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Altro che crisi: la birra craft negli USA è in crescita, con qualche aggiustamento

Fino a qualche anno fa consultare il report annuale sul mercato craft americano era poco avvincente: il settore era nel pieno del suo recente boom e tutte le statistiche confermavano una “noiosa” crescita in doppia cifra. Oggi la situazione è leggermente cambiata, perché l’entusiasmo del passato si è raffreddato e da più parti arrivano segnali di un’evidente frenata. Ecco allora che diventa improvvisamente interessante analizzare i dati del documento pubblicato in questi giorni (qui in pdf) dalla Brewers Association, con il quale l’ente statunitense fotografa lo stato della birra artigianale locale. E oltre a scoprire che il settore è ancora sostanzialmente in salute, troviamo alcuni elementi piuttosto peculiari che possiamo confrontare con quanto sta accadendo dalle nostre parti.

Il dato più importante riguarda le vendite di birra craft negli States, che nel 2018 sono aumentate del 5% segnando un nuovo record storico. Non siamo più al cospetto dei numeri da capogiro del passato, ma le cifre sono ancora decisamente egregie, considerando anche le acquisizioni avvenute negli ultimi anni e le dimensioni raggiunte dal fenomeno craft a quelle latitudini. Il mercato è ancora decisamente in salute, il bacino di utenti si sta ampliando e solo citare la parola “crisi” è un’assoluta follia. La Brewers Association afferma che la crescita è stata molto più lenta nella seconda parte dell’anno, ma il risultato finale è sicuramente positivo.

Anche il numero di birrifici operanti sul territorio ha continuato a crescere. A ottobre 2018 è stato raggiunto il record di 7.000 aziende craft attive negli USA, tetto presumibilmente superato alla fine dell’anno. L’incremento rispetto al 2017 è stato del 20%, un dato statistico obiettivamente straordinario. Nonostante il mercato sia ormai maturo e la curva di crescita molto meno ripida rispetto al passato, nel segmento craft americano continuano a comparire nuovi progetti a un ritmo impressionante. Una tendenza che appare quasi esagerata rispetto al contesto generale, ma rispetto alla quale la Brewers Association fornisce una valida chiave di lettura grazie alle dichiarazioni di Julia Herz, craft beer program director:

Il panorama brassicolo è in mutamento, ma i piccoli birrifici indipendenti ancora riescono  a emergere con successo. I birrifici stanno trovando soluzioni per differenziarsi in un mercato sempre più competitivo, diventando punti di riferimento per le comunità locali e sviluppando nuove strategie e opportunità per raggiungere gli appassionati.

In altre parole il mercato americano appare sempre più competitivo, ma i nuovi birrifici si stanno dimostrando abili nell’inserirsi in spazi originali e innovativi, rivolgendosi alla propria comunità di riferimento. Da alcuni anni su queste frequenze ripetiamo che i nuovi produttori italiani oggi devono  differenziarsi e legarsi ai consumatori locali: se questo vale per l’Italia, figuriamoci per gli Stati Uniti dove è proprio la Brewers Association a confermare questa teoria.

Tornando al report 2018, troviamo altri dati decisamente interessanti. Il primo riguarda il bollino Certified Independent Craft, che indica i birrifici indipendenti e che la Brewers Association ha lanciato come risposta alle continue acquisizioni nel segmento da parte delle multinazionali della birra. A fine anno le aziende che hanno adottato il marchio hanno superato il totale di 4.000 unità: praticamente l’85% della birra craft prodotta negli USA è identificata dal bollino con la bottiglia rovesciata. Considerando che l’iniziativa è stata lanciata poco meno di due anni fa, i risultati ottenuti in termini di penetrazione sono davvero ottimi. La speranza è che si possano raggiungere numeri simili anche in Italia col marchio “gemello” di Unionbirrai.

Un altro dato interessante, che in Italia bisognerebbe iniziare a indagare con attenzione, riguarda la capillarità della birra artigianale statunitense. Ebbene i già citati 7.000 e passa birrifici permettono che l’85% degli americani con 21 o più anni – cioè l’età legale per bere alcolici – viva a meno di 10 miglia da un birrificio. E anche questa è una statistica notevole, se pensiamo che molte aree degli States presentano una densità abitativa bassa e rarefatta. La voce, che può sembrare una curiosità fine a se stessa, è invece fondamentale per giungere ad alcune conclusioni, nonché propedeutica ai fini del turismo birrario.

Le altre sezioni del report rivelano che il segmento craft nel 2017 ha garantito 500.000 posti di lavoro (+9% rispetto al 2016) e un giro d’affari di 76,2 miliardi di dollari (+11% rispetto all’anno precedente). In questo caso i dati del 2018 saranno disponibili nei prossimi mesi. E ancora, gli homebrewers attivi sono oltre un milione (1,1 per l’esattezza) e producono 1,4 milioni di barili di birra, cioè l’1% di tutta l’industria brassicola nazionale.

Infine concludiamo con un dato economico. Grazie alla recente rivoluzione nella locale disciplina delle accise, il 95% dei birrifici sta reinvestendo parte di ciò che ha risparmiato nella propria attività. In particolare le aziende hanno acquistato nuovi macchinari, assunto nuovo personale, migliorato i benefit per i dipendenti e persino aumentato i fondi per la beneficenza. Lo Stato ha rinunciato a una parte del gettito fiscale per favorire la crescita di tutto il settore, con un ritorno economico evidente e immediato. Qui in Italia invece siamo ancora in attesa del decreto attuativo del Ministero con cui rendere finalmente attivo lo sconto del 40% sulle accise per i piccoli birrifici. Un provvedimento che doveva entrare a vigore entro marzo, ma di cui non si hanno più avute notizie. Il confronto con gli Stati Uniti è già avvilente di per sé, queste vicende non fanno altro che acuire la frustrazione.

In conclusione la birra craft americana continua a procedere a gonfie vele? I numeri non lasciano spazi a dubbi, ma prima di stappare lo champagne (o qualche birra in alternativa) è bene ricordare che qualche mese fa la Brewers Association ha incluso nella definizione di craft beer alcuni prodotti che hanno poco a che spartire con la birra, almeno nella sua visione più classica. Sarebbe interessante capire quanto questa inclusione abbia pesato sulla positività dei dati del 2018.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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