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Possibile che nell’ambiente della birra italiana non succeda più niente?

27_ORE_10_CALMA_PIATTA_DVD-500x500Calma piatta. Questa è l’espressione che mi viene in mente se devo descrivere l’ultimo periodo di birra artigianale in Italia. L’impressione – ampiamente condivisa – è che le notizie importanti, quelle da meritare il “titolone”, stentino a emergere nonostante il movimento continui a mostrarsi decisamente in crescita. Questo aspetto si ripercuote anche sul blog, dove mi ritrovo sempre più spesso a pubblicare articoli di “cronaca” (eventi, novità, ecc.), piuttosto che analisi sulle nuove tendenze del settore o scoop di grande interesse. Per anni questo ambiente è stato un ribollire continuo di idee, progetti, evoluzioni e – inutile nasconderlo – pesanti polemiche. Da qualche tempo invece mi sembra che abbiamo imboccato una strada ben diversa, dove tutto rimane sopito e tranquillo e solo ogni tanto compare qualche importante novità. Perché si è arrivati a questo punto? È un bene o un male per il settore?

Ragionando sull’argomento, sono arrivato alla conclusione che l’attuale situazione è probabilmente figlia di una raggiunta maturità del movimento. Gli anni passati sono serviti per definire alcune dinamiche, che ora si sono consolidate. È come se gli operatori del settore abbiamo lavorato a lungo per definire delle direttrici da seguire, e ora che i sentieri sono lastricati, li hanno imboccati in modo definito. Così si spiegherebbe questa stasi duratura, destinata a rimanere tale almeno fino al prossimo grande scombussolamento dell’ambiente. Ammesso che avvenga.

Attenzione, non sto affermando che tutto rimarrà invariato, con le stesse identiche caratteristiche di oggi. Probabilmente nel prossimo futuro cambieranno i protagonisti e alcune situazioni generali, ma ciò accadrà seguendo quelle dinamiche che si sono stabilizzate nel tempo.

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Prendiamo la famosa (o famigerata) attitudine dei birrifici italiani alla sperimentazione. Una tesi vuole che questa fase si sia definitivamente chiusa, per lasciare spazio a modelli più bilanciati. Un’altra sostiene invece che la sperimentazione si è così affermata come cifra stilistica da non fare più notizia. Qualunque delle due considerazioni sia vera – ammesso che non valgano entrambe allo stesso tempo – la verità è che oggi non possiamo considerare i birrai italiani solo sperimentatori o creativi: le birre “strane” rimangono protagoniste, ma al pari delle produzioni standard, verso le quali mi sembra di notare una maggiore attenzione rispetto al passato. Oggi se te ne esci con una linea di birre tutte affinate in legno, o con una ricetta che prevede un ingrediente particolarmente inusuale, non fai più notizia.

La velocità di evoluzione dell’ambiente (non solo italiano) amplifica questo fenomeno, contribuendo a normalizzare rapidamente anche tendenze emerse di recente. Prendiamo quelle delle birre collaborative e delle one shot: da novità assoluta per l’Italia sono diventate ben presto un modello di business condiviso da molte aziende, capace tra l’altro di fornire ottimi risultati soprattutto se orientato ai mercati esteri.

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Spostando l’analisi al mondo dei locali birrari, direi che anche in questo caso le grandi rivoluzioni sono già state compiute. L’enorme successo delle birre di qualità ha portato a una ridefinizione del concetto stesso di pub, che si è trasformato in un luogo curato e raffinato, dove l’aspetto gastronomico ha raggiunto vette clamorose e con un’offerta birraria elevata sia a livello quantitativo che qualitativo. Chiaramente ogni nuova apertura propone qualcosa diverso e rivisita il concetto a modo suo, ma la direttrice di fondo, la tendenza comune, è sempre la stessa.

I più ampi margini di cambiamento ci sono forse a livello di associazionismo. Qui maggiori protagonisti hanno accumulato sempre maggior ritardo rispetto agli operatori, al punto che oggi la situazione sembra ferma a diversi anni fa. In questo triste contesto l’attività dell’industria non fa neanche più notizia, anche per il benestare di tanti produttori italiani. Molti birrifici hanno trovato nell’associazione delle multinazionali il loro interlocutore privilegiato per la tutela dei propri interessi, con tutto ciò di avvilente che questo comporta.

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Il discorso fatto fin qui può valere anche per altri aspetti del movimento italiano. Tutto sommato credo che questa calma (più o meno apparente) sia un bene: significa che l’ambiente è passato a un nuovo livello di crescita, dove i margini per l’improvvisazione sono molto più ridotti che in passato. Il rovescio della medaglia è che forse ci si diverte un po’ meno: ma tutto sommato preferisco bere bene piuttosto che sollazzarmi con pettegolezzi e polemiche (che tra l’altro non gradisco mai). Al massimo dovrò faticare un po’ di più per cercare di non scrivere solo cronaca su Cronache (anche se può sembrare un paradosso 🙂 ).

Le mie impressioni sono anche le vostre? Secondo voi da cosa dipendono? Oppure sono io a vederla in questo modo al momento?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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45 Commenti

  1. io non concorso sui locali. credo tu sia deviato dalla situazione romana, che è l’anomalia e non la normalità in Italia. ci sono prateria intere da conquistare, a partire da Milano dove l’attività di Polli è ben lontana da saturare il mercato. per non parlare delle altre città ancora più indietro. mancano, tranne un paio di casi, locali con un offerta di spine “esagerata” e varia e con un pubblico in grado di sostenerla. e manca soprattutto quello che è il modello startup vincente là dove ce l’hanno fatta sul serio: il brewpub, e lì la mancanza è pure romana. locali ampi, con grande offerta birraria autoprodotta e cibo in Italia non esistono, o quasi. tranne il Lambrate, è più un accessorio del birrificio che i core business con cui si parte

    certo l’ambiente è diventato più palloso, secondo me soprattutto per il fatto che fra professionisti e presunti tali i comportamenti protomassonici si sono moltiplicati e molto più spesso molti per quieto vivere “si ritirano dalle scene” facendo il proprio lavoro e stop. sarebbe però opportuno chiederlo alle nuove leve, noi oramai siamo dei vecchi rottami

    • Sì è vero sul concetto di brewpub ci sarebbe ancora molto da fare. Sui locali mi sembra che ormai un certo modello si sia affermato, Roma o non Roma. Se non sbaglio nei suoi BQ Polli ha comunque cercato di proporre panini di qualità, mentre l’apertura del nuovo locale Baladin a Milano è orientato non solo al bere. In generale la visione classica di pub è stata rivoltata come un calzino.

      • probabilmente Polli il panino di qualità se l’è inventato prima dei romani mentre Baladin a Milano è ancora tutto da vedere e da misurare al momento: da quanto si leggeva mi pare di aver capito che l’offerta sarà ben più modesta degli Open, poi si vedrà. però non mi pare che due locali a Milano possano determinare una tendenza… né in città, né nell’Italia extra-romana (dove peraltro mi pare che senza leggere la parola Bonci non sia possibile concepire qualcuno che fa dei carboidrati di qualità)

        se vogliamo parlare di nuove visioni, molto più successo sta avendo l’ibrido beershop con mescita come diffusione. ed anche la riconversione dei bar con vie di proprietà sta lentamente prendendo piede: la fisionomia resta quella del bar (quindi senza cucina), ma si beve bene e si va di aperitivi

      • Sui brewpub concordo che ci sia molto spazio (ma non è la cosa più semplice da fare .. a livello autorizzativo il percorso è più complicato di quello di aprire un piccolo impianto). Secondo me il salto definitivo avverrà quando (e non se…) uno dei produttori di punta del movimento proverà a fare il salto con una serie di locali a mescita diretta (per intenderci il passaggio fatto da Brewdog in UK, Svezia e a fine anno in Brasile). Il rovescio della medaglia sarà però che per farlo (chi vorrà) dovrà per forza di cose darsi una organizzazione… e le gatte da pelare saranno molte. A me non dispiace pensare (sognare?) che l’Open non sia che il primo…

    • Concordo sulla parte del brewpub, continuo a chiedermi come mai in Italia ci sia questa mancanza… Mancano i fondi oppure il coraggio?

      • Forse entrambi, fatto sta che a livello burocratico ed economico in Italia è già un casino aprire un birrificio o un locale, figuriamoci entrambi in un’unica soluzione

        • secondo me il problema vero alla fine della fiera è che chi apre un birrificio con cognizione di causa è spinto innanzitutto dal “sacro fuoco”, e ci sta, ma ha una visione di business un po’ più claudicante. vuole realizzare un sogno, che non è quello di stare dietro alle spine dalla mattina alla sera bensì quello di CREARE. qualche volta varrebbe la pena anche cercare qualche socio e/o finanziatore per associarci un locale che garantirebbe anche un canale di vendita sicuro alle proprie creazioni, cosa non proprio trascurabile…

          • Ma avete idea dello spazio oggi che serve per aprire un brewpub? Anche se le licenze sono state liberalizzate, per un brewpub non vai a comperarne una “in opera”, ma ne richiedi una nuova. E ti richiedono spazio interno, spazio esterno. Già un ristorante ci vogliono celle, cucina, dispense e ripostigli. Mettici anche un birrificio dentro con sala cottura e fermentatori, stanza dei malti, stanza del mulino, ufficio accise etc. etc. E se lo vuoi aprire in zona centrale, gli affitti restano molto cari. Un bagno di sangue… e poi per il ristorante devi trovare chi lo gestisce, cuochi, camerieri… Bravo chi ci riesce, ma non è assolutamente facile

          • nessuno ti obbliga a fare l’impianto di produzione esattamente dove hai il locale. io vedo birrifici aprire come funghi. vedo negozi chiudere e licenze nuove senza problemi (Polli docet). fare le due cose assieme non mi pare impossibile eh… e non penso che aprire un locale a Cremona/Ascoli/Bergamo/Genova/Perugia/Bari/ecc. sia una cosa inarrivabile. o no?

  2. Io la definirei la calma che precede la tempesta:
    Rispetto al 2012, Nuovi birrifici: + 20% Nuovi pub indipendenti o con spine indipendenti? < 5%, la crescita dei consumi riguarda solo un numero ridotti di attori.
    Interbrau che sponsorizzerà con Birrificio Antoniano il banco belgo-italico del CAMRA ed inizierà a vendere birra
    Borgo esce dalla distribuzione Interbrau
    Toz e Gjulia tra le più vendute, per il basso prezzo, ma marchiate come artigianali
    Sempre più aziende vitivinicole aprono un birrificio o commissionano a terzi delle birre
    I movimenti nazionali spaccati e divisi e diverse altre mosse, che singolarmente, lasciano il tempo che trovano, ma che unite tutte assieme porteranno la birra italiana, che ancora non si è ben strutturata, ad uno tsunami nei prossimi 12-18 mesi. Si attende la mossa che inneschi l'esplosione, mossa necessaria, ma che nessuno vuole fare per primo…

    • …. sicuro che Interbrau venda la propria quota di Borgo? Attività che fa soldini non si vende.
      Antoniana… vediamo che prodotto fanno e i consumatori (credo soprattutto Padovani) ne decideranno la sorte. Credo sia corretto dare il beneficio d’inventario almeno fino all’assaggio… Di Toz, Gjulia (ma anche dei Ma(o)stri Umbri) faranno la fine della Private label Birra Artigianale di Carrefour…
      Sui bar-pub-spine independenti nei miei giri ne vedo pochini pochini mentre sono sempre di più i bar normali che vendono anche Artigianali e o Specialità (certo non sono tutti Mastro Titta…)

  3. Ormai ho paura di rimettermi in gioco.
    Sono un vigliacco.
    Ma cos’è successo in tutti questi anni, ditemelo voi, io non lo so più.
    Sai una cosa Andrea? Sei peggiorato. Non riesci più a provare un sentimento autentico.
    Ti si stanno imbiancando le tempie.
    Incominciano a pesare le sconfitte.
    Una serie ininterrotta di sconfitte.
    Siamo tanto cambiati, tutti peggiorati, oggi siamo tutti complici.
    Siamo invecchiati, siamo inaciditi, siamo disonesti nel nostro lavoro.
    Gridavamo cose orrende, violentissime, nei nostri cortei, e ora guarda come siamo tutti imbruttiti.

  4. Concordo sul fatto che questa calma sia un bene e secondo me raggiunta questa “maturità” si dovrebbe cercare di spronare di più la gente ad avvicinarsi a questo mondo…In che modo? organizzando sempre più eventi come quelli fatti a roma (vedi spring beer festival) e nello stesso tempo istruire di più chi commercializza il prodotto artigianale, perchè è vero pure che adesso si riesce a trovare sempre più birra di qualità nei pub o nei locali ma è anche vero che spesso chi vende non sa che cosa sta vendendo… con questo voglio dire che magari invece che rompere questa “calma piatta”, che si sta creando, con qualche idea nuova, a mio parere si dovrebbe organizzare sempre più eventi tipo quelli che citavo prima oppure come fa il Borgo (vedi B8D) in modo da portare la maturazione raggiunta a tutti.
    Acculturare il popolo italiano sulla qualità del prodotto italiano sarebbe la più grande novità, sempre senza tralasciare la sperimentazione…

  5. I primi cinque mesi di questo 2013 sono stati deludenti, i nuovi birrifici o beerfirm nati puntano su birre della tradizione belga o si buttano sulla moda amara delle ipa e apa, senza però raggiungere i picchi dei birrifici esteri emergenti, tipo kernel. Peccato per questo appiattimento anche perchè negli scorsi anni si cominciava a notare una certa specificità italiana che ora mi sembra persa

  6. Ben venga questa calma piatta. Meno stronzate e più birre di qualità! E possibilmente sempre più aderenti agli stili…

  7. Sono molto d’accordo con la mancanza di posti in cui bere birre di qualità in abbinamento a cibo di qualità. Nella maggior parte dei casi, il brewpub tende a non voler perseguire realmente questo binomio, ed è forse il motivo per cui in Italia (e non solo) sia il fenomeno meno esplosivo della scena. Da neofita della birra di qualità italiana, concordo fortemente con Attilio, quando richiama alla necessità di creare e lavorare sulla cultura birraia italiana, per superare la semplice moda. Da homebrewers a publicans ci dovremmo tutti rimboccare le maniche…

  8. Questo piattume un po’ mi ricarica, mi sembra si sia passati dalla volontà di far conoscere a tutti questo mondo al bisogno di tenerselo più stretto possibile per paura di perderlo. Eventi su eventi, molto show e poca sostanza, la gente si sta più infatuando della caciara e del giro che della birra in sè.
    Riguardo a pub e brewpub, sogno ci siano più brewpub ma che siano anche “Open”, che puntino sui prodotti propri ma anche altrui, dato che il pubblico si è talmente tanto abituato alle novità che se c’è un posto che spilla le stesse birre pure ottime, finisce che alla lunga viene comunque snobbato. Per non perdere questo pubblico ormai in cerca dell’ultima birra arrivata, secondo me sarebbe un bel compromesso.
    E poi bisogna mettersi al lavoro…non basta aprire locali o birrifici per essere veri attori del fenomeno birra artigianale.
    Mi auguro la calma apparente sia il segno di una fase più matura dove le notizie ed il clamore saranno secondari e solo al servizio del buon bere.

  9. Intendi in tutta Italia? Perchèse intendi a Roma allora stiamo freschi.. Io scrivo dalla provincia più povera d’ Italia e se paragoni ciò che trovi tu nel raggio di 10 km da casa con quello che possa trovare io, sembra che parliamo di due pianeti diversi.

  10. La causa per me e’ sopratutto la mancanza di fondi. Le belle idee da sole non bastano, ci vuole il finanziamento giusto. Senza contare che se l idea e’ un Brewpub a Roma o simili quel finanziamento acquista un enorme per non dire impossibile dimensione. Una cosa che mi preme sottolineare e che avete già accennato e’ la monotona evoluzione del concetto di pub. Tutto troppo raffinato e ricercato spesso economicamente proibitivo. Sono solo stravolgimenti del concetto originario. Io interpreto il pub come un luogo conviviale e alla mano, piacevolmente spartano: un bel bancone, tante spine e posti a sedere…niente fronzoli. Ora, se io usassi come chiave di ricerca i criteri sopra menzionati forse 2 o 3 locali combacerebbero a Roma e dintorni e su tutti l eterno mastro titta….

    • Concordo sul concetto di pub, però non biasimo chi oltre ad una buona birra vuole farsi un hamburger gourmet da 11€ o una bella pizza. Fortunatamente (a Roma) abbiamo tanti di quei posti tra cui scegliere…

      In Italia il brewpub non prende per le mille complicazioni che ci stanno dietro per aprirlo, ma forse anche per un fatto culturale. Qui siamo tutti appassionati dell’argomento, ma dimentichiamo che la birra non fa parte del nostro substrato culturale. Se in Germania ci sono hausbrauerei in quasi ogni città e in Inghilterra brewpub come se piovesse, in Italia abbiamo locande/osterie/agriturismi/fraschette con il vino della casa. E’ come se sul forum del CAMRA si lamentassero di una scarsa offerta di vino della casa nelle locande dello Yorkchestershire

    • Invece io credo che è un bene che finalmente nei pub si inizi a lavorare sull’aspetto culinario con attenzione. Perché devo bermi un’ottima birra mentre mangio cipster o noccioline? E anche quelli che hanno sempre fatto hamburger (spesso pessimi) se li sono sempre fatti pagare cari. Il Mastro Titta che tu citi ha un menù vastissimo, fa pizze cotte al forno a legna, primi, supplì, dolci ecc… Il concetto originario è questo, il pub non è la realtà esclusivamente serale conosciuta in Italia dove vanno i giovani ad ubriacarsi. Questo è lo stravolgimento nostrano, che mi auguro stia sparendo definitivamente.

  11. io sono d’accordo con Angelo sul fatto che nell’ultimo anno si è assistito a molto fumo e poco arrosto. E’ vero che il concetto di birra artigianale si sta espandendo in maniera costante ma è anche vero che molti (troppi) si sono avvicinati a questo mondo per moda più che per curiosità; cosa che di per sè non sarebbe errata se si parla del consumatore. discorso diverso se invece lo stesso percorso è stato fatto da birrai/publican ecc. Lo scotto di tale situazione è che molti aprono un birrificio/brewpub ecc. solo per cavalcare l’onda del “nuovo” mercato e per farci soldi senza essere spinti invece dalla sana passione che poi è alla base di questo movimento a livello globale.
    In ogni caso credo che si paghi anche lo scotto di un momento storico davvero difficile con una situazione economica che ti spinge a rimanere immobile, con una legislazione in materia fiscale e di licenze a dir poco scoraggiante.

  12. L’ infichettatura di certi brewpub, a mio avviso va a pari passo con il concetto di birra “da carta” che tanti produttori perseguono e diffondono.

  13. Ma quale calma piatta???
    Forse è ciò che avvertono i consumatori di birre artigianali, ma i (piccoli)produttori come me sono consci del fatto che sotto la cenere si sta sviluppando uno tsunami, come ha già accennato Claudio.
    Pur avendo clienti in tutta Italia, la fotografia che mi è più nota è quella di Cagliari(e dintorni)e del nord Sardegna. Chi ha dei locali in città e rimane aperto è proprietario del locale (bar,pub, ristorante…) che gestisce oppure è uno che da mesi non sta pagando l’affitto.Lo dimostra il fatto che c’è un turnover allucinante di locali che cambiano gestione.
    Gli ispettori (ASL, INPS, Guardia di Finanza e INAIL) vanno in giro soprattutto la notte (nel weekend) a scovare eventuali lavoratori in nero, controllare l’emissione degli scontrini…etc, etc…
    Da noi in birrificio fanno controlli assillanti e frequenti di continuo TUTTI gli uffici(col pretesto, a detta loro, che siamo noti…), l’ultimo dei quali -dopo 10 anni che non controllavano birrifici in Sardegna- è quello della Guardia di Finanza.
    Vi lascio immaginare cosa sia lavorare in loro presenza fissa per molti giorni, semplicemente per il fatto che il birrificio è deposito fiscale, quindi sottoposto ad una serie di leggi che, nel caso della Guardia di Finanza è nulla che scatti il penale!
    E badate bene, che non sto esagerando, nel senso che puoi evadere di 10€ in UN ANNO e per delle leggi applicate PER PRINCIPIO (e non per la gravità del reato!), ti trovi davanti al giudice!
    Mentre con le Dogane, paghi la tassa (eventualmente)evasa, più la mora e per piccole irregolarità la cosa si chiude con piccole multe.
    Visto che ormai siamo oltre 500 produttori (a vario titolo), può andare solo peggio sotto il profilo dei controlli.
    Ormai siamo in un periodo in cui le “istituzioni” e i loro rapresentanti devono raschiare il fondo del barile!
    E noi produttori siamo TUTTI I GIORNI in trincea!
    Ecco perchè non smetterò mai di ricordare che c’è un’enorme differenza tra produttori, che hanno un impianto e gestiscono un deposito fiscale e un beer-firm.
    Tra i marchi delle 2 attività c’è un mondo di differenze…e solo l’ultima delle quali è che la birra me la faccia io oppure la faccia fare da un altro impianto.

  14. Ciao,
    sono daccordo sul fatto che la calma piatta come la intendi nell’articolo sia un fattore di maturità.
    Forse potrebbe dipendere anche dal fatto che la concorrenza è aumentata, e un birrificio affermato prima di sparare una birra “sperimentale” con cui potrebbe sputtanarsi l’immagine o comunque perdere clienti ci pensa due volte rispetto al passato…chissà…
    Il periodo economico che attaversiamo influenza allo stesso modo: idee, progetti e quant’altro… non penso manchino nelle teste dei protagonisti del movimento, ma magari aspettano tempi migliori per potersi cimentare in nuove avventure.

    Per quanto riguarda il pubblico, quello che noto nel mio piccolo è l’affermarsi di un’abitudine ormai difficilmente debellabile: quella di voler assaggiare sempre cose nuove o comunque il desiderio di avere una scelta sempre varia.

    Questo ovviamente è un qualcosa di positivo.

    E’ difficile, almeno per i consumatori di oggi, anche solo pensare alla situazione di alcuni anni fa, in cui la scelta era molto limitata sia per la mescita al pub (le stesse 3-4 birre proposte per anni) che per l’acquisto in bottiglia presso negozi/ipermercati (mancando i beershop che oggi invece stanno prendendo piede).

  15. 1. Bottoni ritirato nelle retrovie
    2. Schigi si è calmato
    3.Stefano Ricci continua a scrivere commenti troppo lunghi e la crisi ci impedisce di avere i nervi abbastanza saldi per leggerli tutti
    4.Cerevisia è bannato nel 95% dei siti
    5. It’s only beer (but i like it)

  16. …beh noi qui al sud ci stiamo mettendo quasi 9 mesi per partorire un Birrificio (anche un po’ per colpa nostra) ma sembra che le “istituzioni” ci remino contro…non é facile! Certe volte non basta la passione e la voglia di emergere…

    Cmq Cerevisia bannato è troppo bella 🙂

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