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Cresce la birra nei ristoranti: consumatori sempre più curiosi e consapevoli

Prima o poi dovremo iniziare a chiederci quanto la rivoluzione della birra artigianale abbia cambiato le nostre abitudini. Non intendo quelle di noi appassionati, che ovviamente programmiamo gran parte della giornata intorno alla nostra bevanda, ma quelle della gente comune che rappresenta una massa indistinta troppo spesso trascurata. A quanto pare uno degli effetti più importanti si sta verificando nel mondo della ristorazione, dove la birra è in continua ascesa nelle considerazioni dei clienti: è quanto emerge da una recente ricerca realizzata da Fondazione Birra Moretti in collaborazione con Aspi (Associazione della Sommelier Professionale Italiana) e Noi di Sala (associazione dei professionisti di sala e cantina). Non è il primo studio promosso dalla grande industria che analizza il rapporto tra gli italiani al ristorante e la birra, ma per una volta a essere stati intervistati sono coloro che si trovano dall’altra parte della barricata: camerieri, sommelier e maître.

Il rapporto tra birra e (alta) ristorazione è una questione ancora aperta, che su Cronache di Birra abbiamo affrontato più volte. Allo stato attuale sembra che questo segmento abbia espresso solo una minima parte delle sue potenzialità e raramente coinvolgendo le eccellenze produttive dei piccoli birrifici indipendenti. È invece diventata terra di conquista delle multinazionali, che nel tempo hanno cercato di stuzzicare chef e consumatori con etichette pensate ad hoc, se non addirittura con iniziative a tema – una su tutte il Premio Birra Moretti Grand Cru per i giovani cuochi emergenti. Il problema è che al momento esiste un’evidente distanza tra la birra che ci aspetteremmo di trovare nei ristoranti, anche molto quotati, e l’effettiva offerta. Spesso accanto a una proposta enologica sontuosa troviamo una selezione di birra paragonabile – senza particolari iperboli – alla scelta di vino in brik del discount sotto casa.

Eppure il terreno sembrerebbe florido per evoluzioni ben diverse. Secondo la ricerca in questione, infatti, esiste una fascia di consumatori italiani tra i 30 e i 45 anni che al ristorante si approccia alla birra in una maniera completamente diversa da quella dei loro coetanei di 10 o 15 anni fa. È un pubblico curioso e informato, che ordina birra come scelta e non come ripiego e che è ben propenso a valutare diverse opzioni e a farsi guidare dal personale di sala. Questa fascia di consumatori rappresenta il 57,4% della clientela dei ristoranti e quindi è quella più influente. Il più della metà delle volte la loro scelta ricade su birre “speciali”, che cioè si allontanano dalla solita “chiara” o “rossa”: il 21% di questi avventori è persino in grado di chiedere uno stile preciso o un marchio specifico. Le donne sono in crescita ma ancora in minoranza e rappresentano comunque il 25% dei clienti tipo.

Le dichiarazioni di Alfredo Pratolongo, presidente di Fondazione Birra Moretti, confermano il sostanziale cambio di paradigma:

Questa ricerca conferma che sta cambiando il cosiddetto “palato collettivo” e che la capacità degli italiani di avvertire e apprezzare la gamma di sapori offerti dai molti stili birrari si sta affinando. Il consumo di birra fuori casa si sta modificando in meglio, come confermano i dati del nostro Osservatorio Birra. Ristoranti, bar, pub e pizzerie rappresentano infatti il 41,5% dei consumi di birra e generano il 75% dei ricavi del settore birrario italiano. È qui che gli italiani hanno scoperto e continuano a scoprire nuovi stili, abbinamenti gastronomici, carte delle birre sempre più fornite. Un insieme di elementi che hanno consentito al consumatore di sperimentare e di formare una propria personale cultura della birra

Dai numeri il fenomeno sembra davvero importante e suffragato dalle risposte dei ristoratori: uno su due afferma di aver raggiunto qualche referenza negli ultimi sei mesi, mentre il 7% rivela di aver raddoppiato, se non addirittura triplicato, il numero di etichette disponibili. Attualmente la birra rappresenta il 5% del fatturato dei ristoranti e, alla luce di quanto sta accadendo, questa percentuale potrebbe aumentare nei prossimi anni. O quantomeno cambiare nella sua composizione, poiché le preferenze dei consumatori si stanno spostando sempre più verso prodotti ricercati o comunque lontani dalla classica “chiara media”.

Ciò che non emerge dai dati è però la qualità dell’offerta dei ristoranti, che continua a sollevare diverse perplessità. Appare chiaro che camerieri e sommelier sono sempre più sollecitati dal pubblico sull’argomento birra, ma sarebbe opportuno chiedersi quanti di loro sono in grado di offrire consigli validi e prodotti di qualità. In passato abbiamo più volte sottolineato che proprio chi si trova in quel punto nevralgico della filiera ha spesso una preparazione superficiale, derivante da pigrizia, presunzione e cieca adesione alle dinamiche distributive. Al momento i ristoranti sono un canale molto interessante, ma alla mercé dell’industria e delle etichette crafty.

Fino a oggi i birrifici italiani hanno fallito nel sensibilizzare il mondo della ristorazione, mostrandosi incapaci di superare le convinzioni dell’ambiente in un periodo in cui era ancora facile farlo. Oggi con la concorrenza delle multinazionali è tutto più complicato e i risultati li leggiamo nel menu della maggior parte dei ristoranti. Ma come dimostra lo studio in questione esistono ancora dei margini per posizionarsi in questo settore: la birra artigianale italiana dovrebbe evitare di perdere quest’ultima, ulteriore occasione.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. E’ vero che si trova qualche etichetta in più, ma la cultura birraria è ancora quella di dieci anni fa. Di recente mi è capitato di ordinare una Audace di 32 Via dei Birrai e il cameriere della rinomata pizzeria me l’ha descritta come un perfetto esempio di “doppio malto italiana”.

  2. e proprio vero , in alcuni ristoranti quando chiedi una birra di un certo tipo ,la risposta e sempre o quasi, e bionda ,e rossa , e una pale , e subito mi scatta la carogna !!!!.
    e un altra cosa e quando trovi sul menu una birra e immediatamente dopo averla ordinata ti dicono che non c’è , questo mi è capitato per due volte nello stesso locale , allora mi chiedo ma perche’ non lo scrivi a penna cosi se non ce l’hai la depenni !!!! non mi devi illudere !!!!

  3. In parte il problema è forse dovuto anche alle abitudini di approvvigionamento dei ristoranti “classici”.
    Il vino lo prendono dal rappresentante specializzato in vini se non direttamente dalle cantine e la
    birra dal rappresentane che gli fornisce Acqua minerale e bibite e di conseguenza a listino ha le solite birre delle multinazionali +o- etichettate come Cru, Riserva ecc ecc

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