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Pub e ristoranti chiusi in tutta Europa: i problemi dell’Italia non sono le restrizioni

Nelle scorse settimane ci siamo messi alle spalle il 2020 tirando un sospiro di sollievo, ma il nuovo anno è cominciato sullo stesso tenore di quello precedente. Se vogliamo la situazione per il comparto brassicolo è persino peggiorata, perché le speranze dei mesi scorsi si sono trasformate in una deprimente rassegnazione, capace di inghiottire lentamente i pensieri più ottimistici. Le previsioni a breve e medio termine non lasciano intravedere alcun cambio di direzione e – ciò che è peggio – nell’aria si avverte una certa assuefazione alla situazione che stiamo vivendo. In altre parole ciò che prima era percepito come un’emergenza è ora diventato una mezza normalità, con pericolose ripercussioni per le categorie professionali che dall’inizio della pandemia stanno pagando il costo più alto. Tra queste ovviamente ci sono tutte quelle operanti nella filiera della birra artigianale. Ogni giorno che passa è un colpo in più all’umore dell’ambiente, che comincia a mostrare segni di seria preoccupazione, frustrazione e irrequietezza.

Il malumore serpeggiante tra i locali italiani (pub e birrerie, ma anche ristoranti e pizzerie) dipende dall’impossibilità di svolgere il proprio lavoro e dalla scarsezza di strumenti di supporto, ma  anche (e forse soprattutto) dalle difficoltà nel trovare una logica nelle restrizioni imposte da parte delle istituzioni. Queste attività sono state le prime a chiudere con l’arrivo della pandemia e le ultime a riaprire dopo il lockdown: è comprensibile, perché in fin dei conti sono luoghi “sociali” per eccellenza. Nel mezzo gli esercenti hanno investito somme consistenti per adeguare i propri locali alle nuove regole, salvo poi vedersi costretti a chiudere di nuovo. Negli ultimi mesi l’insofferenza è cresciuta in maniera evidente, a causa di continui aggiustamenti in termini di limitazioni, di trattamenti apparentemente iniqui rispetto ad altre categorie professionali e alla vergognosa comunicazione di tante testate giornalistiche, pronte ad additare la “movida” come vettore principale dell’emergenza sanitaria (anche a locali chiusi). Questi elementi hanno alimentato un senso di accerchiamento, la percezione che in Italia sia in atto un immotivato accanimento nei confronti dei pub e della ristorazione più in generale. Ma è davvero così?

Se spingiamo l’analisi oltre i confini nazionali, ci accorgiamo che purtroppo la situazione non è migliore nel resto d’Europa. È sufficiente leggere qualche recente articolo pubblicato sulle testate specializzate (ad esempio quelli di Gambero Rosso e Reporter Gourmet) per rendersi conto che c’è chi se la passa molto peggio di noi. Sia chiaro, l’ultima affermazione va considerata solo in termini di restrizioni alla normale attività: le condizioni del settore dipendono anche dalla dimensione degli strumenti di supporto economico – quelli che da noi sono stati chiamati “ristori” – per i soggetti colpiti dall’emergenza sanitaria. Di seguito un veloce riepilogo della situazione in Europa:

  • In Francia bar e ristoranti sono chiusi dallo scorso ottobre. La data di riapertura era stata fissata al 20 gennaio, ma l’evoluzione della pandemia ha reso questa ipotesi impercorribile. La notizia di oggi è che le attuali restrizioni potrebbero prolungarsi fino a dopo Pasqua (6 aprile), ma per il momento rimangono valide le dichiarazioni del Primo Ministro Jean Castex, che ha previsto un’eventuale riapertura a metà febbraio. La situazione è chiaramente molto liquida e ciò contribuisce a creare tensioni e disorientamento tra i ristoratori, che sono da settimane sul piede di guerra.
  • Non va meglio in Germania, che oltre a dover fronteggiare un momento delicato dal punto di vista sanitario, non riesce a ridurre la confusione che ormai domina nel settore della ristorazione. Da novembre la nazione tedesca è alle prese con un lockdown sempre più rigido, che in previsione delle festività natalizie aveva imposto la chiusura di tutte le attività commerciali non essenziali, compresi ristoranti e bar. Le restrizioni avrebbero dovuto terminare il 10 gennaio, ma sono state prolungate fino a metà febbraio. Nel frattempo però anche in Germania si teme per un’estensione dei provvedimenti oltre l’inizio di aprile. Se ne saprà di più la prossima settimana: lunedì 25 Angela Merkel incontrerà i governatori dei Lander per prendere una decisione in merito.
  • Delicatissima anche la situazione del Regno Unito, alle prese sia con la variante locale del virus, sia con il terzo rigido lockdown dall’inizio della pandemia. Tutto il mondo della ristorazione è rassegnato a dover restare chiuso fino alla metà di febbraio, ma è altamente probabile che le restrizioni si protrarranno fino a marzo e oltre. In una nazione in cui i pub giocano un ruolo sociale importantissimo, ci sono almeno due notizie positive: la campagna vaccinale sembra essere partita con un ottimo ritmo e lo Stato ha previsto un nuovo pacchetto di ristori che prevedono aiuti fino a 9.000 sterline per ogni attività in base al fatturato. C’è da dire però che questi nuovi sostegni sono arrivate dopo pesanti proteste, perché il settore della ristorazione era stato escluso dai precedenti provvedimenti.
  • Bar e ristoranti chiusi anche in Austria, nonostante i numeri dell’emergenza sanitaria non raggiungano quelli delle nazioni più colpite. Anche in questo caso, tuttavia, il governo ha deciso di spostare la data delle riaperture (dal 18 al 24 gennaio), sebbene ancora non sia chiaro a quali condizioni. In Olanda le restrizioni avrebbero dovuto terminare ieri, ma nei giorni precedenti è stato deciso di estendere il lockdown fino al 9 febbraio.
  • Infine ben diversa è la situazione della Spagna, dove le restrizioni sono più morbide e molto diverse da regione a regione. La terza ondata sta cominciando a farsi sentire e le limitazioni aumenteranno nei prossimi giorni, nel frattempo a Madrid i ristoranti hanno potuto operare tranquillamente, dovendo rispettare il solo coprifuoco fissato all’1,30 di notte. Le stesse attività in Catalogna sono chiuse in orario serale, in Extremadura durante l’intera giornata mentre nei Paesi Baschi possono operare fino alle 20 (con alcune eccezioni). Per il resto vigono le regole di distanziamento sociale che i locali hanno dovuto imporre un po’ dappertutto.

Da questa rapida panoramica si comprende facilmente che il mondo della ristorazione è sotto scacco un po’ in tutta Europa. In Italia non c’è dunque un accanimento particolare nei confronti del nostro settore, bensì l’applicazione di una sorta di protocollo che è comune a tante altre realtà. Attenzione però, perché questa considerazione non serve tanto per trovare mezzo gaudio nel male comune, quanto piuttosto per isolare i veri problemi che il settore sta vivendo in Italia. Come spiegato da Wine News, che ha ripreso un’analisi di Fipe/Confcommercio, la vera differenza con le altre nazioni dell’Unione Europea non è nelle restrizioni imposte (simili appunto a quelle italiane), quanto nel sistema di strumenti a sostegno delle attività. Parliamo di differenze sostanziali in termini di esenzioni e rinvii fiscali, sostegni economici, prestiti garantiti dallo Stato e ristori a fondo perduto.

A questo elemento si aggiunge una comunicazione davvero scandalosa da parte dei mass media italiani, che in questi mesi non hanno fatto altro che aizzare l’opinione pubblica contro i locali, senza interessarsi davvero alla loro condizione – e di conseguenza a quella di tutti i soggetti che vi orbitano intorno. Questo elemento, unito al precedente, ha alla lunga esasperato gli animi, fino ad alimentare iniziative opinabili come #ioapro, che a sua volta ha trovato ulteriore carburante grazie alla visibilità ottenuta sui canali di comunicazione di massa. In un simile contesto si è poi aggiunta anche la comunicazione non sempre efficace della politica italiana, che spesso ha fornito risposte poco chiare (se non contradditorie) ai suoi interlocutori.

La situazione che stiamo vivendo è sicuramente difficile, ma l’errore è credere che il nostro settore sia vittima di un particolare accanimento da parte delle istituzioni. Perciò ha poco senso urlare al complotto, organizzare proteste al limite del folklore e scagliarsi contro altre categorie professionali. Il problema non è che i ristoranti e i pub sono chiusi – cioè sì, chiaramente è un problema – ma che non sono tutelati di fronte a restrizioni che al momento non possono essere eliminate. Se non sono tutelati, si sentiranno tutti nel diritto di trascurare il settore in termini di aiuti economici e di infangarlo quotidianamente con articoli nauseabondi. L’unica soluzione è supportare i soggetti che operano a difesa del settore.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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