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Come se fosse un Gin tonic: l’ascesa delle birre ispirate a cocktail, liquori e long drink

Il settore della birra (artigianale) e quello della mixology non sono mai riusciti a convolare pienamente a nozze. Continuando a sfruttare metafore perfette per San Valentino, possiamo affermare per lungo tempo il mondo dei cocktail ha tentato di sedurre quello birrario, senza mai fare breccia nel cuore dei suoi appassionati: questi ultimi hanno continuato a guardare con sospetto qualsiasi miscelato alla birra, anche quando i presupposti puntavano alla massima qualità. L’idea di combinare una bevanda “bell’e pronta” con altri alcolici e ingredienti è ovviamente difficile da accettare, nonostante miscugli vari siano abbondantemente diffusi anche in culture birrarie secolari – pensiamo alla Radler in Germania. E sebbene negli ultimi anni qualche apertura si sia avvertita, soprattutto negli Stati Uniti, l’incontro tra birra e cocktail rimane un tabù difficilmente superabile. O quantomeno è rimasto tale finché è stato considerato solo in una direzione: è proprio nel momento in cui sono stati invertiti i fattori che abbiamo iniziato ad assistere a un curioso fenomeno di convergenza.

Per chiarire il concetto, è tutto riassumibile col vecchio adagio “Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”. Infatti, dopo che per diversi anni la cultura della mixology ha inutilmente cercato di attrarre il mondo della birra, sono stati i birrai a iniziare a brassare le loro birre ispirandosi ai cocktail più famosi. In che modo? Ricorrendo a ingredienti, spezie e affinamenti che conferiscono alla birra suggestioni gustative tipiche di alcuni precisi miscelati. Sembra assurdo ma è proprio così: dai primi casi isolati l’idea si è diffusa a macchia d’olio, tanto che oggi possiamo parlare di un vero e proprio fenomeno, in crescita in tutto il movimento internazionale della birra artigianale. Alla base di questa tendenza ci sono diversi fattori, al punto che considerarla una semplice moda passeggera è sempre più difficile. L’impressione è che nei prossimi mesi gli esempi aumenteranno, anche in Italia.

A occuparsi recentemente della questione è stato Josh Noel, che in un articolo apparso sul Chicago Tribune ha fatto il punto della situazione:

Con decisa passione, sia birrifici grandi che piccoli hanno tratto ispirazione dall’ampio mondo dei cocktail e dei liquori, per sviluppare alcune delle birre più coraggiose e divertenti che si possono oggi trovare alla spina e in bottiglia.

Come racconta Noel, gli esempi in America sono innumerevoli e in questa sede possiamo solo citarne alcuni. La scorsa estate Boulevard Brewing ha lanciato la sua Rye-on-Rye X Sazerac, una birra alla segale maturata in botti di Rye Whisky e realizzata con spezie che ricordano l’amaro e il delicato agrumato dello storico cocktail di New Orleans (il Sazerac, per l’appunto). Il californiano Anderson Valley ha invece prodotto una Gose con lemon grass, bucca di limone, ginepro e grani del paradiso per evocare l’intramontabile Gin tonic. Cahoots Brewery, invece, ha creato una Brown Ale con zest di lime, zenzero, spezie e invecchiata in botti di Rum per omaggiare il Dark and Stormy.

Il caso più eclatante è quello di Pipeworks Brewing, birrificio che è arrivato addirittura a progettare un’intera linea ispirata al mondo della mixology: si passa dalla Hey, Careful Man, There’s a Beverage Here!, una “Imperial White Russian Stout” realizzata con cacao, caffè e vaniglia e modellata sulla ricetta del White Russian – a voi trovare la citazione nel nome – alla Brown & Stirred, una Strong Ale alla segale brassata con ciliege e spezie e “dedicata” al Manhattan. Ma sempre nella stessa linea di Pipeworks troviamo birre che cercano di riproporre il gusto del Gin tonic, della Margarita e del Sazerac.

Altro caso limite è rappresentato dalla Fernetic, una Black Ale prodotta in collaborazione tra Forbidden Root e l’italiana Branca che cerca di riproporre le caratteristiche organolettiche del famoso amaro Fernet Branca. La ricetta prevede l’impiego di oltre 20 tra erbe e spezie (il Fernet ne usa 27) e un affinamento di tre settimane con cubi di quercia ungherese. Non siamo più nel mondo dei cocktail, ma il concetto è lo stesso.

E in Italia? Chiaramente i nostri birrifici non sono da meno, sebbene gli esempi si contino ancora sulle dita di una mano. Uno dei primi – se non il primo assoluto – è rappresentato dalla Égocentrique di Extraomnes, aromatizzata con zenzero e maturata in un quarter cask di Laphroaig. Il lancio di questa birra risale a metà del 2015 e il modello di riferimento per la ricetta è una variante dell’Highball, long drink che prevede whisky e ginger beer. A distanza di qualche mese arrivò la Kicking Mule di Toccalmatto, una Saison sui generis brassata con l’aggiunta di zenzero fresco, lime, cetrioli e un mix di erbe e spezie. Come forse avrete capito, la musa ispiratrice di questa eccentrica produzione è il rinfrescante Moscow MulePiù recente è la Calandrina di Hilltop, una Saison luppolata perfetta per i mesi caldi, realizzata con bacche di ginepro e bucce di limone per creare un parallelo con il Gin tonic.

Da cosa deriva questo improvviso interesse dei birrai per il mondo dei miscelati? Spesso da una loro passione per altri universi alcolici: ho sempre pensato che un buon birraio è un birraio ubriacone 🙂 quindi è normale che tanto allenamento crei delle “deformazioni professionali parallele”. Sembra un presupposto ridicolo, ma lo è fino a un certo punto: queste birre sono spesso considerate un gioco, un divertissement ideato per creare un diversivo nella propria proposta birraria – e magari incrociare nuovi consumatori.

Tuttavia la spiegazione non può esaurirsi con questioni puramente ludiche. Una dichiarazione di Edoardo Branca relativa alla nascita della già citata Fernetic offre una chiave di lettura piuttosto condivisibile (a quanto pare è anche un appassionato di birra):

Negli ultimi 10 – 15 anni il concetto di birra è cambiato parecchio, così come i suoi consumatori. Al giorno d’oggi chiedono più aromi e complessità e sono più interessati a qualcosa del genere (un prodotto come la Fernetic ndR).

In effetti il “boost” aromatico garantito da produzioni del genere non è molto distante da altre tendenze in ascesa nel movimento internazionale della birra artigianale, in primis quello delle (Grape)Fruit Ipa. Sembra quasi che il consumatore non abbia più la pazienza o la voglia di trovare soddisfazione nell’eleganza e nella semplicità, ammesso che l’abbia mai avuta, ricercandola invece nelle sensazioni forti anche quando ottenute con “elementi estranei” – intendo cioè aromatizzazioni più o meno spinte. Qualcosa di simile a quanto accaduto con l’amaro fino a qualche anno fa.

Tuttavia, come ricorda Kate Brankin, birraio di Pipeworks Brewing, queste birre non sono solo divertenti e ironiche, perché richiedono il rispetto di due aspetti chiave nella produzione brassicola: sperimentazione ed equilibrio. E a noi non rimane che sperare che l’intero fenomeno si sviluppi tenendo a mente entrambi i concetti, ovviamente intesi nella maniera più positiva possibile.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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3 Commenti

  1. Dico solo che ‘ste birre si lasciano preferire di gran lunga alle birre-dessert di Omnipollo!
    La Fernetic mi intriga parecchio e spero che qualche birrificio pugliese prima o poi faccia una birra ispirata al mio adorato “Padre Peppe”, il famoso nocino prodotto ad Altamura 😀

  2. Segnalo che questa tendenza ha visto il Birrificio San Paolo in sperimentazione da circa due anni con il Beermuth, versione tutta torinese DOC del Vermuth con mix (segreto 😉 di erbe e spezie… in affinamento…

  3. Sì la Fernetic intriga molto… e debbo dire che se la tradizione italica degli amari e distillati si sposasse con le birre potrebbero venir fuori cose molto interessanti (ed anche rompicapi per l’agenzia dell’entrate per che codici taric assegnare :)))). Beermuth non l’ho provata ma da appassionato di vermuth mi intriga… sai dirmi se su Roma ci sono punti vendita dove trovarla?

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