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La triste verità: per molti consumatori Peroni, Ichnusa e Moretti sono birra artigianale

Qual è lo stato della birra artigianale nella grande distribuzione? È anche per rispondere anche a questa domanda che Cibus, in collaborazione con la testata GDO News, ieri ha organizzato una tavola rotonda online con protagonisti di entrambi i settori – si è parlato anche di vino, ma questo è un discorso che a noi interessa relativamente. L’iniziativa è stata molto interessante, sia perché per la prima volta si è cercato di approfondire il tema in maniera dettagliata, sia perché dimostra come l’incontro tra birra artigianale e GDO, per quanto possa spaventare più di qualcuno, è un argomento destinato a diventare centrale nei prossimi mesi. Tuttavia è in una forma ancora embrionale e in una fase ampiamente interlocutoria, tanto che l’evento non ha fornito risposte certe per il futuro. Però sono stati evidenziati alcuni punti decisamente importanti, la maggior parte dei quali provenienti da un’indagine di mercato svolta dall’Istituto Piepoli. I risultati sono impressionanti e denotano alcuni problemi che il comparto dovrà cercare di risolvere negli anni a venire.

La ricerca dell’Istituto Piepoli si è prefissata di indagare i comportamenti dei consumatori italiani nei supermercati in relazione sia alle birre artigianali che ai vini. La rilevazione è stata effettuata un paio di settimane fa su un campione di 503 italiani maggiorenni, ben rappresentativo della popolazione nazionale in termini di sesso, età e distribuzione geografica. Agli intervistati sono state sottoposte domande molto semplici, per comprendere se consumano birra artigianale, dove la consumano, se conoscono marchi specifici e altro ancora. L’aspetto curioso è che i risultati hanno subito mostrato dati poco coerenti con l’idea che abbiamo oggi del mercato della birra: una sorta di incongruenza la cui causa è stata spiegata molto bene dalla Dott.ssa Sara Merigo nel corso del suo intervento. Una spiegazione che conferma i problemi atavici della birra artigianale in Italia.

Nella prima slide sono state mostrate le risposte alla domanda di partenza, con la quale si chiedeva agli intervistati se consumavano birra artigianale. Ben il 44% ha risposto affermativamente, dimostrando una penetrazione nella popolazione piuttosto evidente. Chiaramente non parliamo di un consumo esclusivo, né continuativo: possono dunque essere persone entrate in contatto solo saltuariamente con la birra artigianale, eppure anche così la percentuale appare superiore a ogni più rosea previsione. La slide che ha sollevato qualche decisa perplessità è stata però la successiva, incentrata sui luoghi di acquisto della birra artigianale.

Come su può vedere, il dato relativo ai supermercati (se non addirittura ai discount) appare irrealmente alto. Il suo valore è di molto inferiore a quello del pub, che rimane il luogo principe per l’acquisto, ma raggiunge comunque un inverosimile 46%. Inverosimile perché la presenza della birra artigianale nella grande distribuzione è quasi totalmente assente, a parte qualche eccezione. Di conseguenza appare incomprensibile come quasi la metà degli intervistati dichiari di rifornirsi presso i supermercati. Ci deve essere una magagna da qualche parte.

La soluzione del mistero arriva con la successiva slide, dedicata a una domanda che trovo molto ingegnoso ai fini della ricerca: “Le vengono in mente dei marchi di birre artigianali? Se sì, quali?”. E qui casca l’asino. Di fronte a una domanda del genere il 22% degli intervistati non sa rispondere, ma questo è ancora accettabile. Ciò che fa la differenza è il 35% dei partecipanti che ha citato marchi di birre industriali. In altre parole un consumatore su tre pensa di acquistare birra artigianale, invece sta comprando qualche prodotto delle multinazionali. E i brand citati in questo caso fanno cadere le braccia: Birra Messina, Peroni, Ichnusa, Birra Moretti, Leffe.

A questo punto è chiaro che il dato gonfiato della precedente slide, quella relativa ai supermercati, deriva semplicemente dalla convinzione sbagliata di molti consumatori, che confondono la birra artigianale non solo per i prodotti crafty delle multinazionali, ma addirittura per i loro brand chiaramente industriali. Come se il made in Italy – ammesso che lo sia per marchi controllati da Heineken e Asahi – basti per identificare una birra come artigianale. Presumibilmente dunque anche la percentuale della prima slide, quella relativa al consumo generale di birra artigianale, è “drogato” da questo problema: molti intervistati rientranti in quel 44% hanno risposto affermativamente, ma magari fino a oggi hanno bevuto solo Ichnusa e Birra del Borgo.

Alla base di questo misunderstanding c’è chiaramente un grave problema di comunicazione. Siamo sempre lì e mi dispiace trovare conferma a qualcosa che vado ripetendo da tempo. La birra artigianale è percepita dai consumatori in maniera confusa e fumosa, nonostante possa avvalersi – caso unico al mondo – di una definizione legislativa ormai in vigore da un lustro. Quasi la metà di chi beve birra artigianale (o crede di berla) la cerca nei supermercati, ma spesso con convinzioni sbagliate. C’è dunque un bacino di acquirenti con enormi potenzialità, che fino a oggi i microbirrifici hanno semplicemente ignorato, non considerando a priori la GDO come un interlocutore degno di attenzione. Il problema di comunicazione nasce da lì: da una deliberata assenza in quel preciso canale di vendita, che tra l’altro ha lasciato spazio proprio all’industria.

Ora finalmente si sta cercando di correre ai ripari. Vittorio Ferraris, direttore generale di Unionbirrai, è intervenuto durante la tavola rotonda spiegando chiaramente qual è la visione dell’associazione in tal senso:

È innegabile che il mercato della birra artigianale ha bisogno di uno sbocco distributivo diverso da quello attuale. Questa è un’evidenza che non deriva sicuramente dalle problematiche durante e post lockdown, che tuttavia hanno evidenziato il problema di base. Oggi noi siamo abituati a vivere in un mercato che abitualmente definiamo autoreferenziale: piccole imprese che lavorano in un contesto in qualche modo protetto, in un mercato specialistico, che però continua a rimanere quel 4% del consumo totale di birra nazionale. Lo sbocco non può che essere quello di una distribuzione strutturata.

Gli interventi degli altri ospiti hanno sottolineato come la birra artigianale rappresenti un prodotto difficile da vendere, che mostra frammentazione ed enormi resistenze. Il problema di comunicazione infatti non è solo verso l’esterno, cioè nei confronti dei consumatori finali, ma anche verso l’interno, cioè tra le pieghe dello stesso movimento. Per accedere a una distribuzione strutturata occorre compattezza e condivisione degli obiettivi, così da presentarsi all’interlocutore – cioè la GDO interessata – in maniera solida, spiegando quali sono le esigenze e le caratteristiche della birra artigianale. Ma finché stare sugli scaffali dei supermercati sarà visto dal comparto come una vergogna o un disonore, sarà difficile affrancarsi dal quel 4% del mercato e dalla storica fragilità del settore.

Se volete saperne di più vi consiglio di seguire l’intero evento online, la cui registrazione è disponibile su Linkedin.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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14 Commenti

  1. E’ evidente che la birra artigianale in questi anni ha creato un mercato di nicchia. Questo per via dei prezzi, delle tipologie proposte, che spesso non possono avere un mercato che vada oltre la nicchia, per le confezioni che si allontanano molto dal concetto di birra che ha la massa, dai nome spesso impronunciabili o difficilissimi da ricordare. Non ci si può lamentare che la massa non vada alla birra artigianale, se la birra artigianale non va alla massa. D da bravi geek della birra, si pensa che non criticando mai un movimento, si possa far bene al movimento ed il movimento resta sempre più convinto di far bene, salvo poi lamentarsi che così bene non va e si cercano i motivi senza mai criticare. La GDO è piena di birra artigianale, non vedo tutta questa riluttanza a rivolgersi a questo canale e chi ancora non lo fa, si preoccupa giustamente di come il prodotto venga trattato dalla GDO. Quindi la presenza non manca, Ciò che manca è il prodotto, un prodotto dal prezzo giusto, della tipologia che incontra il gusto della massa, non la roba che si vede qui negli elenchi delle nuove birre prodotte, con una confezione che ti fa capire subito che trattasi di birra e non di aceto balsamico e con nomi facili da ricordare. Fuori dal mercato di nicchia, non si cerca l’ultima novità, idea brillante del birraio di turno o aromatizzazione riscoperta dai testi antichi. La massa chiede una buona birra, diversa perché buona e non strana, della quale innamorarsi. Il mercato chiede fidelizzazione, non innovazione esasperata, che costringe alla rotazione dei prodotti, perché il cliente tipo fa collezioni di bevute. Questo è il fallimento sia dei birrai, incapaci di evitare l’errore dell’esperto, che da per scontate cose che all’uomo comune nemmeno vengono in mente e di chi fa informazione e crede di proteggere e favorire un movimento senza mai criticare, perché non si può e non si deve. Questi sono i risultati.

  2. 1-forse non ho capito io ma nella prima slide non sono citati i ristoranti e il totale è 218% ???
    2-Concordo con IronTwin che spesso il packaging non è molto attrattivo per un 50enne e anche se l’abito non fa il monaco un po di sobrietà penso aiuterebbe molto in questo senso.
    3-per evitare “vergogna” da parte del birrificio nel vendere alla GDO basta fare un’etichetta ad hoc, come per altro moltissimi fanno
    4-non sono convinto che il prodotto artigianale sia più difficile da vendere, intanto il gestore offre un prodotto di qualità ai propri clienti e già questo è un vantaggio, poi dal punto di vista prettamente economico una 33 industriale la paghano €0.70 e la rivendono a €2.50 con un guadagno di €1.8 mentre sull’artigianale la pagano si €2.5 ma la rivendono a €5.00 con un guadagno di €2.5 che è il 40% in più, a volte basta far capire questo al gestore per invogliarlo.

    • Sul punto 1 la domanda evidentemente permetteva di indicare più di una risposta. In effetti tu puoi comprare birra artigianale tanto al pub quanto online, per esempio.

  3. Intanto mettere sullo stesso piano una Leffe con una Moretti mi sembra sbagliato, anche se non parliamo in entrambi i casi di birre artigianali .
    Così come non si può più definire arrigianale una Baladin, per quanto non si discuta la superiorità.
    Ma qui il centro del discorso riguarda il livello culturale dell’acquirente medio.
    Andare a parlare di birre artigianali al supermercato, ritengo sia perdente già in partenza.
    Se non viene citato il campione di riferimento tutto questo discorso è inutile.
    È chiaro che oggi le multinazionali ciurlano nel manico.
    Cambiano la forma della bottiglia, o parlano di non filtrate per proprio perché si rivolgono ad un mercati ignorante.
    Per contro anche il prodotto artigianale , spesso non è qualitativamente competitivo con prodotti di grandi aziende.
    Discorso complesso,anche per quanto riguarda la commercializzazione nei locali.
    Là dove proprio per un fatto non solo culturale, ma anche di spesa, è più facile vendere 1000 birre alla spina che 100 bottigliette da 33cl di artigianale .
    Là dove comunque il gap di utile è quasi lo stesso.

    • Sandro mi sembra che nelle tue valutazioni iniziali non consideri che in Italia esiste una legge sulla birra artigianale. Moretti è Heineken, Leffe è AB Inbev. Non ci sono differenze da questo punto di vista. Baladin invece è artigianale in tutto, sia per la legge, sia per l’impostazione del birrificio.

  4. Vari operatori scolastici, catechiste, allenatori sportivi, mi dicono che (molti) bambini di oggi hanno una capacità di concentrazione di pochi secondi e che non c’è nessun argomento che attiri la loro attenzione; di qui la necessità di escogitare e proporre di continuo cose nuove. Dirai, e cosa c’entra tutto questo con la birra artigianale? Basta guardare questo sito, per vedere birrifici che sfornano continuamente birre nuove, con lattine per lo più incomprensibili che devono a tutti i costi soddisfare la voglia (in primis di chi le propone) di stupire. A che pro?!? Sono tanti anni che frequento il mondo della birra artigianale e homebrewing e devo dire che sovente, oltre le chiacchiere, ho trovato solo delle birrette prive di qualsiasi perchè. Mi ritrovo moltissimo in quello che scrive IronTwin, in particolare per quanto riguarda il prezzo delle birre e l’esasperazione nelle produzioni. Già in passato avevo espresso la mia opinione a proposito di costo e qualità: fate delle birre con una personalità, non ci interessano quelle con il latte di formica…Fortunatamente c’è chi sa il fatto suo e non ha bisogno di urlare di continuo per farsi notare. Nel frattempo, la birra continuo a farmela in casa…

  5. Seguo questo sito da tempo ormai, lo ritengo uno dei migliori per la diffusione della cultura birraia in generale, ma quando si parla di birra artigianale versus birra industriale noto sempre un interesse un pò troppo ” di parte”. Mi spiego: frasi come “.. ma molti intervistati rientranti in quel 44% hanno risposto affermativamente, ma magari fino a oggi hanno bevuto solo Ichnusa e Birra del Borgo….” lette da uno che si avvicina da poco a questo mondo possono essere fuorvianti e creare disinformazione. Capisco tutto, ma non possiamo mettere sullo stesso piano Ichnusa e Birra del Borgo, su.

    • Invece non solo possiamo, ma dobbiamo. In Italia c’è una legge sulla birra artigianale, i cui criteri non sono rispettati tanto da Ichnusa quanto da Birra del Borgo. È un discorso di denominazione ancor prima che di qualità – aspetto peraltro che io non tocco – e che dovrebbe essere chiaro a tutti. È una considerazione oggettivamente lecita poiché segue la ratio di quella parte di ricerca: agli intervistati era chiesto di citare marchi artigianali, quindi in linea con i requisiti legislativi.

  6. Ciao,
    non capisco cosa c’entri la comunicazione del settore.
    Sono convinto che alla stessa platea, se chiedi se consumano pasta artigianale, rispondano si, indicando le Barilla e Buitoni di turno confezionate in packaging diversi dallo standard, affiancati magari ad una pubblicità dove si vede pora nonna che impasta a mano.
    Si pretende che il consumatore medio si interessi di definizioni legali?
    Se un consumatore non sa differire prodotti artigianali da industriali, non ha sbagliato questo o quel settore, ma tutti i settori che rientrano nella definizione di artigianale, che sia birra, scarpe, pasta, capi in pelle, ecc.
    Poi, se un settore è “artigianale”, è per definizione un settore di nicchia, e se pretende di essere altro, è il momento in cui pretende di essere altro da “artigianale”, al di là delle definizioni legali.
    Se un’azienda artigianale di cravatte di Napoli produce 5.000 cravatte l’anno, il giorno che pretende di essere venduta da OVS e produrre anzichè 5.000, 50.000 cravatte l’anno, beh anche se non possibile dimostrarlo a priori, sono convinto che la qualità del prodotto sia destinata a livellarsi verso il basso.
    Quale è il problema oggi? Che la fetta del 4% non basta più? Non c’è spazio per tutti?
    Bene… perchè forse oggi quei tutti sono anche troppi….
    Ciao
    Carlo

  7. Interessante, assai interessante istantanea sullo stato della birra artigianale e su immagine e conssumi di birra nel nostro Paese. Complimenti al direttore Andrea Turco. Enopress, voce del vino, nella sua rubrica Almanacco del Bere ospita anche le news sulla birra e, molto volentieri, apre le sue colonne al mondo della birra artigianale.

    Complmenti e buon lavoro.
    Giancarlo Panarella, direttore di Enopress e IWS

  8. Ho molti amici che non sanno nulla di birra e che a volte mi chiedono consigli, ma cosa gli posso consigliare se spesso fanno la spesa in supermercati diversi e vanno in pub diversi? Cosa posso dirgli se non “Se c’è la Punk Ipa vai di quella, sennò prendi una bionda X”? Di certo non sono persone che si mettono a sperimentare a 3 euro la bottiglia da 33cl (c’è quasi più vetro che birra) e confesso che neanche io riesco a starci dietro a tutte ste nuove uscite. Va detto: BASTA. Se volete vendere birra artigianale nei supermercati, fatene UNA (per marchio), che sia buona ed economica (sopra i 2 euro a bottiglia da 33 lasciate stare), e che non cambi etichetta o nome ogni 3 mesi. La Punk Ipa è cara ma ormai è dappertutto e la riconosci a 10 metri di distanza (come la Heineken o la Guinness) e vai sul sicuro. In più, vorrei segnalare che, almeno dalle mie parti (Friuli/Veneto) molti supermercati (in particolare A&O) hanno lo scaffale della “Birra Artigianale” dove ti mettono Punk Ipa Leffe Ceres e Baladin insieme. Non so se è legale farlo (immagino di si) ma di sicuro, non aiuta a far chiarezza sulla questione. I dati sopracitati non mi stupiscono.

  9. Il problema della comunicazione è sicuramente un aspetto da non sottovalutare ma realtà dei fatti è che, da quando è iniziata la rivoluzione craft nostrana, si è pensato principalmente a fare propaganda sul prodotto, al fine di creare uno zoccolo duro di clienti, o per meglio dire un esercito di invasati, pronti a spendere le cifre più assurde anche per una lattina di pils, e magari anche con “licenza” di etichettare come eretici, brutti e cattivi, quelli che invece ancora compravano la weissbier di Paulaner al supermercato.
    In inghilterra, mercato che personalmente seguo molto, le craft sono in tutti i supermercati. Molti birrifici sono nati e si son fatti un nome proprio nella GDO, VOCATION è uno di questi (che qui in italia importano a prezzi folli), e sono anni ormai che con cadenza mensile, vengono organizzati vere e proprie settimane del craft, con offerte e nuove proposte da parte dei birrifici, a prezzi super competitivi, sia che si tratti di una lager o di una imperial stout, e quasi sempre in formato da 440ml.
    Il consumatore ha quindi la possibilità di provare cose nuove e di fidelizzarsi al birrificio o ai birrifici che più ha preferito, visto soprattutto il fatto che i birrifici CI VANNO CON IL LORO NOME sulla GDO, e non con seconde linee farlocche dove spesso è impossibile anche risalire al produttore.
    Queste cose qua, nel mio piccolo, anzi piccolissimo, le vado dicendo da una vita, anche in contesti con altri appassionati come me, e mi viene difficile pensare che, come ci sono arrivato io, non ci sia arrivato nessun altro.
    Forse si è anche perso di vista quale fosse l’argomento in questione, la Birra, un prodotto che fino a qualche centinaio di anni fa, si faceva buttando roba nei barili e pregando la divinità pagana di turno affinché facesse la magia, e che oggi si vuole far passare per “nettare di giovinezza”, eh si, c’è gente su Instagram che la definisce così(gli invasati di cui sopra).
    La realtà è che forse è stato troppo comodo finora approfittare di questo misero 4% di mercato, che non storceva mai ne storce tutt’ora il naso, anche quando gli vengono propinati prodotti artigianali, in molti casi inferiori per proprietà organolettiche a prodotti di macrobirrifici, a prezzi esorbitanti; le weissbier tedesche ne sono un esempio.
    Le soluzioni ci sono, esistono già e in altri paesi le stanno adottando già da tempo, ma qua tocca che il comparto del craft italiano faccia una scelta, se pensare ancora solo a se stesso, continuando quindi a piangersi addosso rovesciando la birra per terra al grido di “stiamo morendo, dateci i fondi”, o iniziare finalmente a pensare a tutti i consumatori, il che è già un paradosso detto così, visto che siamo noi consumatori a cacciare i soldi alla fine della giostra.

  10. La legge sulla non pastorizzazione ha penalizzato le vendite , un problema non da poco ,visto che i frigoriferi sembrano non piacere ne alla GDO e nemmeno ai p.v Horeca . I produttori ed i Beer firm sono troppi , con una media hl per birrificio , che ti ripaghi gli investimenti l’anno del mai .
    I piccoli birrifici che pure di vendere raccontano a monte la qualità , poi mettono i fusti sotto gli impianti dei distributori , senza fare le sterilizzazioni nei tempi dovuti ( massimo 15 gg) , celle frigo per lo stoccaggio delle scorte che non vengono consigliate pur di vendere, fusti in plastica senza sacca alimentare , contropressioni un tanto al kg, distributori che commercializzano birra artigianale senza celle , proposte di stili che ne bevi un bicchiere e non ne bevi più, il consumatore che dice a me la birra artigianale non piace , perché gli esercenti gli hanno rifilato qualsiasi cosa pur di vendere quello che gli aveva rifilato il Birrifico . nel bicchiere chi racconta che c’è la qualità che si paga dice. (Salvo pochissimi pubblicàn ) cose non vere . Ancora viene trattata male la birra dell’industria per mancanza di conoscenza figuriamoci quella artigianale. Lavoro nel settore da 33 anni , questo è ciò che vedo , tanta ignoranza nella materia , tanti invasati , e pochi consumi , e la comunicazione dei grandi gruppi che la fa’ da padrone come 30 anni fa,. Prima bisogna cambiare dentro se si vogliono ottenere i risultati . Questo post è un mia opinione , non certo la verità assoluta , ma corrisponde purtroppo alla realtà. Grazie Andrea per l’articolo molto interessante.

    • Ciao Loris, molto interessante il tuo commento, dalla tua esperienza che birra consiglieresti? Io attualmente bevo solamente ichnusa non filtrata e quando posso recarmi in Austria, Villacher. Grazie

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