Poco piĆ¹ di una decina di giorni fa ho pubblicato su queste pagine la recensione della Guida alle Birre d’Italia di Slow Food, sottolineando il meritevole tentativo di veicolare, per ogni birrificio, una mole considerevole di dati. Oltre alla storia dell’azienda e alle descrizione dei prodotti, infatti, ciascuna scheda riporta anche alcune informazioni di contorno, molto preziose. Una novitĆ dell’ultima edizione ĆØ rappresentata da quelle relative alle tecniche di produzione e all’assetto societario, ma personalmente trovo assai interessanti le statistiche relative alla produzione annua di ogni birrificio e alle dimensioni della propria cantina e della propria sala cotte. Chiaramente non sono numeri autorevoli al 100%, ma ci permettono comunque di giungere ad alcune conclusioni circa le caratteristiche del mercato italiano della birra artigianale.
Ad esempio puĆ² essere significativo stilare una classifica dei birrifici craft italiani in base alle dimensioni della sala cotte, che corrispondo al potenziale produttivo dell’azienda. Scopriamo cosƬ che in 13 casi la capacitĆ ĆØ pari o superiore a 40 hl. Ecco l’elenco in ordine decrescente:
- Amarcord: 100 hl
- Birrone: 60 hl
- Baladin: 50 hl
- Birra Salento: 50 hl
- Crak: 50 hl
- Toccalmatto: 50 hl
- Tenute Collesi: 40 hl
- Lambrate: 40 hl
- Fabbrica Birra Trentina: 40 hl
- Zahre: 40 hl
- Vetra: 40 hl
- Val Rendena: 40 hl
A parte Birra Salento con il suo nuovissimo impianto (inaugurato circa un anno fa), parliamo di aziende concentrate nella parte centro-settentrionale della nostra nazione. A livello di data di nascita l’elenco ĆØ piuttosto eterogeneo: abbiamo pionieri come Amarcord, Baladin e Lambrate (1996), ma anche realtĆ con pochissimi anni sulle spalle come Crak e Val Rendena (2012) o addirittura Vetra (2016). Quest’ultimo dato dimostra ancora una volta come il settore stia diventando ogni giorno piĆ¹ competitivo e con quale potenziale spesso entrino sul mercato i nuovi attori. Abbiamo infatti citato solo i birrifici con una sala cotte da almeno 40 hl, ma ce ne sono altri giovanissimi corazzati quasi allo stesso livello: Hammer (25 hl), Canediguerra (25 hl), Ritual Lab (24 hl) e altri.
Non sempre perĆ² la produzione annua ĆØ proporzionale alle dimensioni della sala cotte, perciĆ² ĆØ interessante anche stilare la classifica dei birrifici secondo questo parametro. Che – ricordiamolo sempre – ĆØ uno dei tre criteri su cui si basa la legge italiana sulla birra artigianale, fissando il tetto a 200.000 hl annui. Abbiamo considerato solo le aziende con una produzione pari o superiore ai 5.000 hl. Eccole di seguito:
- Amarcord: 40.000 hl
- Baladin: 25.000 hl
- Birra Salento: 15.000 hl
- Tenute Collesi: 13.000 hl
- Flea: 11.000 hl
- Lambrate: 8.200 hl
- Birrificio Italiano: 7.500 hl
- Elav: 6.000 hl
- San Gabriel: 6.000 hl
- Fabbrica Birra Trentina: 5.200 hl
- Crak: 5.000 hl
A parte le primissime posizioni, potete notare come le differenze con la precedente graduatoria non siano poche. Flea ad esempio supera i 10.000 hl annui con un impianto da “soli” 24 hl, mentre non distanti si piazzano Birrificio Italiano (7.500 hl con una sala cotte da 25 hl) ed Elav (6.000 hl con una sala cotte da 20 hl, tra l’altro ampliata solo in tempi relativamente recenti). Tra i produttori con una sala cotte da 50 hl o piĆ¹, alcuni hanno mantenuto posizioni analoghe anche in questa classifica (Amarcord, Baladin e Birra Salento), mentre altri risultano ben lontani: Crak ĆØ all’undicesimo posto per produzione, mentre addirittura non entrano in graduatoria Birrone (3.500 hl annui) e Toccalmatto (4.000 hl annui, ma presumibilmente destinati ad aumentare grazie al recente accordo con Caulier).
E quali sono i numeri dei birrifici non piĆ¹ considerabili artigianali? Come saprete la guida di Slow Food li raggruppa in una sezione a parte, riportando perĆ² gli stessi dati. Ecco le cifre dei cinque produttori che negli ultimi anni sono passati al nemico š partendo dalla dimensione della sala cotte:
- Birra del Borgo: 60 hl
- Birrificio del Ducato: 60 hl
- Birradamare: 25 hl
- Birrificio Antoniano: 20 hl
- Hibu: 20 hl
Di seguito invece gli stessi birrifici ordinati per produzione annua:
- Birra del Borgo: 15.000 hl
- Birrificio Antoniano: 15.000 hl
- Birrificio del Ducato: 6.500 hl
- Hibu: 6.000 hl
- Birradamare: 4.000 hl
Come potete notare in molti casi i numeri sono inferiori (talvolta anche di molto) rispetto ai birrifici artigianali. Queste aziende infatti non possono essere considerate craft non perchƩ hanno una produzione particolarmente grande, ma perchƩ non rispettano tutti i criteri della legge italiana in materia: Birrificio Antoniano ricorre a tecniche industriali (pastorizzazione e/o microfiltrazione), mentre gli altri quattro sono passati sotto il controllo delle multinazionali.
Nel complesso i dati mostrano un mercato in costante ascesa, seppur con numeri molto piĆ¹ contenuti rispetto ad altre realtĆ dove la crescita imprenditoriale ĆØ favorita da diversi fattori. I birrifici artigianali menzionati in queste pagine possono essere divisi in due grandi famiglie: quelli operanti in una nicchia di mercato costituita soprattutto da appassionati e quelli che invece si rivolgono a canali piĆ¹ ampi, non ultima la grande distribuzione. Ć chiaro che i primi sono chiamati ad affrontare la sfida piĆ¹ grande, perchĆ© il loro bacino di consumatori ĆØ decisamente piĆ¹ circoscritto e molto piĆ¹ sensibile alle fluttuazioni del mercato e alle mode del momento. La speranza ĆØ che il settore cresca parallelamente in tutti gli altri aspetti, cosƬ da permettere a tali progetti di operare con relativa tranquillitĆ .
ma vogliamo ancora considerare Amarcord ancora un birrifio artigianale?
Diciamo “artigianale con riserva”? L’unico dubbio ĆØ circa le tecniche produttive impiegate, che al momento dovrebbero anche essere oggetto di indagine della magistratura. Comunque la guida di Slow Food lo mette tra i birrifici artigianali
Qui ci andrebbe fatta una bella infografica da appendere per un po’
Eh sƬ, sarebbe perfetta!
ps: ma amarcord ĆØ artigianale? non pastorizzava e filtrava?
Ho risposto piĆ¹ sotto
Rispondendo a Gigius, non cadiamo nella trappola del non filtrato, la legge parla di microfiltrato e su questo possiamo aprire un capitolo molto fumoso, ma che rispecchia il,solito modo di fare le leggi in Italia.
Qualcuno ĆØ per caso in grado di darmi “per certo” cosa si intende per microfiltrazione? (In micron)
Per microfiltrazione si intende il 3 stadio di filtrazione. Si procede con chiarificazione con farina fossile (terra diatomacea), secondo stadio, ovvero chiarificazione fine, con cellulosa ed a volte cellulosa + farina fossile e terzo stadio con microfiltrazione impiegando cartucce in polpropilene o nylon, spesso suddivisa a sua volta in diversi stadi, cioĆØ con diverse cartucce poste in serie negli housings, con grado di filtrazione crescente, quindi con fori sempre piĆ¹ piccoli, per ottenere un grado di filtrazione maggiore scongiurando l’intasamento. Che poi questa, come la pastorizzazione, sia una discriminante per definire una birra artigianale o meno ĆØ semplicemente scandaloso.
Grazie Italo per aver rispolverato le mie conoscenze in materia, condivido anche il tuo commento finale e l’aggettivo che usi calza, ma la mia domanda ĆØ piĆ¹ tecnica e nessuno ha saputo rispondermi (perche la risposta non esiste)
Ripongo la questione, dato che uno dei requisiti per essere definita artigianale ĆØ il non dover essere “microfiltrata” quale sarebbe la misura del filtro oltre il quale non si deve andare ? Ad oggi mi ĆØ stao risposto (da produttori) 0,4. 0,5. , ma nessuno e nemmeno la legge, ĆØ chiaro in proposito..
Alcune industrie microfilftrano a 0,32 , se nel procedimento la variante ĆØ solo il diametro dei fori il tutto diventa ridicolo
PerchƩ la variante dei fori sarebbe ridicola?
Infatti ĆØ ridicolo che si parli di microfilterazione, quando la stessa comporta il fatto che due stadi di filtrazione, siano giĆ stati comunque eseguiti. Oltretutto la microfiltrazione se non seguita da successiva pastorizzazione, serve piĆ¹ o meno a nulla. Se poi pensiamo che la legge non cita minimamente le diluizioni, abbiamo completato il quadro d’incopetenza di chi l’ha redatta. Ma in Italia siamo ormai abbituati a queste cose, anche se mai rassegnati.
Ho lavorato per 15 anni nel settore filtrazione. Poi dal 2002 faccio sale cottura.
Non entro nel merito delle legge che non conosco approfonditamente.
Ma non ĆØ affatto vero che la filtrazione senza pastorizzazione non serve.
Parlando di Pils tedesche di medi birrifici si fa spesso la filtrazione a tre stadi con uscita 0.4 “sterile”.
Certo i filtri vanno dimensionati bene (in italia si filtra…finchĆØ passa…i fatti passa tutto…ci sono portate specifiche e DP da rispettare rigorosamente….).
Se ben fatta e egualmente ben lavata la linea si ottiene un otyimo risultato.
Ripeto non parlo della legge ma di una filtrazione sterile.
Un buon risultato finalizzato a cosa? Forse ad avere una birra piĆ¹ limpida. Io mi riferivo all’aumento della shelf life. Togliere il lievito o diminuirlo di parecchio, non aiuta la conservabilitĆ . A questo mi riferivo.
Una Pils se non pastorizzata va mantenuta sotto la catena del freddo, sia filtrata, sia non.
Poi ĆØ chiaro che togliendo la maggior parte del lievito si rallenta il processo di maturazione e si evita di raggiungere il picco della stessa e di entrare nella fase discendente della curva di stabilizzazione, ma parliamo di conservazione superiore ai 12 mesi, sotto refrigerazione.
Credo che Mauro Ricci si riferisca ai microorganismi non al lievito. Dai 40 micron in giĆŗ stai tenendo fuori la stragrande maggioranza dei microorganismi ( e si, di conseguenza pure il lievito).Poi ti rimane il problema dei composti fenolici che ti arrivano dal luppolo etc.. La catena del freddo Ć© e sarĆ” sempre il metodo migliore (googola qualcosa di Charlie Bamfort,lui Ć© un esperto in materia!).
40 micron, nel mondo microbiologico ĆØ un’enormitĆ ..corrisponde a 100 volte le dimensioni di un lievito…caro cooper ĆØ come se tu anzichĆØ essere alto 1.80m (faccio per dire) fossi alto 180 m…ce ne corre. ma poi la catena del freddo ĆØ il miglior metodo per cosa? Per Italo: sinceramente non ho capito la supercazzola della curva di maturazione immagino che la microbiologia sia a te poco nota, ma proprio poco…
Penso che Italo si riferisse alla descrizione della maturazione tramite una curva. Dove l’andamento della maturazione ĆØ in salita per un certo periodo, durante il quale la birra migliora, matura appunto, fino a toccare l’apice, dopodichĆ© inevitabilmente scende e la birra comincia a peggiorare. PiĆ¹ si rallenta il processo e piĆ¹ si posdata il raggiungimento dell’apice e conseguentemente la discesa. Non la definirei certo una supercazzola ĆØ nella normalitĆ delle cose.
Mi permetto di dissentire,nei manuali su cui ho studiato io parlano di “sterile beer” e “yeast free beer” con filtri da 0.45 Āµ (Paul Buttrick – Beer Dimensions). Il sistema crossflow garantisce (almeno sulla carta) birra “sterile” con dimensioni dei pori da 0,45. Poi perfino se gugoli ti dice che le cellule del Cerevisiae arrivano ai 10 Āµ ,non capisco i 180 metri! Comunque le cellule crescono in dimensione durante la fermentazione (cosĆ mi hanno detto ) e qualcosa la dice pure qui ://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC218410/ ,ergo le dimensioni del filtro.Qualcosa pure qui https://beerandbrewing.com/dictionary/dbmo7NxF7k/sterile-filtration/.
Per la catena del freddo mi riferivo al controllo dei processi degenerativi tipo torbiditĆ” o formazione di off-flavours, che ovviamente (come diceva Arrhenius) rallentano a bassa temperatura.
Poi mi posso sbagliare sia chiaro, mi baso su roba che ho studiato e su cui ho passato degli esami.
Errore di battitura solo ora ho notato, era chiaramente 0.40 Āµ .
Amarcord non puĆ² essere classificata artigianale. Lasciando stare la microfiltrazione, storicamente pastorizzano …
manca mastri birrai umbri….uno dei piĆ¹ grossi se non il piĆ¹ grosso impianto artigianale d’Italia…
Eh sƬ, la guida non lo cita minimamente