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Valutare un birrificio: quanto contano reperibilità e duttilità?

Sono passati alcuni giorni dai risultati di Birraio dell’anno e solo ora le polemiche stanno iniziando a scemare. Era però ampiamente prevedibile: i concorsi, e più in generale i riconoscimenti, attirano disquisizioni come pochi altri argomenti. E spesso risultano praticamente inutili, perché guidati semplicemente dai gusti e dalle preferenze di ognuno di noi; trovare un briciolo di obiettività è come cercare tracce di luppolo in una bottiglia di Heineken. Perciò a mio modo di vedere le soluzioni sono due: ignorare tutte le chiacchiere – esercizio che sto riuscendo ad attuare con sempre maggiore frequenza e soddisfazione – oppure individuare dal dibattito spunti di riflessione sufficientemente interessanti. La seconda strada è quella che vorrei provare ad attuare oggi.

Da quel poco che ho letto, la maggior parte delle polemiche si è concentrata non sul premio Birraio dell’anno, ma sulla categoria giovani emergenti. Come ho ricordato lunedì, a trionfare in questa particolare classifica è stato MC-77, che ha preceduto nell’ordine Argo e Hop Skin. Fuori dal podio sono rimasti Vento Forte e Birra Elvo, sui quali puntavano diversi appassionati. In particolare sul birrificio di Bracciano erano concentrate le aspettative di molti bevitori romani, che rappresentano un bacino importante nel panorama nazionale e che, a differenza dei consumatori di altre regioni d’Italia, hanno la possibilità di bere Vento Forte quasi quotidianamente. Quindi è facile immaginare la valanga di commenti che è seguita alla pubblicazione dei risultati e i motivi che, da una parte e dall’altra, sono stati avanzati per spiegare il piazzamento.

A tal proposito mi vorrei concentrare su un paio di concetti che sono stati chiamati in causa nella valutazione di un birrificio. La domanda è: quanto peso effettivo hanno sul giudizio finale?

Reperibilità

Secondo molti osservatori uno dei motivi che hanno penalizzato Vento Forte (e altri candidati a Birraio emergente) è l’assenza di una distribuzione capillare sul territorio nazionale. In base alle regole del concorso, gli esperti chiamati a scegliere i vincitori sono sparsi lungo tutto lo stivale, quindi è normale che l’impossibilità di bere con costanza un determinato produttore si ripercuote direttamente sulle sue possibilità di vittoria. Si potrebbe ribattere che un “esperto” dovrebbe conoscere tutti i birrifici italiani indipendentemente dalla loro reperibilità in una determinata zona, ma è ovvio che nessuno nell’arco dell’anno può bere tutte le birre prodotte in Italia dai quasi 1.000 microbirrifici attivi. Insomma, questo è il funzionamento di Birraio dell’anno e va preso per quello che è.

Un’altra obiezione potrebbe essere che un birraio non deve essere tenuto a distribuire la sua birra ovunque per poter essere apprezzato come tale. Ma ne siamo proprio sicuri? Far conoscere il proprio marchio richiede sacrifici e impegni ed è giusto che chi lavora meglio in questo senso abbia più possibilità di essere apprezzato. Così come trovare le giuste soluzioni commerciali è un punto a favore, che poi si ripercuote in iniziative come Birraio dell’anno.

Ma in questo ragionamento che sto portando avanti mentre scrivo c’è un’eccezione. Esistono situazioni in cui una distribuzione capillare del prodotto andrebbe contro la filosofia del birrificio. Ed è proprio il caso di realtà come Vento Forte, dove fondamentali sono i concetti di “freschezza”, “prossimità produttiva” e “distribuzione locale”. Andrea dell’Olmo ha scelto in maniera esplicita di distribuire le proprie birre in un territorio piuttosto circoscritto, affinché fosse garantita tutta la fragranza che ha reso famosa la sua produzione. Un discorso simile può essere fatto per tutti i brewpub giovani (e meno giovani), dove per definizione il mercato di riferimento rimane quello locale.

Quindi in alcune situazioni la reperibilità non deve essere considerata un valore aggiunto a priori, ma dipende dalla realtà che stiamo considerando. È chiaro però che il meccanismo di Birraio dell’anno non include questa valutazione e la reperibilità diventa un fattore di importanza decisiva.

Duttilità

Una delle spiegazioni più ricorrenti per il “deludente” piazzamento di Vento Forte è che le sue birre si concentrano su una singola tipologia di riferimento, che nel suo caso è rappresentata dagli stili moderni d’ispirazione americana. Premesso che Andrea in questi pochi anni si è cimentato anche con altri tipi di birra, è innegabile che quella citata è la sua specialità. Una specialità che però egli interpreta come pochi altri birrai in Italia e che lo ha reso giustamente famoso nell’ambiente, ma che non gli avrebbe permesso di emergere tra i giovani birrai italiani a causa di una presunta mancanza di duttilità.

Ma quanto è realmente importante questo aspetto? Se lo fosse davvero, non potremmo apprezzare un birrificio come Cantillon, che produce solo birre a fermentazione spontanea. E lo stesso varrebbe per realtà come Lost Abbey, Rodenbach e molti trappisti. A ben vedere anche la gamma dell’italiano Loverbeer, piazzatosi secondo a Birraio dell’anno tra i “grandi”, è fortemente caratterizzata in un solo senso. Certo, nel caso di Vento Forte ancora oggi potremmo domandarci se sarebbe in grado di brassare una buona Dubbel o una valida Blanche. Ma è fondamentale trovare risposta a questo dubbio per valutare un birraio?

A ben vedere però se sai eccellere in tipologie brassicole assai distanti tra loro meriti una considerazione ancora più forte. Sia chiaro, di casi ce ne sono pochissimi in tutto il mondo, quindi figuriamoci in Italia. Con un parallelismo ardito, potremmo chiederci nella musica quale artista sia in grado di destreggiarsi in egual misura con il rock, il jazz, la classica e l’elettronica. A me viene solo Frank Zappa 🙂 ma non per questo considero poco validi i Genesis o John Coltrane. Parentesi a parte, la duttilità è quindi un valore aggiunto fondamentale, che eleva un bravo produttore a genio assoluto. Ma che in sua assenza non sottodimensiona le qualità di un birraio.

Quali sono i vostri pensieri in riferimento ai due concetti presi in esame?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. Vabbè saliamo sul ring. Io penso che conti fare buona birra e con costanza. Sulla reperibilità sappiamo benissimo quante distorsioni crea, e questo si può allargare a tutto il settore agroalimentare, il trasporto della birra e le sue condizioni di stoccaggio. Io non biasimo chi sceglie di continuare a fare buona birra e magari non vuole scendere a compromessi con la distribuzione. Come diceva anche il buon Carlin “più che far girare il cibo, bisogna far girare le persone nei luoghi dove quei cibi vengono prodotti”. Il turismo birraio in Belgio in questo, almeno a me, mi ha insegnato moltissimo. Sulla duttilità invece mi sento dire che è un elemento che deve essere considerato perchè in effetti mostra la “maestria” del mastrobirraio o del birrificio nel suo complesso.

    • Concordo sicuramente con la costanza nel fare buona birra. Sulla reperibilità riterrei che bisognerebbe tener presente anche la tecnica brassicola del birraio. Mi spiego meglio. Può capitare che una distribuzione su larga scala, anche in bottiglia, possa penalizzare la qualità della birra prodotta secondo una certa tecnica. Altro elemento è la dimensione del birrificio. Un birrificio che ha una capacità produttiva annuale di oltre 5000 hl può avere sicuramente una penetrazione maggiore nel mercato. Non tenerne conto significherebbe penalizzare sempre realtà più piccole. Pertanto, sul piano della reperibilità farei dei distinguo. Concordo con Marco sulla duttilità che può essere sentore di polivalenza del birraio, anche se eccezioni ce ne sono, una per tutte Cantillon.

  2. La reperibilità in effetti pare fondamentale: se non sei conosciuto non puoi essere apprezzato e difficilmente ci si può distinguere in concorsi con ampia base di votazione. La duttilità invece mi sembra irrilevante: basta anche una sola birra fatta bene per rendere “grande” un birraio/birrificio. Prendiamo Mahr’s: l’unico prodotto di eccellenza è la Ungespundet (le altre birre oscillano tra il decente ed il gradevole ma non fanno gridare al miracolo): esiste qualcuno sano di mente che possa affermare che non sanno fare birre ? Altro discorso è se a prodotti eccellenti si affiancano produzioni discutibili, perché la presenza di “alti” e “bassi” incide necessariamente sulla valutazione complessiva.

  3. Intervengo anche qui visto che uno dei miei post credo sia tra quelli che ha scatenato un mare di polemiche…francamente evitabilissime. Io credo che in questo articolo hai spiegato benissimo la situazione, è normalissimo che la non reperibilità di Vento Forte incida sulle valutazioni dei giudici che non vivono a Roma, e questa è un’ottima motivazione del piazzamento. Stesso discorso per la duttilità del birraio, è ovvio che saper fare bene tanti stili diversi è un fattore determinante nella valutazione di un birraio, anche se in questo caso Andrea di stili ne fa diversi, e li fa bene, cargo ,loner e farmhouse ne sono esempi più che evidenti.
    Quindi secondo me non c’è assolutamente niente di male se le votazioni di Birraio dell’anno hanno portato a questa classifica, l’unico vero dato sicuro, oggettivo e reale è che i 5 concorrenti in gara come birrai emergenti, rappresentano nuove leve birrarie di altissimo livello, MC77 in particolar modo!!! (Ci tenevo a precisare questa cosa visto che c’è gente che pensa che parlare di Vento Forte vuol dire screditare gli altri, non c’è niente di più falso!)
    Detto questo, la mia opinione personale sui concorsi in generale, è che molto dipende dalla modalità di voto. Credo che le grandi lamentele “romane” siano frutto dell’ignoranza totale della gente sulle modalità del concorso… è scontato che se su 40 giudici 5 sono di Roma (dico 5 a caso perchè non ho idea di quanti potessero essere romani) … un birrificio che distribuisce solo a Roma non potrà mai vincere sto concorso e nessuno potrebbe mai aspettarsi il contrario… e aggiungo che sarebbe anche giustissimo così.
    Infine l’ultima mia considerazione riguarda la soggettività del voto dei giudici, è una cosa normalissima e non c’è assolutamente niente di male, ma è ovvio che in un concorso che prende in considerazione tutte insieme tutte le tipologie di birra esistenti… il gusto personale dei giudici incide per forza sul voto… un giudice appassionato di basse farà sempre fatica a votare un Brewfist birraio dell’anno… un appassionato delle luppolate farà fatica a votare un Birrone come birraio dell’anno… e così via… però sta cosa non deve essere vista come un’accusa ai giudici… secondo me è una cosa normalissima che andrebbe accettata sia dai giudici che dalla gente.

    • Giusta precisazione su MC77, perché certe polemiche sembrano quasi offuscare il loro grandissimo risultato. Ma il lavoro di Cecilia e Matteo è eccezionale e personalmente lo sostengo da tempi non sospetti

  4. Complimenti a chi ha fatto la foto…. Fa molto Birretta da Volpedo….. 😉

  5. Ciao,
    sul discorso reperibilità sono daccordo ed aggiungo questo:
    se distribuire in modo capillare le proprie produzioni può portare a ritrovarsi sul mercato con birre non in formissima perchè magari tra trasposto, stoccaggio ecc. si possono deteriorare, non farlo significa in un certo qual modo godere di un vantaggio nel giudizio delle proprie produzioni. Nel senso che sarà più probabile trovare una birra non in forma di un birrificio che da Roma distribuisce anche ad Udine piuttosto che di uno che distribuisce solo nel Lazio.

    mentre sulla dittulità dico questo:
    Un conto è essere Cantillon ed esserlo da anni, così come essere Loverbeer che da qualche anno produce birre sour / acide che solo nell’ultimo anno e mezzo stanno prendendo piede.
    Un conto è avere come cavallo di battaglia birre ti stampo americano, che nell’ultimo decennio ha brassato praticamente chiunque, in birrificio come a casa. Penso che anche questo abbia penalizzato Vento Forte.

    Ciao

    Carlo

  6. Sulla reperibilità mi chiedo se non sia possibile rispettare la catena del freddo anche con le birre.. credo che Birrone già lo faccia. (Mi piace anche l’idea di CRAK di dimezzare la shelf life di alcune birre in bottiglia a 6 mesi, e di indicare la data di infustamento per i fusti). Forse le distribuzioni non sono ancora pronte?
    Sulla duttilià mi viene in mente una massima imparata a kung fu: non temere chi conosce mille tecniche, ma chi ha allenato una tecnica mille volte!

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