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Il futuro della birra italiana? Blockchain, sostenibilità ed economia circolare

Nel settembre del 2010 il settore birrario italiano fu investito da un’importante novità: il decreto ministeriale 212, infatti, elevò la nostra bevanda a prodotto agricolo. Fu la scintilla che fece scoppiare la febbre per la cosiddetta birra agricola, quella cioè realizzata con almeno il 51% di orzo coltivato dal birrificio e capace di fornire una serie di vantaggi (fiscali, economici, ecc.) alle aziende produttrici. Nonostante alcune criticità intrinseche, in pochi anni il fenomeno crebbe vistosamente: molti birrifici si trasformarono in aziende agricole e si susseguirono diverse iniziative, come la registrazione di marchi e l’organizzazione di manifestazioni a tema. Poi, con la stessa velocità, la tendenza apparve scemare e per alcuni anni il dibattito sulla birra agricola passò in secondo piano. Oggi stiamo assistendo a un ritorno di fiamma per alcuni concetti legati a quella stagione, destinati a diventare uno dei trend birrari più importanti degli prossimi anni. Il discorso si è evoluto, è diventato più complesso e ha assunto diverse sfaccettature. Ma l’idea di base – quella cioè di una birra profondamente legata al suo territorio – è rimasta centrale e ha trovato nuova linfa in un contesto profondamente cambiato.

In questo momento il settore birrario italiano è animato da molte iniziative che declinano in diversi modi il concetto di “birra territoriale”. Sta accadendo perché probabilmente solo ora alcuni progetti sperimentali lanciati in passato hanno raggiunto un certo grado di maturità: mi riferisco alle coltivazioni di luppolo, praticamente inesistenti fino a un decennio fa, alla moltiplicazione delle piccole malterie, alla nascita di nuovi marchi ad hoc e di associazioni dedicate alla filiera, all’adozione di tecnologie provenienti da altri ambiti. In tal senso il panorama attuale è decisamente effervescente ed è puntellato da iniziative che sembravano impensabili solo qualche anno fa.

Tra gli sviluppi che apparivano irrealizzabili c’era ad esempio l’inclusione di tutto il processo produttivo all’interno del singolo birrificio, responsabile non solo di eseguire le cotte, ma anche di coltivare le materie prime (orzo, luppolo) e di trasformarle secondo le esigenze (in particolare maltando i cereali). Oggi in Italia esistono alcuni birrifici che rientrano in questa fattispecie e che stanno promuovendo alcune iniziative interessanti. Uno dei più attivi è il piemontese Cascina Motta (sito web), che oltre a inglobare l’intero iter produttivo, ha recentemente promosso il progetto Beerlife, realizzato in partnership con Tecno.Food (l’Associazione degli Studenti e dei Laureati nelle Scienze e nelle Tecnologie alimentari dell’Università di Torino) e l’Accademia Italiana della Birra.

I tre soggetti hanno messo a punto uno strumento basato sulla tecnologia blockchain che, nell’ottica dell’innovazione di Industria 4.0, fornisce all’utente approfondite informazioni sulla birra che sta bevendo. Grazie a una “etichetta narrante”, infatti, è possibile risalire non solo alle informazioni sul prodotto finale ma anche a quelle dei sui singoli ingredienti, con una profondità oggettivamente impressionante. Potete verificarlo collegandovi al sito Beerlife.it e inserendo il lotto suggerito dal sistema: in pochi istanti avrete il dettaglio delle varietà di lievito, malto e luppolo utilizzate, il metodo di coltivazione dell’orzo, la data di trebbiatura dei singoli cereali, la data della cotta e quella di confezionamento e altro ancora. È chiaro che in questo caso il legame tra birra e territorio si spinge ben oltre le suggestioni prodotte dalla “vecchia” definizione di birra agricola.

Il caso Beerlife dimostra come certe sperimentazioni nel comparto brassicolo hanno compiuto un fondamentale salto di qualità. In altre parole non sono più l’espressione dell’iniziativa estemporanea del singolo birrificio, ma il frutto di collaborazioni strutturate in cui sono coinvolte società specializzate, organi di ricerca e istituzioni locali. Lo conferma il progetto Prato Circular City, nel quale recentemente è entrato il birrificio I Due Mastri (sito web) per lo sviluppo di una coltivazione di orzo Laureate a fini brassicoli. Anche qui i soggetti coinvolti sono diversi: l’azienda agricola Colzi Paolo, il PIN (Polo Universitario della città di Prato) e gli assessori Valerio Barberis (Urbanistica e Ambiente) e Benedetta Squittieri (Bilancio e Sviluppo economico). Il primo step del progetto è ovviamente la semina dello speciale orzo, che successivamente sarà raccolto e maltato per essere utilizzato nel processo brassicolo. Chiaramente tutto il processo sarà monitorato grazie alla cooperazione tra i vari partecipanti.

A proposito di varietà d’orzo particolari, vale la pena ricordare i due progetti di ricerca promossi da Mastri Birrai Umbri, di cui sono stati resi noti i risultati negli ultimi giorni. Il primo, battezzato UHT – Umbria Hordeum Typical, è stato incentrato sulla valutazione genetica, agronomica e tecnologica di alcuni antichi orzi umbri, che ha permesso di isolarne 18 particolarmente adatti all’impiego brassicolo. Il secondo progetto, battezzato Malti d’autore, ha portato alla produzione di 24 birre sperimentali da 22 diversi malti con caratteristiche tecnologiche e nutrizionali interessanti. A conferma di quanto indicato poco sopra, Mastri Birrai Umbri non ha portato avanti le due iniziative in maniera autonoma, ma con il supporto di partner importanti come il Cerb, l’Università di Perugia e il CNR.

Dal concetto di birra prodotta con ingredienti locali è facile passare a quello di produzione sostenibile. Baladin è un birrificio molto sensibile a questo tema, nonché un pioniere assoluto dell’idea di una birra realizzata con sole materie prime italiane. Come abbiamo visto a fine dicembre, le due propensioni hanno trovato concretizzazione comune nella birra Green Pea, che il birrificio piemontese ha battezzato come il primo Green Retail Park del mondo, un ambizioso progetto che ha rappresentato il perfetto partner per un’operazione del genere. L’idea è proprio quella di impiegare materie prime locali e di confezionare la birra in una lattina completamente apribile e riutilizzabile per infiniti scopi secondari.

Quelli menzionati sono solo alcuni recenti esempi di un panorama molto complesso, in cui convivono esperienze diverse ma tutte accomunate da alcuni concetti chiave: materie prime locali, economia circolare, trasparenza della filiera. Si potrebbe obiettare che tutti questi elementi non sono altro che orpelli rispetto all’obiettivo finale di un birrificio, cioè la creazione di una buona birra. Non solo, ma il ricorso a materie prime locali può persino essere controproducente in tal senso: l’Italia non ha una gloriosa storia come produttore di malto e luppolo, quindi la qualità dei nostri ingredienti può essere inferiore a quella di altre nazioni brassicole. Sono considerazioni corrette, ma che vanno contestualizzate tenendo conto dell’evoluzione del settore.

In primis, molti progetti sperimentali hanno oggi raggiunto un livello di maturità piuttosto avanzato, fornendo quindi garanzie maggiori rispetto al passato. In secondo luogo lo sviluppo di certe iniziative rappresenta il modo più facile per attirare le attenzioni delle istituzioni pubbliche e quindi permettere di sostenere lo sviluppo dell’intero comparto. Come bevitori potreste non essere interessati a conoscere la data di trebbiatura dell’orzo della vostra birra, o sapere che nel grist c’è una percentuale di antichi orzi locali. Ma sono tutti elementi che probabilmente permetteranno al nostro settore di crescere ancora nel futuro e di trovare una maggiore solidità, aspetto assolutamente indispensabile negli anni a venire.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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