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Il boom della birra artigianale in Svizzera: 1.000 produttori e un mercato saturo

Quando si analizzano i numeri della birra in Italia, è impossibile non rimanere meravigliati per l’elevato numero di birrifici attivi in una nazione che storicamente non ha molta familiarità con la bevanda. Il nostro paese è infatti fanalino di coda in Europa per i consumi pro capite, tuttavia è ai primissimi posti se consideriamo il totale di produttori attivi: tra birrifici veri e propri e beer firm (aziende prive di impianto di proprietà) superiamo le mille unità. È allora naturale chiedersi quanto sia sostenibile una simile configurazione, se il mercato non abbia raggiunto la sua naturale saturazione e se all’orizzonte non ci sia una fase di forte contrazione. In verità sono domande che ci poniamo da anni, ma l’andamento del settore continua a essere tendenzialmente positivo nonostante il momento del boom sia ormai un lontano ricordo. Se però pensate che per questi motivi la realtà italiana rappresenti un unicum a livello europeo, dovete ricredervi: non solo siamo in buona compagnia, ma esistono realtà ancora più stridenti. È il caso della vicina Svizzera, dove il numero di produttori è simile a quello italiano. Avete capito bene: prendete la nostra situazione e comprimetela in un territorio decisamente più piccolo e con una popolazione infinitamente inferiore. E ora potete tornare a respirare…

La fotografia del comparto artigianale svizzero ci arriva da un ottimo articolo a firma Samuel Jaberg – che vi consiglio di leggere integralmente – pubblicato qualche giorno fa sull’importante Swissinfo.ch. Il titolo (“Quando i fusti di birra rischiano di traboccare”) ci introduce subito nel mood del pezzo, che esprime una certa preoccupazione per il futuro di un settore che sta cominciando a mostrare decisi segnali di saturazione. È ovviamente l’effetto di quello sfrenato entusiasmo comune ad altre nazioni – compresa l’Italia – e figlio della rivoluzione della birra artigianale partita principalmente dagli Stati Uniti. Nel 2000 in Svizzera erano attivi solo 81 birrifici, ma circa dieci anni dopo il loro numero era triplicato. Dal 2011 il boom è addirittura aumentato, spingendo la tendenza verso le cifre che attualmente caratterizzano la scena.

Cifre che comunque devono essere prese con le pinze, visto che in Svizzera rientrano nello status di “produttore di birra” anche realtà praticamente assimilabili ad attività amatoriali (400 litri annui). Il discorso generale rimane però assolutamente valido, tanto che dalle parole di Marcel Kreber, direttore dell’Associazione svizzera delle birrerie (la corrispettiva della nostra Unionbirrai), si percepisce qualche preoccupazione per il futuro nonostante l’interpretazione assai positiva del trend degli ultimi anni:

Questa evoluzione ci rallegra molto, perché contribuisce a suscitare l’interesse della popolazione. Gli oltre 1.000 birrifici – piccoli o grandi, professionali o amatoriali – sono tutti rappresentativi di questa forma di artigianato millenaria.

Raggiungeremo lentamente il limite. In Svizzera, si consumano sempre meno bevande alcoliche, birra compresa. Di conseguenza, per i produttori di birra la concorrenza è sicuramente elevata.

Oltre allo strabiliante rapporto tra numero di birrifici attivi e popolazione (la Svizzera detiene il primato in questa particolare voce statistica), c’è un altro dato che complica la situazione: il crollo dei consumi. Mentre in Italia stiamo assistendo a un’incoraggiante crescita da questo punto di vista (+3,5 litri pro capite in quattro anni e record storico nel 2018), in Svizzera l’andamento è totalmente opposto: se negli anni ’90 gli elvetici bevevano più di 70 litri di birra a testa, oggi il consumo è sceso a 55 litri pro capite. La forte contrazione è assai preoccupante e solo parzialmente mitigata dall’aumento del consumo di birra artigianale. Anche in Svizzera dunque si è verificato uno spostamento dei consumi: gli elvetici bevono meno ma preferiscono orientarsi su prodotti di qualità, anche spendendo qualcosa in più.

Bere meno bere meglio, potremmo azzardare. Se non fosse che il “meglio” è tutto da dimostrare. Come in altri ambienti, anche in Svizzera infatti ci si comincia a chiedere quanti dei tantissimi birrifici nati negli ultimi anni garantiscano una qualità media soddisfacente. Insomma, il primato della birra artigianale è giustamente messo in discussione, almeno nella sua concretizzazione reale. Interessante il pensiero di Dominique Javet, esperto del settore:

Ogni paesino o quasi ha ormai il suo micro-birrificio, ma la qualità lascia sempre più a desiderare. Non si diventa mastri birrai dall’oggi al domani. Molti sottovalutano le competenze e il savoir-faire che questo mestiere richiede.

In qualche modo gli fa eco Laurent Mousson, profondo conoscitore del mercato svizzero e professionista apprezzato sia in Italia che all’estero. Le sue dichiarazioni pongono l’accento sull’impostazione pressoché amatoriale di tanti birrifici, aspetto che ovviamente solleva non pochi problemi:

Se prendiamo in considerazione solo i produttori che riescono a guadagnare almeno un mezzo salario dalla loro attività, arriviamo al massimo a 200 birrifici in Svizzera.

Quindi a fronte di 200 marchi con una visione imprenditoriale definita, ce ne sono altri 800 che invadono bar e locali del territorio con prodotti realizzati in modo quasi amatoriale. Non è un discorso puramente qualitativo, ma di sostenibilità dell’intera impalcatura. Non è infatti un segreto che negli ultimi anni alcuni birrifici siano stati costretti a chiudere a causa di un mercato sempre più competitivo e con pochi canali percorribili.

L’Italia ha una popolazione di poco superiore ai 60 milioni di abitanti, in Svizzera non si arriva a 8 milioni e mezzo. In Italia beviamo poca birra (33 litri e mezzo pro capite), ma in Svizzera non se la passano tanto meglio (55 litri pro capite, in calo costante). In pratica il mercato italiano della birra è per consumi quattro volte superiore a quello svizzero, tuttavia il numero di birrifici attivi – pur con le differenze di definizione – è molto simile. In questo confronto, improvvisamente la situazione nostrana appare molto meno satura e confusa rispetto al sentire comune. Sarà interessante continuare a seguire l’evoluzione del mercato in Svizzera, perché potrà mostrarci insidie e opportunità con cui ci troveremo a rapportarci nei prossimi anni.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Ciao, bello l’articolo, giusto una per precisazione “l’Associazione Svizzera delle Birrerie” secondo me non corrisponde à Unionbirrai, ma piuttosto all’industria (Heineken & Co). Dal loro sito: “Elle regroupe 22 brasseries produisant un volume annuel minimal de 2000 hl.” pur non essendo un volume stratosferico la maggiorparte dei birrifici non ne fanno parte.
    Per quel che riguarda il numero di birrifici in Svizzera invece va anche detto che una certa facilità burocratica permette i produrre birra e venderla a bar, ristoranti e negozi nel giro di pochi giorni e senza dover investire grosse cifre. A livello di produzione si è meno severi rispetto all’Italia (contalitri, rapporti ufficiali ecc). Come sottolineato dall’articolo può andare a scapito della qualità, ma un birrificio registrato deve comunque rispettare le norme di igiene e controlli regolare. Questi e altri fattori, a mio modo di vedere, hanno permesso a diversi birrifici di lanciarsi e screscere fino a stare in piedi con le loro forze ed avere una piccola fetta di mercato (anche regionale).

  2. Quanta strada è stata fatta da quando installammo il primo nostro impianto a Ginevra. Tutti venivano a vedere la novità. Mentre l’ultimo che abbiamo fatto in Svizzera, era ormai nella normalità delle cose. D’altronde hanno una birra industriale che è persino peggio della nostra.

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