Cimec

Manifesto di un appassionato bevitore

Lunedì scorso ho aperto la settimana con un articolo che criticava alcune degenerazioni nate dal grande successo ottenuto dalla birra artigianale. A sette giorni di distanza tiro nuovamente in ballo l’argomento, perché nel frattempo ho riflettuto a lungo su quel post e ritengo che io debba fare qualche passo indietro, o quantomeno qualche correzione. Non ho mai nascosto il mio augurio che la birra artigianale possa diventare un bene sempre più accessibile – in termini di prezzo e reperibilità – dunque sarebbe un antipatico controsenso fare certi auspici e intanto inorridire di fronte ad alcune evoluzioni dell’ambiente. Mai nella vita vorrei apparire come un classico ipocrita benpensante…

Ho sempre sostenuto il carattere popolare e conviviale della birra: è una bevanda che avvicina le persone e che esiste da quando esista la civiltà umana. E’ stata correttamente definita “lubrificante sociale”, ma è anche un prodotto capace di accompagnare ed esaltarei rapporti interpersonali. Ognuno ha la sua idea su come dovrebbe evolvere la birra, questo è sacrosanto. Ma è inutile aspettarsi che tutto si sviluppi esattamente secondo i propri desideri, sarebbe utopistico. Perciò ho deciso di pormi diversamente nei confronti di certi fenomeni, per quanto non mi vadano propriamente a genio.

In effetti di per sé certe evoluzioni non sono altro che il termometro dell’inarrestabile crescita della birra di qualità. Se il più classico dei ristoranti turistici di Piazza Navona espone un bel cartello dove invita i suoi clienti ad assaggiare l’autentica birra artigianale italiana, forse significa semplicemente che ci stiamo allontanando da quel consumo di nicchia che ci ha sempre caratterizzato. Che – per inciso – è un obiettivo che spero si raggiungerà in un futuro prossimo.

Se i beershop capitolini sono presi d’assalto da giovani consumatori, se per molti bevitori esistono solo le AiPiEi, se oggi è disponibile sotto casa una birra per la quale anni fa occorreva attraversare mezza Europa, dobbiamo farcene una ragione – ed esserne anche soddisfatti, se ci riusciamo. Un fenomeno in forte crescita difficilmente prescinde da una certa componente modaiola, con tutte le conseguenze aberranti che ne possono derivare. Al netto di quest’ultime, l’appassionato oggi può solo godere, data la crescente facilità con la quale può alimentare la propria passione.

Un minimo di atteggiamento snob è probabilmente inevitabile da parte di chi ha visto crescere un settore, soprattutto se ne ha vissuto i tempi più “carbonari”. Che poi il sottoscritto non può certo vantare una militanza paragonabile a quella di tanti veri pionieri: cosa sarebbe accaduto se già allora il settore si fosse chiuso su sé stesso?

Esistono neofiti buoni e cattivi, ma tutti partono con un pesantissimo bagaglio di incompetenza. Non è una colpa essere ignoranti, semmai lo è non voler apprendere. Ed è questa predisposizione a distinguere i primi dai secondi. Il ruolo chiave lo gioca chi è appassionato e può traferire conoscenza a chi si trova a compiere i primi passi. E’ un compito arduo e complicato, ma senza di esso non esisterebbe la birra artigianale. Quindi qualsiasi atteggiamento snob, se fine a se stesso, è solamente dannoso.

Ecco perciò che forse sarebbe più corretto concentrare l’attenzione su chi deve fare comunicazione, non su chi deve riceverla. Secondo me la birra in Italia deve uscire dai ristoranti e dalle enoteche e riappropriarsi degli spazi che le appartengono, in primis i pub. Deve perdere quell’aura elitaria che qualcuno insiste a volerle attribuire, ma credo sia difficile se i neofiti percepiscono come snob l’atteggiamento di chi vive l’ambiente giorno dopo giorno.

L'autore: Andrea Turco

Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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41 Commenti

  1. Mi pare che siamo entrati in una fase di snobismo a giorni alterni con tutto e il contrario di tutto. Un giorno si da contro ai ragazzetti che si scolano la bottiglia a canna sui motorini. Salvo poi esaltare fenomeni di follia di massa su una nave, dove stimati professionisti del settore si gettano sotto le spine o a fare le indianate; oppure inneggiano ad atteggiamenti dandy/decadenti “e se morimo domani”. Poi il giorno dopo si da contro alla birra da ristorazione che deve ritornare nei pub e riappropriarsi degli spazi che le appartengono. Se e’ un lubrificante sociale, facciamo che penetri dentro di noi senza metterci dentro sti granelli di sabbia…Io sto dalla parte del giorgione oggi, domani bevo nel teku col ditino alzato.

    • E magari hai ragione tu, meno pippe mentali più birra, in tutte le sue forme. Lo terrò a mente.

    • NON FA UNA PIEGA, grande amarillo!

    • La tua ultima frase è una sintesi perfetta 🙂

      Dal mio punto di vista la “degenerazione” la vedo soprattutto in chi vende il prodotto, e questo lo dico da appassionato. Come scrive sotto SR la diffusione del prodotto può annullare la passione, la ricerca, la voglia di sapere cosa ci sia dietro a una birra (nel caso di qualcuno -troppi ultimamente-: nulla, un marchio e poco più) e chi sta dietro a un bancone ormai vede solo il potenziale di vendita del prodotto. Cioè, non c’è più comunicazione e capacità di guidare una scelta.
      Niente contro il pischello che beve IPA, non è lo stile in se il problema ovviamente, ne è la passività di chi si avvicina a questo prodotto. La mancanza di un qualsiasi individuo in grado di dare una possibilità di scelta, perchè spesso o volentieri non ne è in grado.
      Ho visto beer-shop gestiti da appassionati, che correndo anche rischi legali hanno cercato di offrire bicchieri a chi si beveva a canna una Gueuze, e tutti a Roma (gli appassionati, sono tanti e in molti casi PREPARATISSIMI) sanno dove andare a bere…Ma sono pochi in confronto alla massa che si sta avvicinando al prodotto. Cosa giusta e ampiamente prevista, ma se su 200 posti ce ne sono 7 con una giusta guida dietro alle loro scelte, il lavoro di comunicazione di questi 7 sarà tranquillamente cancellato, perchè non c’è mai stato supporto da parte di nessuno per quei 7.

      Personalmente io vendo uguale, forse anche di più…Ma mi sento veramente inutile in questo momento, tanto il sommelier migliore al mondo che dice di bere “birra rossa” venderà ugualmente un sacco di birra “artigianale” e altrettanto farà la bancarella di Piazza Vittorio, senza comunicare quello che veramente faceva appassionare al prodotto o peggio ancora facendone la dovuta attenzione nello stoccaggio.

      C’è appiattimento: il mercato consente di uscire vincenti senza saper fare il proprio lavoro: birrai e venditori compresi. E’ moda e probabilmente fra un pò ci riprenderemo le storie e gli aneddoti, ma a me vedere un Frasca che si entusiasma per la Tilquin, va a visitarlo e se ne innamora, mi entusiasma, perchè gode del suo lavoro…Vedere la stessa birra in mano di qualcuno che vendendola dice “E’ una GUSE, sa de limone” (SE riesce ad arrivarci al “limone”) oppure vende IPA e dice: “so’ le pale ale indiane” è deprimente, perchè al consumatore non fa differenza…E’ giusto? Non credo per un appassionato, per un VERO birraio e per un buon venditore.

      Non credo sia snobismo, magari ad averne 2000 di rivenditori che almeno sappiano distinguere uno stile…Forse è solo che sto diventando vecchio 🙂

      • “Non credo sia snobismo, magari ad averne 2000 di rivenditori che almeno sappiano distinguere uno stile…”

        Pienamente d’accordo!!
        possibile che nella maggior parte dei casi ne sappia più io che il tizio che mi sta servendo o vendendo una birra?
        delle volte è davvero imbarazzante.. basterebbe leggere un po’

  2. Ottimo post! “Secondo me la birra in Italia deve uscire dai ristoranti e dalle enoteche e riappropriarsi degli spazi che le appartengono” sacrosanta verità! Anche perchè quando vado al ristorante/enoteca e mi chiedono 15/17 euro per una birra del borgo, baladin o simili, il “carattere popolare” si perde un tantino…
    Solo una precisazione: se prendi un giovane consumatore di sole AiPiEi e gli dici AiPiEi non sa di cosa parli…Dovresti dire IPA!!! 😉

  3. Il problema non è ora, che questa moda è in rapida espansione, il problema sarà quando la moda finirà.

    Capisco che possa dare fastidio vedere giovani o meno che si scolano a canna le IPA, solo perché di moda e non perché ci siano dietro ragionamenti tesi alla comprensione della qualità, ma queste sono inezie e servono comunque ad alzare i consumi e spostarli verso l’artigianale. Qualcuno di questi smetterà con il finire della moda, altri resteranno fedeli anche dopo il boom.

    Sinceramente, nell’evoluzione della birra artigianale in Italia, più che i consumatori, mi danno fastidio molti birrai che affrontano la produzione senza un minimo di conoscenza. Siccome sono home brewer da 10 anni, pensano di saper fare birra. In pratica trasferiscono conoscenze, metodi e tecniche HB in ambito professionale.

    Da qui una marea di prodotti senza senso, si fanno Pils rifermentate! Si filtra prima della maturazione, si esegue la maturazione prima della carbonatazione e di amenità del genere potrei riempire una enciclopedia.

    Di questo a chi dare la colpa se non a chi ha divulgato sistemi e tecniche senza avere alcuna competenza.

    Altra cosa che duole parecchio è sentir dire e ahimè si sente spesso: a me le basse non piacciono, perché non sono buone come le alte. Ma l’avessero mai provata una bassa fatta bene? Evidentemente no, certo molto più facile trovare alte buone che basse buone, ma se le provi poi t’innamori. O ancora chi si fa spremute di luppolo, perché se la birra non sa solo di luppolo, non è buona.

    Purtroppo l’evoluzione in Italia non avviene come dovrebbe e con l’aumentare delle birre proposte e dei birrifici, aumentano le castronerie e le cose senza senso, ma viva Dio, l’evoluzione c’è e questa è la cosa più importante.

    • beh, sempre per il discorso dell’altro post: non abbiamo tradizione (leggasi=non sappiamo fare/cos’è la birra) quindi via alla fantasia e alla libertà. 😀

      Per il resto, meno pippe davvero. Il mondo della birra artigianale sta trascurando troppo il prodotto e le semplici bevute in favore di protagonismi e Gimmick vari.

  4. Ciao Andrea, da piccoli ristoratori con la grande passione per le birre, abbiamo pensato per anni di proporre le specialità che nel tempo abbiamo conosciuto e amato… negli ultimi tempi finalmente, grazie anche alla “moda” del momento, abbiamo trovato il coraggio di fare il passo e posso dire con grande soddisfazione che la gente ci segue con curiosità e rispetto per i prodotti che proponiamo:)))..se 10 anni fa qualcuno mi avesse detto che avrei servito una ROSE’ DE GAMBRINUS alla spina… mah??? Avrei sorriso…ciao

  5. un decina di anni fa e più si andava a bere nei pochi locali di qualità che c’erano. ognuno ci aveva le sue preferenze, andava di gran “moda” il Belgio fra gli appassionati (quattro gatti figli di K), altro che le pignazze di oggi, ma in ogni caso si parlava e si imparava dai (pochi) publican che ne sapevano, si discuteva e ci si confrontava con gli emergenti, si andava spesso alle deguste e si assorbiva più infos possibili, oltre che alcool. poi c’era internet, il mitico IHB, dove ci si poteva raggiungere tutti, confrontarsi coi pionieri, con gli altri appassionati e imparare, ripeto imparare, tante cose. chi non sapeva, aveva poche certezze, molti dubbi, tanta curiosità e in genere si asteneva da certe sboronate. nella mia onorata carriera non mi è mai capitato di dire “dammi la più forte/amara che ciai”. in verità, nei locali di un certo spessore, non mi è nemmeno mai capitato di sentirlo. le vacanze spesso si facevano viaggiando all’estero e cercando di imparare. e quando conoscevi qualcuno che la sapeva più lunga di te, più che dargli conto se ti sminchiava, prendevi nota

    ricordo che più d’uno lamentava il fatto che gli stili tedeschi venivano colpevolmente trascurati. non sono mai nate faide. il motivo è semplice: avevano ragione ed io che bevevo quasi solo Belgio non mi sentivo più figo né pensavo che i teutonici fossero degli imbecilli. mi sentivo un po’ in colpa, mi ripromettevo un giorni di aggiornarmi, ma al momento seguivo le mie preferenze. non sono mai andato a dire a uno che diceva che le Pils erano trascurate “beh, trovamene una che sa di banana”

    c’era meno snobismo? non quello che si intende in questo post. si era meno “smorbi” come si dice dalle mie parti, trovare una Rodersch o una bottiglia di Arabier era una conquista, oggi si sbadiglia, c’è la pappa pronta ad ogni angolo. il che non è necessariamente un delitto, la varietà è un valore, se non si degenera nella ricerca esasperata di una novità ogni volta che si esce di casa. in molti casi i gusti si sono semplicemente affinati e definiti, io quando trovo una birra che mi piace sono felice anche se l’ho assaggiata 1000 volte. però lo snobismo da enclave non c’era e non credo ci sia nemmeno oggi. per me parlare con neofita non cretino è sempre un grande piacere seduti al bancone. e credo che il web non sia per nulla rappresentativo dei banconi in giro per lo stivale

    cmq la pappa pronta non aiuta lo sviluppo di una passione. spiace, ma è così

    si era un po’ meno carogne forse sul web, va riconosciuto, ma c’erano anche meno fessi. dietro una tastiera siam tutti più fighi: lo sono gli sceriffi, figuriamoci i cretini. e una bottiglia di birra costava 1-2 euri in meno, si era tutti più ben disposti d’animo forse. anche questo è un effetto della moda

    ogni tanto al festival ne uscivi con le ossa rotte. ma avevi il tuo perchè e il birraio più che prenderti a bastonate ti stringeva la mano. ogni tanto. *ogni tanto*

    mai bevuta una birra come si deve a canna

    qualche strigliata me la sono presa, ma nessuno mi ha mai dato del burino o del cretino. forse perchè non mi sono mai approcciato da cretino

    cos’è cambiato oggi? per me in realtà non molto. fanno molto più chiasso (e pena) i “damme la più amara che hai”, ma credo (spero, confermatemelo) che anche a Roma se vi mettete a contare il numero di bevitori di qualità normali, questi siano di gran lunga superiori ai subnormali. e se uno predilige le A-IPA non è detto che sia un subnormale, beninteso (a me piacciono moltissimo)

    si è allargata la “base” dei bevitori, si è fatta più sfaccettata, tutto qua

    io dicevo una volta che la birra buona bisogna trovarla anche dal benzinaio e non ho certo cambiato idea. moda e diffusione non sono cose necessariamente collegate. dico anche che una birra buona che trovi dal benzinaio, magari stabilizzata, sicuramente massificata, non può costare come una birra buonissima, locale, integra a fragrante. discorso che poi andrebbe declinato per stili, sulle rifermentate il problema quasi non si pone

    io cmq la penso come il Tyrser: per alcuni prodotti birrari bisognerebbe prima prendere la patente, altrimenti rischi di essere speculazione e perle ai porci. io però la birra la bevo, mica la vendo…

    chiudo con un consiglio SPASSIONATO ai tanti lettori romani: provate ad uscire dal raccordo anulare. in giro per il Bel Paese non si trova tutto quello che gira da voi, ma vi accorgere che non è nemmeno il Circo Barnum che puntualmente mi capita di leggere dai vari resoconti. nei locali giusti vi riconcilierete con la fauna che da sempre è e dovrebbe essere quella dei bevitori di birra

    • Mi sa che il mare ti ha fatto bene 🙂
      Condivido molto, direi tutto

    • “io dicevo una volta che la birra buona bisogna trovarla anche dal benzinaio e non ho certo cambiato idea. moda e diffusione non sono cose necessariamente collegate. dico anche che una birra buona che trovi dal benzinaio, magari stabilizzata, sicuramente massificata, non può costare come una birra buonissima, locale, integra a fragrante. discorso che poi andrebbe declinato per stili, sulle rifermentate il problema quasi non si pone”

      mi spieghi questa parte non capisco.
      Cosa intendi per stabilizzata? pastorizzata?
      e perchè sulle rifermentate non si pone?

      • per stabilizzata intendo microfiltrata, poco o anche tanto. o, peggio, pastorizzata flash. se un 6-pack mi costa 8 USD (ma anche meno) e bevo più che decentemente sono felice, perchè mi sto confrontando come fascia di prezzo con una Bud, e non c’è paragone

        se questa stabilizzazione mi porta lo stesso prodotto dentro a bottiglie infiocchettate a prezzi da rapina, allora il mio riferimento non è più l’industria delle birre da muratore e metto mano alla pistola. e pretendo un prodotto con tutt’altro processo produttivo, altri numeri, altra freschezza e integrità del prodotto. che giustifichi il costo. fermo restando che il costo non può quadruplicare in ogni caso

        sulle rifermentate non si pone perchè parecchi stili di quel genere hanno una shelf life più lunga grazie a struttura e alcool differenti e rifermentazione che garantiscono una vita più lunga senza interventi di stabilizzazione che fondamentalmente uccidono la birra. è una caratteristica propria di alcune tradizioni birrarie. ci sono ovviamente vari tipi di sfumature produttive anche in questo caso ma non credo proprio che una Westmalle, in ogni caso, esca microbiologicamente morta dallo stabilimento per poter sopravvivere dignitosamente 6 mesi su uno scaffale. basta agitarla per rendersene conto. altri stili, rifermentadoli, si snaturano e una certa stabilizzazione diventa una scelta competitiva nell’ottima di una shelf life maggiore che assicuri grande produzione e diffusione sul mercato

        • Non per fare lo sceriffo degli sceriffi, ma solo per precisione, la pastorizzazione flash è solo per la birra in fusti, per bottiglie e lattine si esegue la pastorizzazione in tunnel o in vasca. Mentre la rifermentazione in bottiglia assicura una certa durata, la maturazione in bottiglia (quella fatta nei micro Italiani) molto meno, problemi noti a dimostrazione. La stabilizzazione è però tutt’altra cosa. Per il resto quoto.

          • intendi dire che i micro italiani imbottigliano troppo presto?

          • No intendo dire che la rifermentazione in bottiglia è un ottimo metodo di conservazione, oltre che tecnica produttiva, almeno su alcune tipologie. Mentre ciò che si fa in Italia è una semplice maturazione in bottiglia, che poi da i problemi che tutti conosciamo per esperienza diretta.

            E torniamo al discorso delle precedenti discussioni sulla mancanza di scuole in Italia, i birrai Italiani che conoscono la differenza tra le due tecniche si contano sulle dita di una mano, gli altri eseguono una tecnica convinti di farne un’altra, come da denominazione errata sul 95% delle etichette Italiane. Il potere della fantasia.

  6. Personalmente preferisco che i “psichelli” di oggi bevano Revelation Cat, Mikkeller, Nogne O e compagnia bella (e buona), anche a canna se vogliono (capiranno poi col tempo come si gusta una birra…), piuttosto che peroni, ceres o corona come fino a qualche anno fa…

    • Sicuramente meglio. Ma anche non capisco perché nessuno beve più Sierra nevada o samuel smith. si è persa la misura secondo me,

      Sui vari bicchieri, stili, etc etc non ne farei una crociata. Ognuno è libero di bere cosa e come gli pare.
      Il problema del bere bottiglie di 5 6 euro dal collo è più un fatto di opportunità che altro: il prodotto non mostra tutte le sue qualità (vale pure per la coca cola) e si sono buttati soldi.

      cmq, se si vuole imparare bene, ci sono i canali e le persone adatte. se NON si vuole imparare e rimanere inconsapevoli, meglio ancora.
      Per il 90% di bevitori la cosa principale resta il piacere nel farlo, non diventare conoscitori della materia. E puntare il dito contro chi ne capisce poco è diventato una sorta di sport di chi ha poco altro a cui pensare.

      Dovrebbero invece essere TUTTI i publican capaci, competenti e, soprattutto, onesti.

  7. Ok per la diffusione, perfettamente d’accordo che non fa male…il ragionamento mi sembra sia “Intanto ve bene che iniziano a berle, poi impareranno come farlo…”. La domanda che mi/vi faccio è: Ma chi gli insegnerà a farlo? Chi gli insegnerà ad usare il bicchiere? (E chi glielo dirà che non tutti i bicchieri sono uguali?)

    • Di “insegnanti” ce ne sono tanti e ottimi, forse una volta la loro percentuale era maggiore, ma se hai voglia di imparare li trovi

      Il punto è se vuoi imparare o meno… credo che molti vogliano imparare ancora, nonostante oggi si possa bere tanto e bene senza dover necessariamente “studiare”

  8. A parte condividere il primo pensiero di Amarillo e le parole di SR, direi che un po’ tutti bisogna schiarirsi le idee e suggerire la rotta a questa barca che è la birra italiana, ancora senza precisa identità.

  9. Cominciamo a guardare dentro di noi, e accettiamo, con una pastorizzazione flash, nel caso, i neofiti.
    Io ho visti la luce iscrivendomi ad un corso nel 2000 tenuto al Baladin da Kuaska e Teo.
    http://groups.google.com/group/it.hobby.birra/msg/86a8ef050cea283f?hl=en
    Avevo già bevuto cose, ma non capivo una fava di stili e produttori.
    Kuaska doveva sputarmi in un occhio?
    Ma andiamo avanti….gli sceriffi:Ricci la prima volta l’ho raccattato spaurito ad un IBF nella vecchia fiera di Milano e non era il fulmine di guerra che è ora ;-)…ricordo che qualche tempo dopo mi disse che l’aveva stupito il fatto che avessi continuato a passeggiare tra gli stands con lui assaggiando insieme.
    Tyrser…vabbé, la prima volta che salì a Rodero al Bi-Du ordinò una Schweppes…
    i migliori Publican d’Italia…..Nino l’ho sentito con le mie orecchie, al primissimo incontro con Kuaska a Nicorvo, dichiarare che teneva la Kimai.
    Mi dicono di un Alex attaccato come una cozza al bancone del Macche per mesi quando ancora non trasportava in aereo le ConsEcration come bagaglio a mano.
    Conosco poco la storia romana…chissà quanti aneddoti il Turco porebbe snocciolare…e chissa quante Tennent’s Super si è sparato, tra un Adelscott ed una Biere du Demon.
    I birrai!..lasciamo perdere che sennò supero in battute il Ricci e mi cade in depressione…
    Insomma da queste cose sono passati al massimo dieci anni e in molti casi si tratta di episodi di quattro o cinque anni fa…
    Cosa volevo dire?mah…

    • Ricordo con nostalgia le prime uscite in macchina a Trastevere. Alla Birreria Trilussa (sì, proprio quella davanti al Macche, quando ancora non era il Macche) per 8 mila lire potevi scolarti un litro di Tennent’s (o quella che era)

    • non era un IBF, era il Salone della Birra Artigianale e di Qualità. davanti allo stand di White Dog. si camminava circoscritti per paura dei sicari del Polli 🙂

    • aggiungo, se ricordo bene

      era in concomitanza con una notte bianca milanese e ricordo la processione dei romani venuti in treno da Roma per assaggiare qualcosa e tornare in mattinata

      quando Roma era poco più di un deserto birrario e il top del top era l’Oasi della Birra

    • Ti voglio bene, hai riaperto un mondo!
      La Schweppes era probabilmente lemon…
      E tu sai che custodisco gelosamente un pezzo di carta con la tua firma 🙂
      Quel Salone della Birra Artigianale e di Qualità era davvero bello, ma meno di quello del cioccolato adiacente….

      • E come no…in quel corso nacque il matrimonio Biroldo-Lambic…
        Del Salone del Polli preferivo la versione con la contemporanea del Salone del Fumetto, impagabile bere birra di fianco ad una cosplay di Sailor Moon.

    • Alex mi ha chiamato confermando e puntualizzando che al bancone si faceva un bel po’ di Tennent’s.

      • Beh, i tempi della Tennent’s super del 2001 erano leggendari…Solo che lui preferiva il Malibù del Trilussa 😉

        • super tennent’s vera gateway beer? :°D Anche io ne ho abusato in maniera considerevole.

          Ma se alcuni dei migliori publican al mondo hanno iniziato bevendo TS, chi si sgola le AiPiEi a 15 anni da grande produrrà 600.000 hl di birra artigianale? 😀

          Io penso proprio di no.

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