Cimec

Quattro passi al Mikkeller Beer Celebration di Copenhagen

Venerdì 11 e sabato 12 maggio si è tenuto a Copenhagen, come da vari anni a questa parte, il Mikkeller Beer Celebration, festival internazionale organizzato da Mikkeller e inserito nella Mikkeller Beer Week, con un’offerta senza pari in Europa circa la varietà e l’importanza di birrifici statunitensi partecipanti, oltre a una folta rappresentanza di produttori scandinavi e inglesi. E appunto, la selezione curata si rivolge ad appassionati e operatori interessati ai birrifici americani più in hype del momento, non mancando tuttavia nomi già consolidati nella mente di beer geek e pro più attenti. Per il terzo anno consecutivo i birrifici italiani si sono segnalati per la loro totale assenza.

Il festival è organizzato in quattro sessioni, due mattutine e altrettante pomeridiane di quattro ore ciascuna, formula all you can drink, ed è possibile acquistare il biglietto per per una o più sessioni o per tutte quante. Sono disponibili anche i biglietti gold e platinum, che danno diritto all’ingresso anticipato di venti minuti alle quattro sessioni, all’accesso all’area lounge, e alla prelazione per i tap takeover e le bottle releases tenutisi durante la Mikkeller Beer Week. E’ stato il mio quarto anno consecutivo di partecipazione e in questa edizione, se muniti di biglietto, era possibile ritirare presso il Mikkeller bar dell’aeroporto di Copenhagen il proprio braccialetto per l’accesso, evitando così, almeno parzialmente, le proverbiali code all’ingresso. Basti pensare che un’ora prima dell’apertura della prima sessione di venerdì, prevista per le ore 10,00 di mattina, le persone in attesa erano già oltre centocinquanta.

Entrando nella location di Halmtorvet, vicino la stazione ferroviaria centrale, ho riconosciuto molti volti di beer geek europei e statunitensi incontrati negli anni passati sia in questa sede che in altri festival internazionali e non, ma innanzitutto mi sono affrettato a mettermi in coda per le birre più in hype presenti, nella specie la Mooore Rare Scoop di Cycle. Stessa musica nella seconda e terza sessione, dove mi sono messo in fila al banchetto di 3 Sons rispettivamente per la JBM 35 e la Bourbon BA Scoop. I più attenti avranno notato che sono tutte Imperial Stout passate in botte, molto difficili da reperire anche per gli americani, con un’altissima quotazione sul mercato secondario anche a quattro cifre (in dollari) e un rating molto alto sulle piattaforme social dedicate alla birra, Untappd in particolare. Il punto non è casuale. Infatti quest’anno si è confermata la tendenza di un festival piuttosto incentrato sulle Imperial Stout, per lo più con adjuncts, con una buona rappresentanza numerica di Ipa, Double Ipa e Triple Ipa, fra cui dominavano le Hazy, nonché diverse Farmhouse, Sour e Wild Ale. La conseguenza è stata ovviamente che i partecipanti hanno cercato soprattutto le suddette tipologie di birra, non certo Blanche, Tripel o Helles e Keller.

Ovviamente moltissimi i beer geek scandinavi presenti, diversi inglesi, qualche francese, italiano, polacco e greco, ma quest’anno gli americani erano presenti in gran numero, a testimonianza del fatto che il MBCC abbia suscitato molto interesse nella scena geek statunitense. D’altronde, già qualche anno fa Mikkeller organizzò a Boston un secondo MBC, con l’ovvio intento di pubblicizzare il suo festival negli Stati Uniti. Non pensate ad atmosfere goliardiche e scanzonate proprie di altri festival che hanno target e costi totalmente differenti, ma, al contempo, l’organizzazione a forfait e i relativi costi selezionano i partecipanti, evitando possibili episodi spiacevoli spesso causati da avventori molesti che albergano spesso e volentieri in altre manifestazioni.

Veniamo alle bevute. Sul lato Imperial Stout e Barley Wine ho avuto conferme sull’eccellenza di Voodoo con la Black Magick Bourbon Brandy BA, Imperial Stout senza adjuncts dove la base viene esaltata da una grande attenzione nell’affinamento in botte. Altre note più che positive e conferme sono venute dalla However Improbable di Bottle Logic e dal Brew 3000 di Fremont, English Barley Wine passato in botti di Heaven Hills. Molto bene anche la Mostra 5th di Moksa, dove le adjuncts (caffè, vaniglia e maple) roteavano nel palato una dopo l’altra non coprendo la birra base, ma al contrario valorizzandola. Male Aslin e Thin Man, la cui Peanutbutter Jenkins risultava un coacervo squilibrato di adjuncts, con aromi sospetti e imbevibile per la eccessiva dolcezza, male anche Creature Comforts e Mikerphone con due pessime birre su tre bevute, di cui una con acetaldeide e sentori di oliva. 3 Sons nettamente meglio lo scorso anno.

Per quanto concerne le luppolate, in generale la freschezza non è stato certamente il punto di forza, con l’aggravate di diverse referenze con sviluppati sentori vegetali. Bene Hoof Hearted con la sua Konkey Dong, anche se presa al Mikkeller Beghaven e non al MBCC. Monkish meglio in altre occasioni per continuità, discontinuo anche Green Cheek, fra i birrifici in rampa di lancio. Non benissimo le Farmhouse/Wild e Sour Ale, dove tuttavia a mio avviso si è distinto Homage (sito web), che, sebbene senza birre stratosferiche, è sembrato al festival il più continuo, con una buona mano, e sicuramente uno con Wild Ale piuttosto pulite. Male Fonta Flora, Creature Comforts, Perennial e Cellador Ale, tra plastica bruciata, solfuri e acetico sopra i livelli di guardia. Tutti denominatori comuni di molte birre insieme a un uso eccessivo di frutta e comunque, a volte, di aromi sospetti.

In conclusione, sebbene questa edizione non sia stata la migliore cui abbia partecipato e in qualche caso abbia ricevuto delusioni da birre già precedentemente bevute con soddisfazione, il MBCC è un’esperienza da fare almeno una volta per poter bere referenze americane a volte già molto difficili o impossibili da reperire in bottiglia, figuriamoci alla spina, anche in loco. Per me rimane un occasione per rivedere persone già incontrate durante le precedenti edizioni o in altri festival europei, per conoscere e confrontarsi con appassionati d’oltreoceano e non, e condividere impressioni, pareri e sensazioni sulla scena craft statunitense e a volte anche su quelle europee.

L'autore: Pierluigi Nacci

Appassionato di birra artigianale sin dal 2004, ha frequentato numerosi corsi di degustazione e nel corso degli anni ha sviluppato una predilezione per i viaggi birrari all'estero, comprensivi di visite a taproom e pub, e per i festival internazionali. Senza assolutamente tralasciare la scena italiana.

Leggi anche

Non solo hype (speciale Illinois): Keeping Together e Phase Three

In passato ho espresso più volte la mia soddisfazione qualora riesca a scoprire referenze di …

Il report del Mikkeller Beer Celebration di Copenhagen, due anni dopo

Dopo oltre due anni di assenza, causata dalle ben note vicende pandemiche, venerdì 22 e …

8 Commenti

  1. La settimana prima c’era il Tallinn Craft Beer Weekend.
    Evento meno blasonato ma con un livello qualitativo molto alto.
    Oltre ad alcuni birrifici americani con il solito hype (tipo Other Half), c’erano ben 3 birrifici italiani rappresentati: Klanbarrique, Crak, Loverbeer.
    La locazione è molto figa (una vecchia fabbrica sovietica ristrutturata come centro culturale, che fa molto steampunk) e l’evento è molto rilassato. Stessa formula con all-you-can-drink e biglietti limitati.
    Ci vado quasi tutti gli anni e lo consiglio.

  2. E fai bene, perchè è il miglior festival dell’est Europainsieme al One More Beer di Cracovia. Vorrei andarci anche io

  3. Hai detto che una birra assaggiata aveva sentori di olive…mi è capitato di imbattermi talvolta in questi aromi nelle stout. L’ho sempre percepito come sgradevole, ma che cos’è? Ed è sempre considerato un difetto?

    • Ciao Mattia, sì è sempre un difetto. Vorrei essere più preciso ma su questo difetto in particolare curiosamente c’è poca letteratura. Dovrebbe comunque dipendere dall’interazione tra lievito e malti scuri.

      • È vero, infatti tra tutti i difetti della birra non viene mai citato! Eppure mi sembra piuttosto diffuso, oltre che facilmente percepibile (io non son certo un degustatore esperto…). In generale le birre scure mi sembra che spesso vadano incontro a difetti molto evidenti e sgradevoli, più che in molti altri stili

        • Sull’ultima affermazione non sono molto d’accordo perché esistono tipologie molto più delicate ed esposte delle “scure”

        • Sì questo sicuramente. Diciamo che da bevitore inesperto molti difetti non li percepisco, anche se magari una birra ce li ha! Però in stout e porter mi ricordo 2-3 volte aroma di olive, 2 volte un sentore ematico e un’altra caffè acido…forse è semplicemente casuale. In una IPA o in una pils mal conservate più che difetti avverto minore intensità di aromi. Allenare il palato non è semplice

          • Allenare il palato non è semplice ma almeno è divertente 🙂
            I difetti che senti nelle Stout sono corretti, il metallico in particolare può dipendere da vari fattori ma spesso è dato dall’ossidazione.
            L’ossidazione è un difetto che spesso colpisce anche le IPA, mentre nelle Pils è più comune trovare zolfo e/o diacetile

Rispondi a Mattia M. Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *