Come vi ho dettagliatamente raccontato un paio di settimane fa, recentemente ho avuto il piacere di partecipare alla degustazione delle birre di Klanbarrique a Milano, alla quale ha partecipato anche Agostino Arioli del Birrificio Italiano. Per chi non lo sapesse, Klanbarrique è il marchio di un progetto parallelo del produttore lombardo, incentrato sugli affinamenti in legno e sull’incontro tra il mondo della birra e quello del vino. Si puĂ² a ragione inserire nella fattispecie delle cantine brassicole: realtĂ dove non si produce birra, ma ci si dedica all’affinamento del mosto in botti e barrique, ricorrendo talvolta a qualche ingrediente aggiuntivo. Assistere a un evento con Arioli è sempre interessante, perchĂ© non mancano mai gli spunti di riflessione: così parlando della sua Wildekind ha tenuto a sottolineare che la contaminazione con Brettanomyces è totalmente naturale. Cosa ha voluto intendere? E perchĂ© questo dettaglio puĂ² rappresentare il grande tema del settore per i prossimi anni?
Per spiegarlo è opportuno partire dalle caratteristiche della birra. La Wildekind è una Farmhouse Ale, cioè appartenente allo stile brassicolo legato alle fattorie: creazioni “selvagge” in cui entrano in gioco lieviti e microrganismi non convenzionali. Tra questi ultimi ricoprono un ruolo di primo piano diverse specie di Brettanomyces, che forniscono al ventaglio aromatico note piĂ¹ o meno incisive di frutta, terra, spezie, affumicato, pollaio, fieno umido, ecc. Nella Wildekind la contaminazione con questi funghi (Brettanomyces Bruxellensis) avviene grazie alla lunga maturazione in botti di vino rosso: la birra è inizialmente prodotta con normale Saccharomyces, salvo subire questa invasione di microrganismi non ortodossi nella fase di affinamento in legno (i Brett sono nascosti tra le doghe delle botti).
Esiste perĂ² un altro modo di produrre queste birre, e cioè innestando direttamente il Brett in una fase precedente alla maturazione. In altre parole il birraio ricorre a un ceppo puro (acquistato dal fornitore di fiducia o propagato in laboratorio) di un lievito non ortodosso, inoculandolo all’interno del mosto come accade col classico Saccharomyces. Successivamente avviene comunque un passaggio in legno, che perĂ² avrĂ un valore produttivo ben diverso: non servirĂ tanto a “infettare” il mosto, quanto ad arricchire il profilo organolettico con leggere sfumature legate al contenitore. La parte delicata e piĂ¹ importante del processo, quella della contaminazione, è quindi relegata a una fase controllata e “pulita”, nella quale il birraio si sostituisce (in parte) alla natura.
Nonostante le due tecniche siano molto simili, è chiaro che esiste una grande divario simbolico derivante dalla fonte della contaminazione. Nel primo caso è “naturale”, nel senso che è totalmente in balia degli eventi: l’abilitĂ del produttore risiede nella capacitĂ di scegliere le giuste botti, preparare una buona “base” per la futura infezione e fermare l’affinamento quando è il momento giusto. Non dissimili sono le competenze richieste nel secondo caso, con la differenza perĂ² che in qualche modo la contaminazione è “artificiale”: il birraio ricorre a un ceppo puro e possiede maggiore controllo sulla parte piĂ¹ spinosa dell’intero processo.
Esiste una soluzione migliore dell’altra? Il punto è proprio questo, perchĂ© troverete sostenitori tanto di un metodo quanto dell’altro. Come avrete capito Agostino Arioli preferisce la prima via: dopo un avvio “controllato”, oggi tutte le birre Klanbarrique sono realizzate senza inoculo di Brett. Il risultato finale è quindi tutto merito delle botti, senza che il birraio intervenga nella fase della contaminazione. Ăˆ sicuramente un approccio piĂ¹ romantico perchĂ© lascia gran parte della responsabilitĂ alla natura, ma anche decisamente piĂ¹ pericoloso. Non sono poche invece le cantine brassicole che ricorrono alla seconda procedura, sebbene una parte della produzione rimanga sempre alla mercĂ© degli eventi naturali: diciamo perĂ² che l’inoculo di Brett selezionato permette di limitare la variabilitĂ dell’effetto finale.
Sebbene piĂ¹ “artefatta”, la seconda soluzione perĂ² non è meno etica della prima. Non è raro infatti che il ceppo puro sia ricavato da operazioni di propagazione o addirittura di isolamento in laboratorio: attivitĂ molto delicate, che richiedono competenze specifiche e molta esperienza. Come accennato, inoltre, non è esclusa una fase di invecchiamento in legno poco controllabile, benchĂ© abbia un impatto sicuramente piĂ¹ contenuto. In queste birre la “pulizia” del processo produttivo si riscontra anche al gusto: spicca chiaramente il profilo funky dei Brettanomyces, ma nel complesso il risultato finale è spesso molto educato ed elegante.
Al contrario le birre contaminate naturalmente presentano un carattere piĂ¹ selvaggio, con dei tratti che a volte possono apparire non del tutto gradevoli. Ma fa parte del gioco ed è facile capire perchĂ© alcuni – probabilmente con troppa leggerezza – definiscano “finte” le birre derivanti da contaminazioni controllate. Che perĂ² garantiscono maggiore linearitĂ e piĂ¹ raramente portano a disastri brassicoli, aspetto da non escludere nelle infezioni naturali. Per queste ultime è dunque fondamentale l’abilitĂ del birraio (o dell’affinatore) e la sua onestĂ nel compiere un passo indietro quando un prodotto non rispetta le sue aspettative.
Credo che il tema sia molto attuale e destinato ad acquistare interesse con il crescente successo delle birre affinate in legno. Ăˆ un argomento molto appassionante, perchĂ© a voler essere obiettivi è difficile propendere per una posizione o per l’altra: entrambe presentano elementi e argomentazioni meritevoli di attenzione, che non possono essere accantonati tout court. Chiaramente le contaminazioni naturali sono piĂ¹ affascinanti, ma per definizione richiedono anche un minore intervento del birraio: è il motivo per cui in molti vi ricorrono, talvolta senza possedere le giuste competenze. Di contro le contaminazioni controllate eliminano parte delle emozioni, ma richiedono un lavoro importante dietro le quinte e di base rivelano meno sorprese, nel bene e nel male. In entrambi i casi, comunque, la preparazione del birraio o dell’affinatore è fondamentale.
arriviamo…arriviamo…