuove persone al consumo, è innegabile che lo fa in maniera superficiale. E la superficialità è proprio ciò che bisogna evitare per consentire alla birra di qualità di crescere. L’antidoto è fare corretta comunicazione con tutti i mezzi possibili: locali, manifestazioni, siti web, ecc. E soprattutto rendere la birra artigianale accessibile ai consumatori. Forse non diventerà mai una bevanda quotidiana come in Germania, Inghilterra o Repubblica Ceca, però può crescere ancora molto. Raggiungendo obiettivi che oggi sembrano improponibili.

E ora mi aspetto le vostre risposte ai 4 quesiti…

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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19 Commenti

  1. Nell’ordine:
    1) non credo si possa parlare di moda passeggera. Ormai in ambito alimentare si cerca di scegliere il prodotto di qualità (che poi questo diventi occasione per spacciare come eccellenza – e non mi riferisco solo alla birra – robaccia industriale o semi-industriale è altro discorso…);
    2) sì, la selezione è fisiologica in tutti i mercati. Che poi – come rilevi – ciò possa avvenire privilegiando quelli commercialmente più bravi anziché quelli che fanno birre più buone è del tutto possibile (v. risposta 4);
    3) no: all’industria conviene fare la 1000 luppoli anziché acquistare chi produce la 1000 IBU;
    4) nel breve periodo non credo. Siamo un Paese a tradizione vinicola e la cultura birraia resterà sempre fenomeno di nicchia salvo stravolgimenti culturali che potranno avvenire solo nel lungo periodo (del resto è proprio il fatto che il consumatore italiano sia poco “educato” a consentire che birrai che fanno blanche che sembrano spremute di pompelmo o pils fruttate continuino a vendere imperterriti anziché fallire).

  2. che ne chiudano un sacco è inevitabile…. personalmente ho bevuto un sacco di schifezze negli ultimi 2/3 anni: chi le produce non ha futuro, di questo sono convinto.
    per quanto riguarda la cultura… da una parte una terra di vino come la nostra non vedrà mai la cultura vitivinicola superata da quella brassicola secondo me… ma il fattore determinante può essere l’online: ci sono a disposizione una tale quantità di informazioni in più rispetto agli anni passati e disponibili così velocemente, che sviluppare una cultura potrebbe non richiedere per forza decine di anni….

  3. giuste e condivisibili osservazioni, anche se tra beerfirm ‘opinabili’ e progetti di vari soggetti catapultati nella modo ci sarà secondo me un po’ di lavoro per tutti ancora per un po’ (magari aumenteranno birrifici disposti a ‘vendersi’ a prezzi sempre più bassi per campare) e poi importante è anche la creazione di una seria filiera d’orzo e maltazione italiani, altrimenti saranno comunque sempre prodotti d’artigianato e non d’agricoltura, con materiali magari di multinazionali o che, al pari di banane e ananas, fanno 10.000km in naftose navi, ma è un altro discorso.
    La cultura deve proprio essere la consapevolezza del prodotto e mediamente è ancora molto bassa in giro o fuori dal ‘giro’ degli appassionati (e anche qui tanti falsimiti o imprecisioni ci sono sempre e in gran quantità); d’altra parte questo vale in realtà anche col vino che, almeno nei miei coetanei (20-30 anni) gode di pochissima attenzione nel consumo (che nei decenni si è oltremodo ridotto) e nella conoscenza vera e profonda, nonostante siamo in Italia. Cheers

  4. Se diminuiranno forse è un bene, ormai ce ne sono un sacco e chi non ha voglia di approfondire il discorso birra spesso si fa abbagliare da prodotti scadenti, onestamente quanti sono i birrifici artigianali degni di nota? Forse 1 su 10? Esagerando però…i più fanno birrette facili facili, inferiori a certi grossi nomi che fanno qualità da tempo.

  5. Per quanto riguarda il punto quattro e relativi commenti: distinguiamo fra “tradizione vinicola” e “cultura vinicola”. Se ci riferiamo al consumatore comune, siamo sicuri che la conoscenza del vino vada di pari passo con l’abitudine a berlo?
    Questo per dire che secondo me la tradizione vinicola non rappresenta un vero ostacolo per la diffusione di una cultura della birra. Il consumatore “incosciente” di vino tendenzialmente sará anche un consumatore “incosciente” di birra; il salto in avanti per me si deve fare sulla formazione di consumatori curiosi e interessati a tutto tondo al mondo gastronomico.

  6. Penso che il discorso birra artigianale possa essere inserito nell’ampio panorama della ricerca di prodotti artigiani biodiversi e non standardizzati , quindi no a supermercati/prodotti industriali, si a mercati contadini dei produttori/ prodotti artigiani di qualità.Vedo che la sensibilità su questi temi aumenta e questo mi fa pensare che è difficile fare previsioni su dove si può arrivare, bisognerà vedere quanto saremo bravi a veicolare questi messaggi. Senz’altro ci sono anche aspetti di moda in questo boom, ma a mio avviso sono marginali, è la ricerca di prodotti veri fruibili e con i produttori visibili e umani la chiave di questo successo
    La ricerca di una via italiana, che includa materie prime e lieviti di territorio però è un aspetto fondamentale per essere all’interno di questo filone..e su questo c’è tanto da fare.

    Il numero di birrifici è cresciuto in maniera incredibile, ed è cresciuta la qualità media. Probabilmente assisteremo sempre di più ad una regionalizzazione dei birrifici e diventerà vincente il sapersi ancorare saldamente al territorio , difficile pensare che questo fenomeno si arresti, certo c’è chi non ce la fa..ma non siamo all’apice del fenomeno, la birra artigianale è ancora marginale nella stragrande maggioranza del paese.

    Gli ultimi 2 punti sono i più difficili per me da prevedere.
    Penso che la grande industria cercherà di entrare in questo mercato, non ne può fare a meno, perchè sta diventando un pericoloso concorrente, magari quando ci saranno realtà più consolidate e birrifici con una consistenza produttiva di almeno 40.000-50.000 hl..fra qualche anno credo qualcuno ci arriverà…

    La cultura birraria è cresciuta molto e credo siamo sulla strada giusta..quanta gente oggi si fa l’orto in casa ? è una cultura che sta cambiando, e lo stesso può avvenire con la birra, saranno i giovani a mio avviso a tracciarne il percorso, così come ne stanno decretando crescita e successo

  7. 1) In Italia c’è un segmento di consumatori che consuma birre non lager da tempo. Fino a poco tempo fa era solo su birre importate ora anche su birre “artigianali” importate e non. Spazio di crescita ci sarebbe a discapito sia delle produzioni nazionali industriali che importate. Per farlo c’è bisogno di soldi, pazienza ma soprattutto distribuzione per raggiungere quella domanda.
    2) Sì. resisterà chi avrà locali di mescita propria, ma i locali faranno l’introito….
    3) In Italia non credo. Può essere che invece sia l’industria a fare le Gateway beer promuovendo marchi acquistati in passato in giro per il mondo.
    4) Cultura forse ma non ci si schioderà dai 28 Litri procapite.. Ogni consumo in più di una birra significherà uno in meno di un’altra marca..

  8. 1) moda o non moda chi beve artigianale dubito torni indietro a bere industrialine da discount, credo che la fetta di mercato conquistata dalla birra artigianale negli ultimi dieci anni non sia soggetta a regressione, al massimo potrebbe crescere.

    2) Dei 900 e passa birrifici dichiarati da microbirrifici.org una buona percentuale sono beerfirm o produzione sospesa, e un altra grossa fetta ha impianti da homebrewer. Ci sarebbe da calcolare quanti microbirrifici veri vi sono effettivamente. La mia impressione e che si può crescere ancora tanto…

    3) Per ora non credo l’industria sia interessata a dei numeri così piccoli, probabilmente punterà verso le crafty, come già sta facendo, vedi Poretti, etc…

    4) Cultura birraria? una bella utopia realizzabile, a mio parere, con una riduzione dei prezzi e di conseguenza un aumento della capacità produttiva dei birrifici… Chi riesce vive e chi non riesce o muore o sta nella micro-nicchia… certo che si perderebbe un po di poesia…

  9. 1) umh anche se per moda quanti si stanno convertendo all’artigianale? E quanti riusciranno a bere una robaccia qualunque quando la moda sarà passata? Secondo me ci sarà un ridimensionamento ma il numero dei consumatori di artigianali crescerà.
    2) Sopravviveranno i birrifici che riusciranno a crescere, nella birra devi fare oceani di birra per stare sul mercato, a qualsiasi livello.
    3) quello che succederà nei prossimi 15 anni sarà la crescita di alcuni birrifici artigianali che diventeranno grandi e cominceranno a delocalizzare ed ad acquistare birrifici funzionanti. Insomma più che acquisto da parte dell’industria mi aspetto un aumento di scala di quello che oggi consideriamo artigianale.
    4) Piano piano, intanto si può cominciare a parlare di “accenno di consapevolezza”

  10. 1) Come in tutte le cose che hanno un trend positivo, un pò di moda c’è, anche se credo sia una minima parte, sento sempre gente nuova che parla di artigianale con più coscenza
    2) I microbirrifici cresceranno ancora ma in maniera meno esponenziale e poi come logico che sia in economia ci sarà un dietrofront, chi sarà bravo rimarrà chi no uscirà dal mercato
    3)non credo prorpio che ora ci saranno acquisti da parte delgli industriali, non ci sono ancora i numeri quantitativi per farlo, poi chissà se qualche micro si espanderà…
    4)cultura birraria… la vedo difficile, la birra non credo che diventerà bevanda quotidiana per i più, ciò non toglie che a piccoli passi si potrà avere sempre più consapevolezza.

  11. Solo un mio commento sulle possibili acquisizioni.
    Storicamente i grandi gruppi hanno acquisito i marchi locali non tanto per il valore del brand, ma per quello della distribuzione e del valore di mercato ad essa legato. Per essere appetibili occorre quindi creare una propria clientela ed un proprio circuito di distribuzione. Piu questa distribuzione assume dimensioni economiche importanti e più è circoscritta territorialmente, maggiore sarà il suo valore.
    Detto in altri termini, vale di piu (per una multinazionale) un milione di euro fatturato nel raggio di 30Km dalla sede e con contratti e distribuzione diretta, che lo stesso milione realizzato in ambito nazionale tramite grossisti e rete di vendita indiretta.
    Saluti
    Lelio

  12. Di sicuro l’Italia ha voglia di investire nella qualità della birra. Difatti da quest’anno all’università di Perugia inizia un corso triennale di tecnologia birraria in quanto c’è bisogno di persone qualificate per gestire tutto il processo (dalla maltazione alla vendita), un enologo ma per la birra per intenderci!!
    Corso di laurea che all’estero è presente da anni!
    Questo, secondo me, è un passo significativo nel voler far entrare la birra nella tradizione italiana. Sono fiducioso

  13. Adriano Giulioni

    Sarò nostalgico e rurale ma spero che i produttori che resteranno faranno 300 hl l’anno. L’espansione di alcuni birrifici sembra far credere che il futuro sia solo una produzione “industriale” di birra, sarà cosi?

  14. Anche se a distanza di mesi dalla pubblicazione di questo articolo, vorrei dire la mia..
    Specialmente sul punto 2. E’ un pensiero un po’ contorto (soprattutto perché estemista, ma tanto vale considerare ogni prospettiva) ma proverò ad essere quanto più chiaro possibile.
    Sì, i birrifici italiani sono destinati a diminuire o al massimo a rimanere sullo stesso numero con diverse sostituzioni fra birrifici che chiudono e che aprono.
    Una cosa è certa secondo me, se mesi fa durante i miei studi sul settore mi ero quasi convinto che la stragrande maggioranza dei birrifici in apertura o già aperti nascano o siano nati da gente tendenzialmente appartenente alla categoria homebrewer/appassionati folli/tecnologi alimentari/chimici, (insomma, gente che sa quel di cui si parla, specialmente le ultime due categorie)
    ultimamente ho notato che anche in questo settore sono entrati quelli che mi piace definire affettuosamente ed ironicamente i Cavalieri, ovvero coloro che vogliono per l’appunto cavalcare seriamente l’onda del successo.
    La questione mi fa riflettere in questi termini: Ci possono essere coloro che pensano che la birra sia un prodotto tutto sommato semplice.. si buttano e se un prodotto è buono o meno si sentono “artigiani” e ricavandosi la loro clientela ristretta hanno la momentanea soddisfazione nel sentirsi artigiani. Faranno presto i conti con le loro tasche perché una cosa sul settore craft è sacrosanta: non vi è possibilità di perdono da parte del cliente. Se un prodotto non piace, anche se si migliora nel tempo, il consumatore secondo me non lo sceglierà nuovamente, magari mi sbaglio ma l’ho visto fare troppe volte.
    Ometto per semplicità di opinione in questa sede il fatto che alla base ci debba essere una campagna promozionale e marketing fatta a modino.

    Seconda cosa che può accadere secondo me è la seguente: il fenomeno Beer Firm legato a birrifici scarsamente motivati o guidati dai “cavalieri”. Con questo voglio dire che innanzitutto considero le beer firm che ordinano birra senza ricetta propria (accade tante tante volte) ma semplicemente prendono una birra già presente nella gamma del birrificio e ci mettono la propria etichetta. L’abbinamento è catastrofico per il settore in termini di cultura, informazione. Praticamente è in piccola scala quello che accade con la commercializzazione di prodotti a marchio coop, esselunga ecc ecc.
    Non trovo nè futuro nè soluzione a questa situazione, nel senso che, a ruota è una situazione che potrebbe potenzialmente prendere piede chiudendo ed aprendo birrifici e beer firm in continuazione. Birrifici che dalla loro magari non trovano da subito la quadratura del cerchio nell’impianto/processo/prodotto e pur di fare del fatturato si legano a Beer Firm disinteressate al prodotto stesso ma solo al marchio e in qualche modo riescono a piazzare il prodotto = un cane che si morde la coda.

    E se parallelamente a birrifici seri e motivati che tirano fuori prodotti buoni e costantemente buoni si stesse creando un ulteriore segmento di birrifici/beer firm che magari pur di lavorare e fare fatturato (ma non propriamente interessati alla birra artigianale) iniziano (o continuano) a produrre birre senza identità o carattere da svendere alla gdo o chicchessia puntando così solo alla quantità? Come si chiamerebbe questo segmento che di artigianale manterrebbe solo la non pastorizzazione e non filtrazione?

    Sì, ho estremizzato parecchio.. 🙂

  15. Anche io intervengo con un po di ritardo mentre sto aggiornando una ricerca sull’andamento della birra in Italia. Il 2015 sembra aver dimostrato che la birra ha saputo reggere ai tre sconsiderati aumenti delle accise che pesano ormai quasi il 50% del valore (e poi c’è l’iva con il solito effetto ingiusto delle tasse sulle tasse, mi viene una domanda ma se fatturassimo le accise a parte potremmo diminuire l’iva?) . in genere il consumo di alcolici è sceso ma la birra sembra genericamente stabile al 45% con un piccolo aumento dei consumatori abituali. E’ però misleading parlare genericamente di consumo di birra perchè il prodotto industriale e quello artigianale hanno scale di valori completamente opposte (es. “salutare”) . La birra artigianale sembra avvicinarsi al 3% del consumo totale e certe reazioni del tipo “10 luppoli” sembrano indicare che i grandi produttori non trascurano poi più tanto il fenomeno. La sfida è quella della total quality , cioè di produrre birra artigianale (sostanzialmente birra con ingredienti naturali di qualità etc …) ma con un approccio maggiormente professionale. In questo è importante il tema del peso della distribuzione edei costi troppo elevati dei cask che oltrettutto si buttano…

    • Uno crede di leggere un commento scritto in italiano, su un blog italiano, e poi, all’improvviso e a tradimento, si imbatte in espressioni assolutamente inutili come “misleading” e “total quality”.
      Ma vi sentite più fighi quando adoperate questi anglicismi del piffero? E’ più figo parlare di “stepchild adoption” anzichè di “adozione del figliastro”? Per favore, non continuate a mancare di rispetto alla lingua italiana. Grazie.

  16. Aritcolo davvero molto interessante, e sul cui dubbio di fondo ho avuto modo di riflettere nell’ultimo anno. Sono arrivato alla conclusione che, almeno al Sud, la birra artigianale non sia una moda, complice anche un certo ritardo che esiste nei confronti della cultura legata alla bevanda con il resto della penisola (già Roma è anni luce avanti rispetto a Napoli) e la curiosità genuina che il prodotto ha così suscitato. C’è tanta gente che si adopera – anche io, per quanto lo permettono le mie forze – perché la birra artigianale diventi parte della quotidianità e non sia visto come un prodotto alieno o di nicchia.
    Sono comunque d’accordo con la previsione di contrazione del mercato, almeno per quanto riguarda i microbirrifici. È legge di natura, i numeri non possono sempre crescere…

  17. Penso che il fatto che i microbirrifici tenderanno sempre più verso il basso sia scontato e difficilmente discutibile.
    Non trovo diverso esito alla questione, già negli scorsi mesi abbiamo visto come le mega multinazionali della birra hanno sviluppato interesse nell’acquistare le piccole aziende a suon di denari.
    Ciò immette sul mercato birra di qualità comunque discreta a prezzi molto più bassi della concorrenza, perchè mettiamola come vogliamo, ma all’Heineken produrre una schifosa birra che sa di cartone oppure una imperial ipa costa esattamente la stessa cifra.
    Ed è inutile discutere sul fatto che la qualità del microbirrificio sarà sempre migliore, perchè i soldi si fanno vendendo al cliente medio, non al degustatore professionista.

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