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Un resoconto del Carnivale Brettanomyces: “wilde gist” tra canali e mulini

Dal 20 al 23 giugno si è tenuta ad Amsterdam l’ottava edizione del Carnivale Brettanomyces, festival internazionale incentrato su birrifici operativi nel mondo “sour” e dei lieviti selvaggi, con l’ovvia presenza di produttori e blender di Lambic, inclusi i più famosi e ricercati. La selezione spazia preminentemente dall’Europa agli Stati Uniti, con alcuni nomi ben conosciuti e altri semi sconosciuti o totalmente sconosciuti anche agli appassionati e pro più attenti al mondo “sour”. E appunto, la selezione si rivolge anche a chi è interessato a scoprire realtà pressoché inedite e che potrebbero presto assurgere agli onori delle cronache e diventare in seguito molto ricercate. In altri termini, il Carnivale Brettanomyces è un festival che ben si presta al beer hunting. Presenti in questa edizione due realtà italiane, Ca’ del Brado e Birrificio del Ducato, quest’ultimo solo a un evento di giovedì 20 e totalmente ignorato dal sottoscritto per motivi che potete facilmente comprendere.

Come ogni anno, il festival prevede un evento di apertura il giovedì, anche quest’anno tenutosi presso il birrificio Oedipus; tuttavia, quasi certamente, il prossimo anno la location dell’evento di apertura muterà per via della cessione di una quota di minoranza dello stesso Oedipus al gruppo Heineken. Il resto degli eventi non è ubicato in un’unica location, né esistono sessioni orarie o giornaliere con pagamento a forfait. Invero, sono per lo più i pub e le taproom dei birrifici di Amsterdam i luoghi dove rinvenire le referenze dei birrifici partecipanti al Carnivale, spesso in veste di tap takeover, le quali nella stragrande maggioranza dei casi non prevedono alcuna formula particolare: si paga quello che si beve, il più delle volte senza ausilio di gettoni di sorta. Numerose sono poi le degustazioni guidate incentrate su uno o due birrifici, con partecipazione dei relativi birrai, anche sotto forma di cena o semplicemente di pairing cibo – birra, le conferenze e i seminari a tema spesso ospitati negli hotel o anche in una chiesa valdese nel centro di Amsterdam. Tutti questi eventi più “mirati” sono a pagamento, con biglietti a numero chiuso, prenotabili e pagabili in anticipo.

Di solito la giornata del festival, escluso il giorno di apertura, inizia nella tarda mattinata e può accadere che gli orari dei vari eventi coincidano parzialmente o totalmente, con la conseguente possibilità di girare la città per recarsi nelle varie location ospitanti, scegliendo come meglio spendere il tempo. Pertanto, specialmente ai tap takeover, c’è sempre una certa “rotazione” di persone, con la quasi totale assenza delle proverbiali noiose code rinvenibili all’ingresso dei festival o alle spine. Il descritto quadro influenza positivamente anche i birrai, che sono quasi sempre presenti agli eventi riguardanti il proprio birrificio, rendendosi più che altre volte disponibili a scambiare quattro chiacchiere e soddisfare le curiosità e le domande anche tecniche degli appassionati presenti.

E’ stato il mio secondo anno consecutivo di partecipazione e, come lo scorso anno, ho girato almeno 5/6 location ospitanti eventi al giorno, grazie anche all’ausilio dell’efficiente sistema di trasporti di Amsterdam. Ho riconosciuto alcuni volti di beer geek belgi, olandesi e francesi molto attenti alla scena “sour”, nonché qualche publican e diversi distributori europei. Per quanto concerne gli italiani, non posso non sottolinearne l’esigua presenza – in totale meno delle dita di due mani – fra i quali due “pro” e nessun distributore. Un vero peccato, perché a mio avviso il Carnivale Brettanomyces è un festival molto adatto agli “addetti ai lavori”, ma non mi stupisco, anzi.

Prima di raccontare cosa è finito nel bicchiere, una precisazione è d’obbligo. Poco prima dell’inizio e anche durante il festival, tutti i pub e le taproom coinvolte tendono a tirare a lucido i propri impianti, in modo da evitare fastidiosi episodi di trascuratezza nella pulizia degli stessi in cui sono ahimè incorso più di una volta ad Amsterdam.

Veniamo alle bevute, concentrandoci in prima battura sui birrifici più conosciuti. Conferme importanti sono arrivate da Ale Apothecary (sito web), che si è distinto con la sue wild ales La Tache e la Graff, quest’ultima un appagante blend tra sidro e birra invecchiato in botti di rovere per oltre un anno, senza alcun sentore acetico né eccesso di zuccheri della frutta e con una fruibilità da applausi nonostante l’alta gradazione alcolica. Bene anche Drie Fonteinen (sito web) e Bokke (pagina Facebook), rispettivamente con la Speling lamponi e bacche di mirtillo rosso, dove la frutta mostrava una grande intensità al punto di dare una nota tart piuttosto intensa, rimanendo comunque gradevole, e con la Framboos Vanilla, dove la persistente acidità della frutta veniva un po’ ingentilita dalle note di vaniglia.

Anche Antidoot (sito web) ha confermato le mie buone impressioni con la sua Artemisia Absinthium, fermentazione spontanea maturata in botte di rovere con aggiunta di fiori essiccati di assenzio. Il risultato è un olfatto dominato da sentori floreali, una carbonazione media, un corpo medio-lieve dapprima influenzato dai fiori e poi caratterizzato da note di agrumi (arancia per lo più) e ad un amaro terroso di radice. Birra molto interessante che gioca sull’equilibrio tra amaro e acidità. Ancora maluccio Fonta Flora (sito web) tra sentori fenolici, lievi note di plastica bruciata e carbonazione pressoché nulla. Discontinuo Tommie Sjef (sito web), con una Ca che non è sembrata all’altezza del livello di altre referenze, soprattutto a livello olfattivo dove c’erano diversi off flavors. Ma non è la prima volta, anzi.

Per quanto concerne i birrifici meno conosciuti, una bella sorpresa è arrivata da Schneeeule (sito web) con la sua Sandy, Berliner Weisse dove il lievito è stato isolato ricavandolo da bottiglie di Berliner Weisse degli anni 70-80: il risultato è una birra dove il lattico è ben presente, con una carbonazione alta e con il giusto tono di secchezza finale. Conferme positive, per quanto mi concerne, da Kemker (sito web) e Nevel (sito web), il primo con la sua reinterpretazione di Gruit dove le note balsamiche del ginepro, la canapa e il cumino si rincorrono rimanendo molto bilanciate e si integrano con le note agrumate, il secondo con la Aurum, una wild ale con solidago, crisantemi e basilico thai invecchiata in botti di rovere per dieci mesi. Discreto, con birre piuttosto semplici ma al contempo pulite, Atom (sito web). Non male Free Will (sito web), con la sua Kriek Noveau che aveva giusto una linea di nota acetica di troppo. Male la Lost Horizon di Buddelship (sito web), una rivisitazione di Flemish Ale che risultava slegata e troppo pervasa dalla botte di vino rosso.

Detto sopra del Birrificio del Ducato, a mio avviso Cà del Brado si è posizionato tra le migliori realtà in assoluto presenti al Carnivale, giudizio piuttosto condiviso fra gli avventori durante il tasting al Bierkoning.

In conclusione, quest’anno il livello medio del festival mi è parso buono, superiore a quello dello scorso anno. E’un evento che consiglio a tutti coloro che ovviamente hanno una predilezione per il mondo sour, amano i festival con atmosfera serena e rilassata, odiano le lunghe code, cercano il contatto con i birrai, e soprattutto sono sempre alla ricerca della “next thing”, ovvero a chi ama il beer hunting. Personalmente, penso proprio che tornerò anche il prossimo anno.

L'autore: Pierluigi Nacci

Appassionato di birra artigianale sin dal 2004, ha frequentato numerosi corsi di degustazione e nel corso degli anni ha sviluppato una predilezione per i viaggi birrari all'estero, comprensivi di visite a taproom e pub, e per i festival internazionali. Senza assolutamente tralasciare la scena italiana.

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