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Save the Mild: come i birrifici italiani interpretano il classico stile britannico

L’articolo che state leggendo vuole porre in rassegna alcune Mild prodotte dai birrifici italiani, senza necessariamente ripercorrere l’intera storia della tipologia, complessa, travagliata e costellata di continue variazioni di colore e tenore alcolico. Nell’uso corrente, con il termine Mild si indica uno stile ben preciso, originario dell’Inghilterra e contraddistinto da un tenore alcolico molto leggero e da un colore bruno. In passato indicava qualsiasi birra giovane e da consumare fresca, in opposizione alle “stale” da invecchiamento e maggiormente luppolate. Attualmente i consumatori britannici non impazziscono per il termine “Mild” e molti birrifici non lo usano più, talvolta cambiandolo con altre diciture. Le regioni ancora vocate a questo stile sono Galles, West Midlands e Nord Ovest del Regno Unito. Le Mild sono delle vere e proprie “session-beer scure a bassa gravità” (intorno al 3,5%), ma esistono anche versioni più forti, brassate in occasione di eventi speciali o stagionali, così come un’ampia gamma di interpretazioni. Generalmente sono servite direttamente dal cask e le versioni più light non danno il meglio di sé in bottiglia – ne esistono anche versioni chiare, ma sono ancora più rare!

Prima di procedere con la degustazione, osserviamo cosa ci dice il BJCP su questo stile, sottolineando l’importante aspetto che le linee guida associate a questa tipologia di birra sono tutte riferite alla sua “versione moderna”. Essa trae sì origine dalle Ale più leggere del XIX secolo, ma si concretizzò nel periodo storico adiacente alle guerre mondiali, quando i dazi elevati e la penuria di materie prime obbligavano a produrre birre aventi una grado alcolico molto basso e con scarsa persistenza di gusto. Il tutto escludendo ogni relazione storica tra Mild e Porter.

Incentrate sul malto e adatte per essere bevute in quantità, le Mild si presentano limpide, poco carbonate, con schiuma di scarsa ritenzione e di corpo esile, spesso definito “watery”. Di colore variabile dal ramato al marrone scuro o mogano, le Mild esprimono la loro componente maltata attraverso un ampio ventaglio di sfumature, descrivibili come caramello, toffee, cereale, tostato, frutta secca, cioccolato. Le versioni più torrefatte possono apparire un po’ astringenti, mostrando una chiusura tostata marcata sul finale, mentre le versioni più dolci possono sembrare alquanto corpose rispetto all’effettiva gravità. Il lievito apporta un contributo minimo, tollerando la presenza di qualche estere di fermentazione (classici rimandi mela/pera gialla dei lieviti inglesi). L’amaro finale, generalmente basso, va a bilanciare il grist di malti a discrezione del birraio, mentre l’aroma del luppolo si considera lieve o nullo, con i canonici sentori terrosi-erbacei-floreali delle varietà inglesi.

Le birre Mild in Italia

In Italia sono pochi i birrifici che hanno deciso di inserire questo stile come permanente nel loro core range, infatti nel nostro paese le Mild sono birre prodotte soprattutto come one-shot o frutto di collaborazioni occasionali tra birrifici, quindi pressoché introvabili dopo l’esaurimento del lotto (come ad esempio la BOH 10 Peated Mild di Mister B e Homebrewing Accetta, proposta in formato lattina da 33 cl). In altri casi invece, come la recente Tsygan di Muttnik, il birrificio ha deciso di renderla fissa nella propria gamma di prodotti, ma disponibile solo alla spina (rigorosamente a pompa!) per non snaturare le caratteristiche di questo stile. Negli ultimi anni comunque, i tentativi di brassare questo stile da parte dei birrifici sul nostro territorio sono stati davvero numerosi, spesso contraddistinti da nomi frutto di giochi di parole. Tra questi citiamo: Open Mild (Alma), Maild (Birrificio Lariano), The Brown Side of a Bitter (Dada), Working Class (Toccalmatto), M.I.L.D. Mild I’d Like to Drink (Brewfist) e Never Mild Bollocks (Menaresta + Bonavena).

E ancora Mild the Gap di Birra MC-77, Dark Kiss di Calibro 22, Into The Mild di Ibeer, Never Mild di Wild Boar sono tutte creazioni italiane che contribuiscono a donare nuova popolarità a questo stile. Fuori da questi schemi, troviamo invece la Imperial Mild di Brasseria della Fonte, che con la sua XXXK Mild propone un’interpretazione più robusta di questo stile. Il nome deriva dal modo in cui, nell’epoca precedente, i mastri birrai britannici marcavano i barili in base al tenore alcolico della birra contenuta; ed è alla stessa usanza a cui Samuele Cesaroni si è rifatto per battezzare la sua ultima creazione. Più “X” erano segnate, più forte ed alcolica era la Mild contenuta. La lettera “K”, invece, indica presumibilmente che la birra è affinata per 9 mesi in botti ex bourbon della distilleria Buffalo Trace, situata in Kentucky

Gli assaggi

Entrando nel dettaglio, è interessante mostrare come i birrifici italiani negli ultimi anni hanno contribuito a evitare l’oblio di questo stile, creando interpretazioni più o meno fedeli della ricetta originale o personalizzandole secondo le loro esperienze. Così, con alcuni amici del BTT (Beer Tasting Torino) abbiamo deciso di assaggiare in batteria alcune creazioni italiane di questo stile. Eccole:

Per capire differenze e sfumature, usiamo un diagramma a radar, in cui abbiamo riportato parametri quali corpo, gasatura, gli ingredienti principali della birra e alcuni sapori necessari a descrivere questo stile; abbiamo altresì deciso di ampliare le varie accezioni del carattere “maltato” per meglio comprendere i tratti tipici di questo stile. Spesso si associa il termine maltato a un vago concetto di tostatura ma sono tantissime le sfumature che si ricollegano a questo termine: dal caffè al cioccolato, dai cereali alla frutta a guscio, dalla frutta disidratata al concetto più complesso di tostatura.

Il risultato è singolare e interessante. Tutti gli assaggi hanno mostrato corpo esile, sorso snello, carbonazione bassa e sensazione alcolica pressoché nulla. Contrariamente alle aspettative (ovviamente centrate tutte sul malto!) un filo comune a tutti questi assaggi è rappresentato dalla tipologia di amaro che si è osservato sul finale. Pur non essendo mai invadenti o protagonisti della beva, i rimandi terrosi, erbacei e da radice si sono riscontarti in tutte le birre, probabilmente complice l’utilizzo di varietà di luppolo inglesi per questo stile. Per quanto riguarda “la maltosità”, abbiamo potuto apprezzarne diverse sfumature: per la maggior parte incentrate su note di nocciola, pane tostato e cenni di caffé d’orzo; solo in un caso più spostate sulla frutta secca come datteri, uva passa o susine. Un altro aspetto che ci ha stupito è che, nonostante si tratti di session beer, di pronta beva, tutte queste sfumature si amalgamano e avvicendano con una discreta complessità nel corso della bevuta. Ci terrei a sottolineare che in nessun assaggio ci è mai parso di bere una birra caffettosa o una simil Porter moderna.

Tra quelle assaggiate, la Traditional Mild di Brasseria della Fonte è quella che ci è piaciuta di più, dimostrando grande complessità aromatica e facilità di beva nello stesso tempo. La birra è morbida all’ingresso, per poi diventare più asciutta e secca sul finale. L’amarezza in chiusura è evidente e si colgono dei cenni di torrefazione, che donano una lieve astringenza. Abbiamo apprezzato moltissimo anche la Mild Oh Mild di Passionbrewery, con il suo profilo olfattivo fine e qualche estere fruttato; in bocca l’aspetto tostato è ben in evidenza accompagnato da un amaro tipo radice e rimandi di frutta a guscio. Interessante anche la recente Oscar Mild di Torremozza, in cui gli esteri (mela) sono un po’ più marcati e i malti si esprimono più sull’aspetto frutta disidratata, per creare una birra poco amara, piacevole ed equilibrata.

Curiosi di saperne di più sulle Mild?

E se per caso anche voi homebrewer voleste celebrare questo stile, vi consiglio questo post del blog di Francesco Antonelli, alias Brewing Bad, in cui ci racconta la sua interpretazione di questo stile e propone una ricetta da eseguire a casa.

Ogni maggio, le varie sezioni del Camra sparpagliate sul territorio inglese, celebrano il Mild May, ovvero un’iniziativa per porre in risalto lo stile, che in passato è stato a rischio di estinzione per un calo di popolarità e a causa dell’ascesa commerciale di altri stili birrai. In questo mese le sezioni del Camra incoraggiano i pub locali ad avere on tap almeno una Mild a pompa e alcune organizzano addirittura delle gite a pub o birrifici che sposano questa causa. Anche in Nord America da diversi anni, alcuni beer blogger (vedi Alistair Reese di Fuggled) hanno lanciato l’iniziativa American Mild Month sia per contribuire oltreoceano al progetto portato avanti dal Camra, sia per cercare di smuovere un po’ la cultura birraria nordamericana fortemente luppolo-centrica (tuttavia la nuova versione americana proposta risente comunque dell’influsso di luppoli statunitensi). Attualmente pare che circa una dozzina di birrifici aderiscano all’iniziativa, situati per lo più nella costa est e New England.

Considerazioni finali

Dopo questi assaggi, ci rendiamo conto come i birrifici artigianali italiani abbiano contribuito in modo notevole a mantenere vivo questo vecchio stile inglese, nonostante le recenti mode brassicole e i dettami commerciali spingano verso altre direzioni. Semplicità di beva, scarso tenore alcolico, gasatura minimale, un grist mirato a creare un equilibrio tra note maltate e leggerezza sono gli ingredienti chiave delle nostre Mild. Invito tutti gli appassionati di birra a riscoprire questo antico stile di birra nei modi a loro più affini: come classica session beer o accompagnandola a qualche piatto, divertendosi a formulare abbinamenti. Per voi invece, qual è la vostra mild preferita? Cheers and #savethemild.

L'autore: Andrea Bedini

Chimico di professione, appassionato di viaggi e montagna. Da diversi anni fa parte della redazione di Cronache di Birra, è membro attivo e organizzatore di eventi presso il Beer Tasting Torino. Fondatore dell'Associazione Pommelier e Assaggiatori Sidro, è tra i curatori della Guida alle Birre d'Italia per la sezione sidro. Diplomato assaggiatore ONAB e ONAV, collabora con l'università su alcuni temi scientifici dei fermentati.

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