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Le 5 mosse dell’industria contro la birra craft, un anno dopo

Foto: Time

Circa un anno fa pubblicai un post che elencava le 5 mosse con cui l’industria stava cercando di affossare la birra artigianale. Il pezzo prendeva spunto da un analogo articolo del Time, integrandolo con considerazioni personali e con quanto stava accadendo nel mercato italiano. Da allora le notizie sulla guerra tra craft e multinazionali si sono moltiplicate rapidamente e ormai siamo costretti a tornare sull’argomento con frequenza costante. L’evoluzione del fenomeno è rapida, aspetto che lo rende decisamente inquietante per tutti coloro che amano la birra artigianale e che l’hanno vista crescere in questi anni. L’idea quindi è di riprendere in mano le 5 strategie raccontate all’epoca per capire se si stanno realmente concretizzando e in che modo. E se nel frattempo se ne sono aggiunte altre.

Creare dei brand pseudo-artigianali

Come da copione, la tendenza a lanciare sul mercato prodotti crafty (cioè industriali camuffati da artigianali) non si è affatto arrestata, anzi è cresciuta costantemente. All’epoca c’eravamo lasciati con le “n” Luppoli di Poretti, con le Regionali di Moretti, con le Porter di Guinness e altri esempi. Negli ultimi mesi abbiamo dovuto aggiungere diverse altre fattispecie, alcune delle quali dal peso specifico importante: impossibile non citare la H41 di Heineken o la più recente Re-brew di Carslberg, ma non possiamo tralasciare neanche le Norden di Ceres o le speciali Grani Antichi e Lunga Maturazione di Moretti. Il trend ha riguardato anche marchi meno mainstream, come Warsteiner (con la sua Double Hopped) o Leffe (la linea Royale, con una birra dedicata a un luppolo particolare).

In questi mesi il linguaggio delle crafty si è affinato e il caso più lampante è rappresentato da Heineken e Carlsberg. Nelle loro produzioni (rispettivamente H41 e Re-brew) il focus è clamorosamente puntato sul lievito, mentre a livello estetico il packaging ha ormai assorbito regole e consuetudini efficaci: aspetto vintage, firma del birraio in etichetta, suggestioni legate a (presunte) tradizioni. Le multinazionali non si limitano più a creare un prodotto e lanciarlo sul mercato cercando di confondere le acque, bensì costruiscono storie affascinanti dietro le loro birre. Nel caso di H41 il racconto ruota attorno all’impiego di un raro lievito della Patagonia, Re-brew invece nasce (sempre grazie al lievito) per riproporre l’antica ricetta delle prime Lager del birrificio. In tutto ciò si cerca il coinvolgimento di esperti del settore, al fine di avvalorarsi anche presso la comunità degli appassionati.

Acquisire il controllo dei birrifici craft

Beh, è quasi inutile sottolineare che nel corso degli ultimi 12 mesi l’Italia è stata protagonista di una delle acquisizioni più eclatanti di sempre: il passaggio del 100% di Birra del Borgo nelle mani di AB-Inbev. Una novità per il nostro movimento, ma che è ormai diventata una triste consuetudine nei maggiori mercati di birra artigianale. È inutile riassumere per l’ennesima volta tutti i birrifici internazionali coinvolti in questo fenomeno, semmai è più interessante capire come il controllo di una multinazionale possa trasformare (in negativo) la vita di un importante marchio craft: a tal proposito vi consiglio di leggere un recente post sul caso Ballast Point.

Chiaramente l’acquisizione da parte dell’industria non sempre comporta problemi così evidenti, tuttavia le grandi aspettative che – sinceramente o meno – accompagnano tali operazioni, spesso di sgonfiano con il passare del tempo. Un recente post apparso sul blog di Modern Times, birrificio californiano molta in voga al momento, si concentra su cosa significa vendere a una multinazionale. E la conclusione è netta e sprezzante, anche se difficilmente controvertibile:

Questa è la verità: vendere a un birrificio industriale è il modo più facile e veloce per convertire le proprie quote societarie in denaro sonante. È l’unica vera ragione per vendere alle multinazionali. Tutte le altre motivazioni sono solo grandissime stronzate.

Controllare la distribuzione

Come spiegato un anno fa, questa tattica è molto meno appariscente della precedente, ma probabilmente più strategica e sicuramente più pericolosa. L’obiettivo delle multinazionali sembra chiara: penetrare con i loro prodotti crafty canali non ancora completamente esplorati dalla birra artigianale, posizionando le proprie birre a prezzi decisamente concorrenziali. In altre parole spingere il concetto di qualità – o presunta tale – fuori dai “soliti circoli” e renderla il più possibile accessibile a tutti. Saturare quindi determinati canali, che a quel punto diventano impossibili da percorrere per piccoli birrifici artigianali.

Parallelamente, le mosse delle multinazionali sembrano orientate a creare concorrenza anche in canali storicamente dominati dai microbirrifici. Proprio AB-Inbev sembra puntare forte in questa direzione e gli indizi arrivano proprio dal nostro mercato: è di qualche settimana fa l’apertura della splendida tap room di Birra del Borgo, che segue una strategia ben precisa del colosso belga per i suoi marchi craft; risale invece a un paio di giorni fa l’indiscrezione che vorrebbe la stessa AB-Inbev impegnata ad acquisire il ristorante Romeo di Roma per trasformarlo in un locale di Birra del Borgo. Staremo a vedere, ma l’impressione è che l’industria voglia allungare i propri tentacoli in ogni direzione.

Fondersi per controllare il mercato

Che questa sia una strategia ben precisa è fuori di dubbio, ma che sia finalizzata a controllare il mercato craft (o quantomeno ad anticiparne le future mosse) è una tesi che appare abbastanza debole. Anche perché le decisioni dell’antitrust lasciano poco spazio a questa ipotesi: è di oggi la conferma del passaggio di Peroni ad Asahi, ma è sui marchi Premium che si gioca gran parte della partita. Un nome su tutti? Pilsner Urquell, che può essere un ottimo grimaldello per scardinare certi mercati ma che è stata forzatamente esclusa dalla fusione tra AB-Inbev e Sab Miller.

Difendere la birra industriale ironizzando sui consumatori di quella craft

Questa strategia non si è concretizzata realmente e all’epoca fu suggerita più dal vespaio di polemiche sollevato dall’unico caso evidente – lo spot di Budweiser durante il Super Bowl del 2015 – che da una tendenza reale. È vero che Budweiser ha concesso il bis all’ultimo Super Bowl, ma non si sono registrate altre fattispecie analoghe. Quindi eliminerei questa strategia dall’elenco, mentre sarei per aggiungere un’altra, ben più pericolosa…

Creare una comunità parallela

Una delle notizie più disturbanti degli ultimi giorni è stata pubblicata su All About Beer e parla della creazione di Agora. Di cosa si tratta? Fondamentalmente di una comunità alla quale aderiscono circa 30 birrifici craft di proprietà di AB Inbev e che ha come obiettivi lo scambio di know how e un accesso facilitato alle materie prime. La prima uscita ufficiosa si è tenuta durante il recente I Giorni dell’Ipa, l’evento organizzato da Birra del Borgo all’inizio di ottobre, che per la prima volta presentava molti birrifici totalmente inediti rispetto al passato.

Perché questa notizia mi sembra inquietante? Fondamentalmente perché è l’ennesima invasione dell’industria in contesti tipici da birra artigianale. Premesso che è perfettamente lecito, il finanziamento dello scambio di informazioni e dell’accesso facilitato alle materie prime – pensiamo a determinate varietà di luppolo – è un modo per rafforzarsi nei confronti della concorrenza, cioè della comunità craft. In un mercato ormai pieno di attori, ottenere certi vantaggi permette di raggiungere una posizione dominante rispetto ai competitor. Senza considerare le possibili evoluzioni di un progetto come Agora: ad esempio ci vuole poco a immaginare un giorno un grande festival birrario (magari a Roma) dove i birrifici partecipanti sono solo marchi della stessa multinazionale.

Dopo un anno la situazione sembra peggiorata sensibilmente. Che ne pensate?

 

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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6 Commenti

  1. “ad esempio ci vuole poco a immaginare un giorno un grande festival birrario (magari a Roma) dove i birrifici partecipanti sono solo marchi della stessa multinazionale”

    ho già visto questo in Brasile, Ambev creando festival della birra ad-hoc, e Kirin provando a piegare quelli storicamente artigianali

    • Magari lo organizzassero ! mi accamperei fuori dai cancelli se mi proponessero un festival con Birra del Borgo, Goose Island (giusto ieri ho bevuto una Matilda portata da Chicago… MAGNIFICA), Blue Point, 10 Barrel, Elysian, Golden Road, Breckenridge, Four Peak’s e Devil’s Backbone.

  2. il link di scatti di gusto (ristorante Romeo), non funziona…

  3. Aggiungerei anche l’acquisizione di Northern Brewer e Midwest Supplies (2 dei maggiori negozi americani che vendono materiale per homebrewing) da parte di AB InBev…

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