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Sua maestà la mozzarella: 5 proposte per abbinarla alla birra

Cosa sarebbe la cucina italiana senza mozzarella? Al solo pensiero, facciamo calare un minuto di rispettoso silenzio. Dovremmo infatti, innanzitutto, immaginare un mondo senza pizza o, quanto meno, senza la pizza come la conosciamo. E poi tutti quei piatti in cui la presenza del bianco latticino è una pennellata d’autore, un tocco quasi impercettibile eppure essenziale per la riuscita del piatto: i fiori di zucchina fritti, il supplì al telefono e la parmigiana di melanzane, giusto per citarne qualcuno.

Ci distraiamo dall’infausto pensiero passando alla semantica, un chiarimento necessario soprattutto per evitare alzate di sopracciglio da parte degli amici campani: da quelle parti a’ muzzarell’ è una cosa sola, quella di bufala. In realtà, per la legislazione italiana è un termine generico, che indica un tipo di formaggio che può derivare da latte di bufala o vacca o entrambe. La mozzarella di bufala certificata è una sola, però, realizzata esclusivamente con latte di questo rustico animale dal mantello scuro e deve riportare la scritta Mozzarella di bufala campana DOP; si produce in Campania (prov. di Avellino esclusa), basso Lazio, comune di Venafro (Molise) e provincia di Foggia. Ovviamente la tipologia di latte utilizzato dà vita a due prodotti completamente diversi, le cui differenze cominciano dalla provenienza territoriale, si evidenziano all’aspetto (la pelle e il colore, bianco porcellana per la bufala e bianco sporco-giallognolo per il fior di latte) e si completano all’assaggio, dove la mozzarella di bufala ha più rotondità, personalità e profondità gustative.

Il nome particolare di questo formaggio deriva dal suo antico appellativo mozza, risultato finale dell’operazione di mozzatura, compiuta per separare dalla cagliata filante i singoli pezzi durante la lavorazione artigianale. Il termine compare per la prima volta in un documento del XII secolo, conservato presso l’Archivio Episcopale di Capua: si riferisce all’usanza dei monaci locali di rifocillare i pellegrini con pane e mozza (o provatura). A certificare la successiva diffusione nazionale di questo prodotto è uno dei padri nobili della cucina italiana, Bartolomeo Scappi, “cuoco segreto” del papa, che lo fa comparire nella sua Opera, del 1570 – è la prima volta per la mozzarella in un ricettario – e ne parla come di un formaggio reperibile presso i mercati alimentari rionali.

Ma come abbinare la mozzarella alla birra? Vediamolo in queste cinque proposte.

Mozzarella di bufala

Al piatto, per quella di bufala (scondita, ci raccomandiamo) scegliamo una Weizenbock ambrata, dove grassezza e persistenza sono perfettamente incontrate dal corpo prepotente della birra, il cui frumento funge da pane-tampone, le note tostate/caramellate si raccordano con quelle lattiche e la carbonazione generosa funge da ripulente. In alternativa possiamo indirizzarci su un’Italian Grape Ale da mosto bianco, spumantizzata finemente, che netterà efficacemente e permetterà un confronto tra note lattiche, floreali e fruttate.

Caprese

Altra intramontabile declinazione è la caprese, preparata con pomodori (varie le opzioni, tra costoluti, cuore di bue e fiascone), fior di latte (o mozzarella di bufala) e basilico: praticamente, la genialità della semplicità al servizio del gusto. La ricostruzione storica più credibile sulla sua nascita sembra risalire agli anni ’20 del XX secolo, quando compare nel menu dell’Hotel Quisisana di Capri. Per stupire Filippo Tommaso Marinetti, rinomato artista e uso a scagliarsi contro la cucina tradizionale italiana e il consumo della pastasciutta – contro la quale scrisse uno spassoso libello – lo chef, utilizzando il fior di latte, diede vita a questa particolare insalata, che portava i colori della bandiera italiana e, soprattutto, sostituiva i maccheroni.

Per l’abbinamento scegliamo una Hellerbock: le note mielate e maltate sono perfettamente in linea con la delicatezza aromatica del piatto, con il basilico a dare uno sprint di freschezza; la parte cerealotica in bocca tampona l’acidità, la gasatura ripulisce l’untuosità e la chiusura amabile ben si sposa con la mineralità e la nota lattica.

Prosciutto crudo e fior di latte

Terza proposta, fior di latte e prosciutto crudo di Parma stagionato 24 mesi. Sull’abbinamento prendiamo due strade diverse: o una rara Roggenbier (praticamente una Weizen in cui il malto di frumento è sostituito con quello di segale), rotonda e discretamente sgrassante, dalla rustica aromaticità, lievi note di luppolo e capace di arginare sia l’acidità lattica che la sapidità; oppure, per gli amanti delle “strade selvagge”, una Farmhouse Ale, che lavorerà soprattutto sulla capacità asciugante e spariglierà con l’aggiunta delle note animali e fruttate.

Mozzarella in carrozza

Proseguiamo con la versione in carrozza della mozzarella di bufala. Un antipasto tipico della cucina campana, che vanta un importante radicamento – con uso di fior di latte e acciughe – anche a Roma e Venezia. Un piatto di recupero, che consiste in un trancio di mozzarella racchiuso dentro due fette di pagnotta, le quali sono passate nell’uovo e nel latte e poi fritte.

Ci abbiniamo, facendo pendant con l’ispirazione popolare del piatto, o una dorata Keller francone, con il suo equilibrio, i suoi freschi profumi erbacei, la sua carbonazione e la sua adeguata secchezza, oppure, per chi non intende rinunciare mai alle tonalità sour, una Berliner Weisse, la cui acidità ripulirà perfettamente la bocca, aggiungendo freschezza e immediatezza tipiche dello stile.

Cheesecake con mozzarella di bufala

Chiosa dolce con la cheesecake con mozzarella di bufala, una variante davvero interessante del tipico dessert inglese. Non essendo particolarmente dolce, più che di birre zuccherine abbiamo bisogno di saper incontrare le “punte” acidule del formaggio. Immaginando che la salsa di condimento sia a base di piccoli frutti rossi, abbiniamo o un’Imperial Stout, nelle sue più “morbide” versioni pastry, che si giovano delle rotondità alcoliche e di suggestioni speziate e dolci favorendo un ottimo piano di contrasto grazie alla presenza tostata; oppure una Doppelbock scura, maltata e amabile, con confortanti note di frutta di matura e un corpo possente, caratteristiche perfette per addomesticare la forza gustativa della cheesecake.

L'autore: Roberto Muzi

Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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