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Three Floyds, o delle oscure ripercussioni del successo

Oggi ha attirato la mia attenzione un articolo pubblicato su Beernews, che spiega le difficoltà che sta incontrando uno dei produttori americani più in voga del momento: Three Floyds. Fondato nel 1996, il birrificio si è sempre contraddistinto per ottimi prodotti, acquistando anno dopo anno l’attenzione di un numero crescente di appassionati. Un iter normale, comune a tante altre realtà brassicole, se non fosse che questa  ascesa ha registrato un’improvvisa impennata in coincidenza con un preciso evento: essere stato nominato da Ratebeer miglior birrificio al mondo. Il riconoscimento è arrivato nel 2009 e poi ancora nel 2010 e da quel momento il successo di Three Floyds è stato inarrestabile.

Dunque quali sono le difficoltà a cui ho accennato in apertura? Semplice: la complessità nel gestire una così repentina crescita. Come già accaduto in passato per i trappisti di Westvleteren, Ratebeer ha decretato per il piccolo birrificio dell’Illinois una fortuna di dimensioni ben maggiori di quelli dell’azienda. L’improvvisa fama ha portato a una crescita esponenziale della domanda, al punto che oggi il birrificio sembra impreparato a gestire tutte le richieste provenienti dagli USA e dall’estero. E così in questi ultimi tempi diversi rivenditori dell’Indiana e dell’Illinois stanno esprimendo il loro malcontento per l’incapacità del birrificio di rifornire i loro scaffali. In parole povere, la quantità di birra prodotta non è abbastanza per smaltire tutte le richieste.

Ecco ad esempio che ne pensa il titolare di un negozio di alcolici di Indianapolis, che tra l’altro solleva anche dubbi sulla professionalità dell’azienda (tema che in questi giorni tiene decisamente banco):

Sono ormai settimane che ho a che fare con questo scottante problema. In passato ero solito vendere 30 o 40 confezioni di Three Floyds a settimana. Ora riesco a piazzarne 8 se sono fortunato. E abbiamo anche pubblicizzato il fatto che è il miglior birrificio dell’Indiana. Non lo farò più. In passato ho provato più volte a contattare Lincoln (Anderson, il commerciale del birrificio ndr) per proporgli una degustazione, ma le telefonate e le e-mail che ho inviato sono sempre rimaste senza risposta. Non riescono neanche a rispondere a una telefonata! E’ così che trattano uno dei migliori rivenditori dello Stato.

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Quella che avete appena letto non è una dichiarazione isolata, ma si aggiunge a quella di altri colleghi, tutti rimasti perplessi dall’improvvisa scarsità di bottiglie Three Floyds. D’altro canto l’azienda si è sviluppata in modo vertiginoso negli ultimi anni, registrando tra il 2007 e il 2009 delle percentuali di crescita nelle vendite pari rispettivamente al 43%, 25% e 47%. Un trend insostenibile per un microbirrificio abituato a ben altri numeri fino a poco prima.

Il silenzio del produttore sulla questione sembra acuire il problema. Di fronte infatti alla mancanza di spiegazioni ufficiali, si moltiplicano le illazioni e le malelingue. Ecco che allora c’è chi si chiede se il birrificio abbia deciso di vendere direttamente ai consumatori finali, saltando l’intermediazione dei rivenditori al dettaglio. Oppure chi sottolinea la regolare presenza di bottiglie di Three Floyds nei locali specializzati stranieri.

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Insomma, il successo non è mai facile da gestire e comporta delle difficoltà a volte neanche preventivabili. La storia offre diversi spunti di riflessione. Il più immediato riguarda le capacità strutturali del segmento artigianale, i protagonisti del quale spesso e volentieri non sono pronti a sostenere la domanda di un mercato in impressionante espansione. Un’incognita che non è ad esclusivo appannaggio degli Stati Uniti, ma che ritroviamo facilmente anche in Italia, dove molti birrifici faticano (per usare un eufemismo) a soddisfare le richieste di operatori e consumatori. Anzi siamo così abituati che difficilmente una situazione simile crea scalpore.

In secondo luogo fa riflettere la forza che Internet è in grado di esercitare su questo mondo, soprattutto relativamente ai siti di rating birrario. Ho già accennato alle ripercussioni che ebbe Ratebeer sul piccolo monastero di St. Sixtus, preso letteralmente d’assalto da appassionati di tutto il mondo dopo che la Westvleteren 12 fu nominata miglior birra al mondo. Le conseguenze di quell’evento le paghiamo tuttora, se è vero che tornarsene da Wesvleteren con una cassetta di bottiglie rimane una delle imprese più difficili da portare a termine in Belgio. Una storia che, con le debite proporzioni, può essere accostata a quella di Three Floyds.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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25 Commenti

  1. giusto conoscere Three Floyd e Westvleteren. sbagliato pretendere di averne sempre una scorta in cantina.
    alla fine la birra di qualità è un prodotto di nicchia anche nella ricerca della stessa.

  2. Il problema della 3f è che essenzialmente si tratta di un birrificio regionale, piccolo sì, non piccolissimo, ma con una distribuzione davvero limitata e carente. È ovvio che gli appassionati più agguerriti spazzolano via tutto quello che riescono a trovare.
    Da quel che so non hanno neanche chissà che voglia di espandersi (un po’ come la westvleteren)

    Riguardo la regolare presenza nei locali stranieri: sostanzialmente non è che chissà che si trovi. tutto quello disponibile arriva tramite la mikkeller penso. E soprattutto si tratta delle loro collaborazioni, della behemoth e poco più. Mentre la fff produce molte birre diverse veramente introvabili in europa.

    Personalmente qualcosa son riuscito a recuperare 😀

  3. Io son stato a Munster al loro birrificio a Giugno, assieme al mio collega di blog Giacomo. A me l’impressione che han dato è di un normale birrificio (ecco, non so se sia ancora definibile “micro”, ma la sostanza non cambia). Impossibile per chiunque poter distribuire a tutti le proprie birre (bottiglia o fusto che sia), figuriamoci in un mercato come quello statunitense con centinaia di produttori e una legislazione davvero complicata in fatto di importazioni tra stato e Stato.
    La mancanza di comunicazione è un problema abbastanza comune dovunque (decine e decine di mail mie senza risposta anche da alcuni birrifici italiani, per dirne una) e non credo possa pesare molto nella discussione.
    Noi abbiam trovato le loro birre ovunque, a Chicago (Small Bar, ospite alla Goose Island, in un paio di ottimi beershop), all’HopCat di Grand Rapids fino, appunto, a Munster.
    Che poi il successo possa dare un pò alla testa, ovvio.

    Sul mio personalissimo parere, non son convinto che 3f sia il migliore birrificio addirittura del mondo, ne preferisco altri, ma ripeto è solo la mia idea.
    Per chi volesse approfondire su 3f: http://www.pintaperfetta.com/2010/07/21/three-floyds-brewing-munster-in-usa/

  4. il problema degli stati uniti (forse non tutti lo sanno) è che certe birre sono disponibili solo negli stati limitrofi al birrificio o in un numero limitato. spesso gli statunitensi hanno le stesse difficoltà che potrebbe avere un europeo nel reperire determinate birre
    Essenzialmente da questo è nato il discorso del trading tanto caro a ratebeer, beeradvocate, (a me :D) ma meno agli europei.

    io continuo a ringraziare i vari “santi” della capitale che riescono a far bere birre che manco gli americani stessi bevono…

  5. Il problema alla fin fine è ratebeer e, soprattutto, del suo uso. Esistono (decine di) migliaia di pecoroni pronti a riempirsi le cantine di qualunque cosa abbia un rating importante, e questo “a cascata”. Importatori, pub, beer shop, clienti finali.

  6. sono d’accordo con INDASTRIA.
    in fondo si può benissimo bere la 3F una volta all’anno senza per questo smettere di bere altri birrifici locali.
    è sbagliato pretendere una distribuzione mondiale da parte di tutte le birre.

  7. @Mattia

    “Che poi il successo possa dare un pò alla testa, ovvio.”
    A chi, scusa? Alla 3F? A me non pare proprio, anzi! Che poi non sia il tuo birrificio preferito lo si capisce bene dal tuo racconto, sembra che tu stia parlando del dopolavoro ferroviario di Firenze. 😀

    @Alessio

    Mi accodo a Turco: il problema sono i pecoroni. Non fosse per RateBeer, penso che a qualsiasi appassionato sarebbe preclusa anche solo l’idea di pensare di impegnarsi per potersi procurare certe birre che meritano indipendentemente dal loro rating.

  8. E’ un effetto cascata, ratebeer per come si è sviluppato e per come è diventato popolare sviluppa fenomeni di questo tipo.

    Non credo che le due cose (divulgazione, ed effetto boomerang da improvvisa popolarità) siano scindibili.

    D’altra parte se una band sconosciuta passa da Letterman il giorno dopo non è più così sconosciuta, no?

  9. Mai detto questo. Credo che la fase più delicata da gestire sia proprio quella della crescita, se uno decide che sta bene così o che non vuole forzarla ha tutto il mio rispetto.

  10. Ma infatti per questo non vedo il “problema” in RateBeer.
    Io non so fino a che punto l’eventuale reticenza della 3F di espandersi (come St. Sixtus del resto) possa davvero compromettere la fama e il buon nome del birrificio. Anzi… molto probabilmente aumenterà l’hype per molti. E poi per ogni fornitore/distrbutore che, scontento di non poter stravendere le loro birre, decidesse di non trattarle più, ce ne saranno almeno dieci interessati ad averle in catalogo.
    In tutto ciò, RateBeer – o BeerAdvocate che sia – può soltanto far bene alla comunità degli appassionati.

  11. Diciamo che ratebeer crea il problema ma di per sé non è il problema. Tutto sta nelle singole persone comportarsi da idioti o meno. E di certo quelli che fanno razzia di dark lord e tutte le varie single day beer lo sono.

    Però va aggiunto che anche la 3f stessa non è esente da un certo atteggiamento un po’ geek: il dark lord day penso sia il manifesto di un certo modo un po’ fanatico di intendere la birra.

  12. @ Patrick
    “Che poi il successo possa dare un pò alla testa, ovvio.”
    A chi, scusa? Alla 3F? A me non pare proprio, anzi!
    -E chi ha parlato della 3f? Parlavo in generale e in termini impesonali. Il successo PUO’ dare alla testa. E’ un’eventualità, e nemmeno così remota.

    “Che poi non sia il tuo birrificio preferito lo si capisce bene dal tuo racconto, sembra che tu stia parlando del dopolavoro ferroviario di Firenze.”
    -Curioso ed affascinante che tu abbia capito i miei pensieri leggendo il nostro articolo, visto che non l’ho scritto io. Se guardi in alto, come autore c’è scritto “Giacomo”.

    Ci sentiamo alla prossima polemica. 😉

  13. @Mattia

    Non è che se l’articolo l’ha scritto Giacomo mi rimangio quanto detto. 🙂
    Comunque eravate insieme, e se fossi stato in disaccordo col tuo collega probabilmente l’avrebbe scritto lui. È che leggendo le tue parole nel commento in alto ho percepito un entusiasmo abbastanza basso per la visita.
    Il che è assolutamente lecito, eh! Mica ti doveva piacere per forza.
    Che ne sai, sarà l’invidia per certe perle che purtroppo non mi posso (ancora) permettere.

  14. Io credo che il giudizio sul locale/brewpub non sia necessariamente collegato al giudizio sulle birre. Ci possono essere altri fattori che rendono la visita più o meno piacevole: qualità del servizio, qualità del cibo, atmosfera…Tutto questo senza aver controllato che avevano scritto Giacomo e Mattia in merito alla 3F.
    Tra l’altro Giacomo è due anni che sta negli States e di locali e di birre favolose ne ha provate tante, probabilmente un articolo scritto da Mattia o da me sarebbe stato più celebrativo, fosse anche solo perché è l’unica occasione che abbiamo di parlare di quel determinato posto.

  15. Beh, al di là dei tanti bei posti che ci sono al mondo, alcuni hanno un significato particolare al di là di tutto. La 3f è uno di questi (come può essere la lost abbey/port brewing, westvleteren, etc etc)
    Diciamo che nell’articolo non si percepisce nessun entusiasmo o particolarità e sembra un posto come un altro.
    Penso che PB volesse intendere questo e non posso che concordare.

  16. Io invece credo che non ci siano posti che DEBBANO piacere per forza. Nemmeno uno.
    Ci sono posti e ci sono opinioni personali, giuste o sbagliate, condivisibili o meno. Poi ovvio che parlare a ragion veduta di un posto senza esserci stati a volte risulta difficile, a parer mio, s’intende. 😉

  17. Non è questione di quanto un posto piace o meno, ma di cosa rappresenta. Che il 3f sia un posto importante per la craft beer te lo posso dire pure io senza esserci stato, voi non ci siete riusciti scrivendo da lì.
    a parer mio s’intende 😉

  18. “Posto importante” e “piacere” son due cose completamente diverse… nessuno ha discusso dell’importanza del posto.
    Poi, se vuoi spaccare in quattro il capello e fare della polemica su aria fritta, buon divertimento e alla prossima polemica gratuita (e inutile) anche a te!

  19. @Mattia

    Come ho detto sopra, e come ha puntualizzato INDASTRIA, il problema non è farsi piacere per forza un posto. Non t’ha impressionato molto il 3F, non t’è piaciuto? Condivisibile, o magari no; comunque è un tuo parere personale, siamo d’accordo.
    Ma da un articolo divulgativo scritto su uno dei siti – credo – più visitati della comunità birrofila italiana, o da una guida dall’ampia diffusione, be’, io m’aspetto qualcosa in più. Il 3F è uno di quei luoghi che riveste un’importanza mondiale per gli appassionati, come può esserlo St. Sixtus, e leggendo il vostro (non è carino scaricare le responsabilità sugli amici! :P) sembra di sentir parlare di un brew-pub come ce ne sono a centinaia, migliaia. Per dire, non ho letto neanche due righe sul Dark Lord day; che sarà tanto specchio di un’estremizzazione da geek, ma è già indice di quanto il 3F sia importante nel mondo della birra artigianale.

  20. Patrick, sull’ultima riga ti dico perchè in due parole: perchè recensiamo solo dove siamo stati di persona, festival, luoghi, fiere, incontri o altro. E solo in pochi casi (per esempio: per via di lontananza, scomodità, eventi unici) recensiamo alla prima visita: quando possiamo ci torniamo prima di scrivere le nostre due righe. Il Dark Lord Day come ben sai è ad Aprile, noi siamo stati a inizio Giugno.
    Sul resto, Giacomo ha scritto l’articolo e ha le sue opinioni (e io le condivido per la stragrande parte ma non ho scritto una riga in quell’articolo), tu le tue, e son diverse. Inutile e tedioso continuare oltre, soprattutto su un blog altrui.

  21. @Mattia
    Commenti ben accetti, anche se numerosi
    L’importante è che si rimanga OT e servano per confrontarsi, proprio come in questo caso 🙂

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