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La “fruttizzazione” delle Gose: così rinascono le birre salate di Lipsia

Uno degli aspetti più interessanti della birra è il suo essere liquida. Prima di mandarmi a quel paese sappiate che non mi riferisco alle proprietà fisiche della bevanda, ma alla malleabilità degli stili birrari: escluse le fermentazioni spontanee, ogni tipologia è virtualmente riproducibile in qualsiasi luogo del mondo, aspetto che favorisce una continua evoluzione del patrimonio brassicolo internazionale. L’esempio più celebre è rappresentato dalle India Pale Ale, codificate nel Regno Unito nel XVIII sec., quasi dimenticate e poi riscoperte in tempi recenti dai birrai americani, che le hanno trasformate secondo i propri gusti e le materie prime a loro disposizione. Queste evoluzioni accadono di continuo e spesso producono la nascita di sottostili o di variazioni di uno stile di partenza. Recentemente il BJCP ha ufficializzato quello provvisorio delle Catharina Sour, cioè Berliner Weisse “modificate” con l’aggiunta di frutta. Ebbene, qualcosa di molto simile sta accadendo con le Gose.

Per chi non lo sapesse le Gose – da non confondere con le Gueuze del Belgio – rappresentano uno degli stili più assurdi in assoluto, originari della città tedesca di Goslar dove probabilmente erano prodotte già nel XIII secolo. Nei primi decenni del 1700 si diffusero anche a Lipsia, dove raggiunsero l’acme del loro successo: all’inizio del XIX sec. erano attivi circa 80 birrifici che realizzavano questa specialità. Una specialità nel vero senso del termine, poiché le Gose sono birre salate: proprio così, sono brassate con l’aggiunta di sale marino, oltre a frumento, coriandolo e lattobacilli. Il risultato è un prodotto molto dissetante, acidulo, fresco, speziato e leggermente salato. Ma è chiaramente uno stile di non facile approccio, tanto che nel corso del ‘900 scomparvero e riapparvero timidamente diverse volte, fino alla loro definitiva rinascita negli anni ’80.

Le Gose rimangono uno stile di nicchia, eppure negli ultimi tempi sono tantissimi i birrifici in tutto il mondo che si sono cimentati con questa tipologia. In prima fila come sempre ci sono i produttori americani, che non perdono occasione per sperimentare e reinterpretare i classici stili europei. Ma un certo interesse si è diffuso anche nel nostro paese, se è vero che nel 2013 scrissi un pezzo dedicato proprio al lancio sul mercato di diverse Gose italiane. La riscoperta delle birre di Lipsia ha introdotto il salato come parametro gustativo con cui confrontarsi: una novità intrigante, che sfugge al solito triangolo dolce-amaro-acido e che ha iniziato ad affacciasi in altre tipologie. Come documentato in passato, il sale ha cominciato a essere usato come ingrediente aggiuntivo in IPA, Chocolate Stout, Porter, Belgian Ale, Saison e non solo.

Questa moda sembrava essersi assopita, ma ecco che recentemente le Gose sono ricomparse con un’altra effigie, seguendo un’evoluzione analoga a quella delle Berliner Weisse. Le “bianche” di Berlino hanno alcuni punti in comune con le Gose: rappresentano uno stile regionale molto raro, sono realizzate con una percentuale di frumento e hanno un gusto acidulo, leggermente più marcato della loro controparte di Lipsia. Anche le Berliner Weisse hanno goduto di un periodo di riscoperta, che ha portato alcuni birrifici a proporle sul mercato in una particolare variante che prevede l’aggiunta di frutta. Il fenomeno ha investito anche l’Italia, con diversi esempi come la Lunatica di Birra dell’Eremo (lamponi), la False Flat di Brewfist (basilico e lamponi) e la Mambo for Breakfast di Jungle Juice (ananas e passion fruit). Non casi estemporanei ma una vera e propria moda internazionale, tanto che la scorsa estate, come detto, il BJCP ha riconosciuto alla variante lo status di stile autonomo “provvisorio” con il nome di Catharina Sour, dallo stato del Brasile in cui sono ampiamente diffuse.

La frutta ora sta trasformando anche le Gose. Nel nostro paese gli esempi sono sempre più frequenti, tanto che nelle recenti panoramiche sulle nuove birre italiane siamo incappati nella Triple Fruited Gose di Ritual Lab e North Brewing (more, albicocche, mirtilli), nella Beware of Dogs di Canediguerra e Reservoir Dogs (mosto di uva), nella Faccio Gose Vedo Gente di La Ribalta e War (mango e frutto della passione), nella Y♥DIO di Jungle Juice e Lallemand (buccia di mandarino) o ancora nella Saaz Limone e Sale di MC-77 e Birra Perugia (scorza di limone). Come potete notare si tratta di tutte birre collaborative, segno che i birrifici stanno ancora testando la tenuta di certe produzioni sul mercato, considerando la loro natura piuttosto peculiare. Gli esempi però dimostrano che esiste un filone ormai sviluppato, destinato presumibilmente a crescere in futuro.

D’altro canto anche in questo caso gli esempi italiani non sono che la punta dell’iceberg di una tendenza a carattere internazionale, di cui i primi esponenti sono ancora una volta i birrifici americani. Il californiano Pine Street produce una Gose con uva, il birrificio Rhinegeist di Cincinnati aggiunge pesche alla ricetta base, Anderson Valley ha in gamma una Gose al cocomero, una ai lamponi e una all’arancia. Ad aver spinto al massimo questo concetto è il birrificio Modern Times di San Diego (California), che prevede un’intera linea parallela composta di Gose alla frutta e battezzata Fruitlands: le birre sono realizzate con l’aggiunta di ciliege, albicocche, passion fruit e altre tipologie. Ma gli esempi non mancano anche nel resto del mondo, come tra i birrifici della new wave britannica.

Oltre a rendere le Gose appetibili a un pubblico più ampio, la frutta crea risultati interessanti grazie alla presenza del sale: come spiegato da Life, ad esempio, quest’ultimo ingrediente esalta gli aromi fruttati, soprattutto nelle birre in cui la maggior parte degli zuccheri provenienti dalla frutta sono stati consumati dai lieviti. La “fruttizzazione” delle Gose è un processo in corso e tendenzialmente in ascesa, che ha il vantaggio di proporsi come tipologia con caratteristiche peculiari e uniche nel panorama brassicolo internazionale. Non è da escludere che a breve anche il BJCP se ne accorga e decida di dedicare a questo sottogenere uno stile provvisorio dedicato, proprio come avvenuto con le Berliner Weisse alla frutta.

Come giudicare certi fenomeni? Rappresentano l’imbarbarimento di alcuni storici stili o l’unico modo per tenerli in vita accanto a interpretazioni più moderne? Qualsiasi sia il vostro un punto di vista un aspetto è certo: la frutta sta invadendo molti stili tradizionali, creando dei filoni interessanti ma allo stesso tempo inquietanti. È il segno che il gusto dei consumatori di birra craft è profondamente cambiato? C’è il rischio di un ritorno all’omologazione dei sapori?

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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